Rip Annabelle. Rip.

Le parole fanno male. I ricordi ancora di più. Il silenzio che ve lo dico a fare. In ogni modo non ne esco. E forse non ne uscirò mai. E’ rimasta una cicatrice, profonda e indelebile altezza cuore. Ricordare i giorni che sono stati non è affatto di aiuto. Il silenzio infinito, ed io non ho proprio più parole. E si ritorna lì, alle parole, che come lame appuntite trafiggono e non mi danno scampo.

Ero indeciso oggi sul da farsi. Il mio cuore vira verso nord, ma il corpo è fermo, esanime qui, a Roma. Dove tutto è iniziato e tutto, inevitabilmente è finito. Purtroppo niente è di conforto, e se oramai non piango più perché gli occhi sono spenti, non ho neanche più parole per raccontarmi. Sono sempre le stesse, in circolo, che si ripetono e si rincorrono senza suscitare interesse in nessuno di quelli che erano soliti leggermi, e soprattutto, senza aiutarmi più.

Forse la migliore cosa è sparire, per un po’. Lasciare quanto scritto a chi vorrà ancora leggerlo, rimanere in disparte ed occuparmi di qualcos’altro. A ricercare il sorriso che ho perso per sempre. E nessuno che se ne interessi. Nessuno che muova un dito per me. Perché quando ci sono io a non avere le forze di andare avanti, a perdere la speranza, a non riuscire a trovare più le motivazioni è noto che tutti si fanno indietro e pensano a cose più importanti. Non proprio tutti, per fortuna.

E due domande me le devo porre per forza. Non avrei mai voluto, ma probabilmente Annabelle è morta. Non oggi, ma esattamente tre mesi fa. Non è un caso però che oggi lo ammetto. Ci sono giorni in cui vorrei andare oltre e riprendermi, ma appena mi distraggo un po’ e sento di stare meglio mi ritorna tutto indietro più vivo e forte di prima. Mi ritorna in mente che non posso più condividere il mio sorriso con chi più di caro ho avuto. Perché non vuole.

E ne pago costantemente le conseguenze. Sono giorni che cerco le parole per questo post, poi sono arrivate in pochi secondi di getto, come accade sempre quando devo scrivere qualcosa. Le parole arrivano  ed escono da sole, senza controllo. Non c’è più speranza, ne serenità. E’ tutto nero e il dolore si affievolisce per poi ripalesarsi di nuovo più forte di prima.

Ho imparato sempre a mie spese, oggi più che mai. Una lezione che non dimenticherò mai, è che quando le cose non sono destinate ad essere non vale la pena neanche più provarci. Abbozzare, parlarne, chiarirsi. Tutto inutile. A niente è servito fidarsi. A niente è servito compiere errori. Non è servito niente di niente, fino al punto che ho lasciato perdere. C’è chi mi dice di prendere un treno e andare a trovarlo per parlargli ancora.

Non lo farò. Non tanto perché non ne sono capace. Sono certo però che non sarei capace a gestire le conseguenze, e sicuramente il mio gesto verrebbe visto in maniera sbagliata. Mi affido al destino, che quando ha voluto ci ha fatti incontrare. Ma non ci spero più di tanto. In fondo se non hanno voluto capirmi quelli che mi conoscono da anni, perché dovrebbe capirmi lui, che tutto sommato non ha neanche tutti i torti.

Nei prossimi giorni disattiverò anche i social. E’ assurdo come le cose possano cambiare. E’ bastato un anno a scombussolare tutto di me, e a non lasciare più niente di ciò che ero. Le cose cambiano, ed io sono cambiato. Annabelle è morta, Fabrizio annaspa.

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Spero possiate capire. Per quanto ci sia ancora da capire. Prima o poi tornerò…

NB La canzone è di Levante, e potete sempre scaricare Abbi Cura di Te cliccando qui. ❤

Roma allo specchio.

Dopo quanto tempo è possibile ricominciare? Poco più di un mese, anche se forse potrebbero essere almeno cinque mesi. Lui era stato chiaro. Per te sono morto. E infatti lo è. Ha esattamente mantenuto la promessa. La beffa nell’ingiustizia. Privarmi di ogni contatto e farlo nella maniera più drastica possibile. Nel frattempo la mia vita si è fermata. Sono rimasto inerme guardarmela scivolare addosso, senza capire più niente. Senza più respirare a pieni polmoni.

Una soluzione eccessiva, per quanto la situazione lo richiedesse. Anche se col senno di poi mi sono reso conto che forse tutti i soggetti coinvolti sono solo marionette nelle sue mani sapienti. Voleva ottenere delle cose. E le ha ottenute. Da me. Dal suo fidanzato. Capricci mascherati da bisogni che hanno trovato soddisfazione. E poi mi vengono a dire che questo è amore. Mi chiedo pure io che cosa ho in mente. Quando pensi di aver visto il peggio di una persona, ma il peggio vero, quello che ti fa male, che cos’altro di lui possa piacere ancora? Non lo so.

Non so proprio più che pensare. Forse hanno ragione gli altri, hanno sempre avuto ragione. Dal primo giorno. Da quel novembre del 2012, freddo e umido allo stesso tempo. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ne sono successe di cose, e me le rivedo nella mia testa, tutte, e fanno male ogni volta. Più di prima. Aveva ragione Giulia, avevano ragione Guy, la Du Barry, Valerio e Giacomo. I miei coinquiliners. Rosaria e Marcella. La Fabry. Avevano ragione tutti loro a dire che avrei pagato da solo. E a caro prezzo. E’ così poco importa tutto il resto.

Dovrei far finta che niente sia accaduto, me lo ripeto ogni giorno. Cerco di dare un ordine per trovare un po’ di sollievo. Ma non c’è via di uscita. Cerco di pensare a me, ma quando lo faccio e mi fido di qualcun altro mi arriva un’altra batosta. E allora non posso fare altro che far finta che sia tutto frutto della mia immaginazione. Che poi è quello che è passato. E’ rimasto che io sono un matto, ossessionato senza un minimo di equilibrio. Ecco, questo è il risultato.

Conto più di un difetto… Lo dico come se fosse un alibi. Come se potesse aiutarmi nel dover giustificare come mai mi ritrovo sempre così. A dover soffrire per qualcuno che non se lo merita. Tra i miei difetti ho una sorta di memoria indelebile per quanto riguarda date ed orari. Che, come oggi, diventano un problema. Perché ti ricordi di quelle cose belle che ti hanno fatto bene, e che non puoi più stringere tra le mani. Mai più.

Sono diventato il carnefice e la vittima allo stesso tempo di tutta questa situazione. Ma brancolare nel buio non aiuta nessuno. Figuriamoci se può aiutare me che ho bisogno di gesti e di parole per esser sereno. Succede solo che metti il punto e vai a capo. A malincuore. Chiudi quella cosa lì che non è stato niente, perché niente è rimasto. E lui si è preso tutto. Si è preso la mia fiducia in me stesso e negli altri. Si è preso i miei sorrisi. Si è preso la speranza. Quella speranza che un anno fa sentivo viva. E invece mi ha preso in giro pure lei.

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Così, Roma allo specchio si ama. Mentre io allo specchio sparisco. Sempre di più. Aveva ragione Einstein che diceva che la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario, ma ha ragione anche mia nonna quando dice che a ca’ nisciun’ è fess, e pure la nonna di Tiziano Ferro ha ragione quando dice che chi cerca trova, ma chi cerca troppo a forza di cercare cade giù. E diamine se non sono caduto in basso. Sto ancora cercando una motivazione che mi faccia ritrovare la serenità. Anche se una risposta c’è sempre. E sta proprio tra quei sedici mi piace.

Perché in fondo le persone non cambiano mai. Nonostante andiamo a scomodare anche quelli più grandi e più saggi di noi,  quelli che cambiano poi, e se ne vantano come se avessero scoperto l’acqua calda, lo fanno solo per paura di rimanere da soli. Perché rimanere da soli fa più paura che portare le corna in fondo. Ecco, proprio come me. Che ho molta paura di rimanere da solo, perché conosco bene la solitudine e quanto sia difficile doverci fare i conti, ogni giorno. E chi può biasimare chi. D’altronde io dell’amore che ne so?

Ora, però davvero, basta. Per me. Per lui. Per tutti quanti.

N.B. Qui il link per scaricare direttamente “Ciao per sempre“. Merita. Grazie Levante ❤

Pensieri che si rincorrono inutilmente.

La sindrome dell’arto fantasma è la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo sia diventato insensibile: il soggetto affetto da questa patologia ne avverte la posizione, accusa sensazioni moleste e spesso dolorose, talora addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente. Questa sensazione, assolutamente normale e che non rientra in nessun tipo di problema psichico, è la dimostrazione più evidente dell’esistenza dello schema corporeo, che persiste, nonostante dall’arto amputato non giungano impulsi nervosi ai centri corticali.

Banalmente, la spiegazione di questa patologia, così come la espone Wikipedia descrive esattamente come mi sento. Con la solo differenza che la parte amputata è il mio cuore. Un aspetto davvero importante, perché il cuore, che io lo voglia oppure no, è ciò che ci fa rimanere vivi. Io descriverei me stesso in questo momento come vivo per inerzia. Continuo la mia vita, vado avanti ma senza un minimo obiettivo. Su niente.

Lo Zero che ritorna. E se il cuore mi è stato portato via, naturalmente, così come da sintomi io sento comunque tutti i dolori della conseguente asportazione. Ogni minimo crepitio lo avverto. Ovviamente le colpe ormai è assodato, sono tutte le mie. Sono stato sottoposto al giudizio di qualcuno che non so, sono stato condannato e sfanculato. Senza appello. Sapete per coscienza e anche per formazione, sono portato a non arrendermi mia.

Sono portato a pensare che anche se le cose cambiano si può fare sempre qualcosa per rimediare. C’è sempre un’alternativa per sistemare tutto. Ma ho capito che ci deve essere anche la volontà altrui. E a me la possibilità di rimediare, storicamente, non viene mai data. Adesso non voglio lamentarmi a prescindere o attaccare le pippe as usual.

No. Una cosa mi chiedo ripetutamente allo sfinimento: cosa avrei potuto fare di diverso? Ecco, adesso, col senno di poi mi vengono in mente tremilasettecentocinquantasette alternative. Adesso, che non posso più parlare ne fare più niente, saprei esattamente come comportarmi per far stare tutti bene.

Ma quanto sarebbe giusto? Quanto in questa storia a parte quello che ho fatto e pensato io, ci sia stato qualcun’altro che sia stato disposto a fare qualsiasi cosa per me? Esatto. Non c’era. E non c’è. Forse è da qui che dovrei ripartire. E’ da qui che dovrei cancellare tutto e andare oltre. Si, oltre. Perché andare avanti non se ne parla.

Per andare avanti si deve andare in due. E non è questo il caso. Andare oltre ha un’altro significato. Andare oltre vuol dire continuare a vivere come se non fosse successo niente. Come se le parole non fossero mai state dette.  Ecco, abbiamo scherzato! Ma io lo so benissimo che non è così. E soprattutto non ci riesco. Anzi, la cosa che mi più fastidio è che tutto ingiusto.

funeral

Non ho replica. Non posso dire né fare nulla. Niente di niente. Hanno già fatto il funerale al morto e a me non mi ci hanno voluto. E’ così e basta. Poco importa il resto. Gli urli, le lacrime e il dolore che ci siam fatti. Non si considera più niente. Niente che mi riguardi… Forse è questo quello che più importa in tutta questa faccenda. Quando c’era bisogno di fare un piccolo passo avanti nessuno, neanche io, ha avuto il coraggio di farlo.

Siamo andati dritti allo schifio. Alla genesi del dolore. Ognuno ha sparato le sue cartucce perdendo di vista chi eravamo l’uno per l’altro e perchè soprattutto. Suscettibili alla sofferenza più grande. Quella del cuore. Nessuno ha voluto prendersi cura di niente in maniera costruttiva.

Faccio un sogno ricorrente da due settimane. Torno dal lavoro e ti trovo sotto casa ad aspettarmi, ti vedo che mi segui con lo sguardo al supermercato e anche dentro l’ufficio postale. Sento i tuoi pensieri, e non mi dici niente. E paradossalmente forse è proprio così. Con la sola differenza che posso solo immaginare tutto. Forse hai sempre avuto ragione tu, sono pazzo. Pazzo e ossessionato.

Io resto con il mio, e tu resterà col tuo. Un’alternativa c’è. C’è sempre. Ma forse è ancora invisibile, o forse non la si vuole vedere. Io adesso, non ce la faccio neanche più  a parlare. Ce l’ho con me, perché ho sbagliato, e pago profumatamente. Guardo i giorni che scappano e i pensieri che si rincorrono alla ricerca di sollievo.

Che, non arriva, mai.

Un post mai pubblicato.

24 aprile 2014

“E’ venuto a prendermi una decina di minuti prima delle 21. La serata ha tutta l’aria di un primo appuntamento. Io sono eccitato. Per la prima volta nella mia vita sono felice. Mi sorride il volto. Gli occhi. Una cosa, che prima di oggi, è successa solo il giorno della mia laurea. Pensa te. Lui è tutto. E’ simpatico, fa battute, sorride. Parliamo di ogni cosa. La cena va veloce, tra chiacchiere e vino. Io sono contentissimo.

Di tanto in tanto mentre mangiamo mi accordo che mi guarda. Io ho davvero l’impressione che nel mio stomaco ci siano le farfalle. Sembra il blog di una quindicenne. Ma non sono mai stato così lucido nel descrivere ciò che provo. Mi sento strano. Per la prima volta ho l’impressione che finalmente qualcuno sia qui per me. Quello che ho sempre cercato, finalmente è qui. Davanti a me. E inaspettatamente mi stringe anche la mano.

Tra l’altro, le sue mani sono bellissime. Grandi, con le dita lunghe. Ma è tutto rapportato. Tra l’altro si è tagliato anche le unghie, perché qualche giorno fa gli ho detto che le aveva troppo lunghe per i miei gusti. D’un tratto mi viene da pensare che forse sono messo già male. Che alla fine ci sentiamo da due settimane, tutti i giorni, ed io sono già messo così. Poi però un vago pensiero mi si insinua nella testa. Lui non è roba tua. Lui è fidanzato. Non ti devi innamorare.

Usciamo dopo un oretta e mezza dal locale. Saliamo in macchina e mi bacia. Appassionatamente. Io ho già gli svarioni, e mentre gli dico la strada per tornare a casa mia mi tiene la mano. Le mie sinapsi, impazziscono subito. Arrivati nella via di casa lui va dritto senza indugiare, ma non ho neanche il tempo di chiedergli se vuole scendere. No. Parcheggia direttamente nel vialetto.

Io inizio a sentirmi in colpa. Questo pensiero mi ha colto per diverse volte durante la serata. Per qualche secondo. E poi è sparito. Ma si, un po’ mi sono vergognato. Insomma quello che mi sono ripromesso di non fare mai, e che ho già subito in passato adesso lo stavo facendo a qualcun’altro. Che non conoscevo e che sicuramente non se lo merita. Ma ero in balia della situazione. E di quella persona, che col suo calore mi stava riscaldando il cuore. Come mai nessuno in passato.

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Salgo in casa e prendo due birre, le sue preferite. Ci sediamo e accendo la tv. Decidiamo di guardare un film. Metto Sex And The City 2. Manco fosse un caso. Ci accocoliamo sul letto e ci stringiamo. Guardiamo 5 minuti di film, ma i nostri corpi non reggono. Siamo talmente vicini che non ha alcun senso continuare a guardare il film. Lui è talmente eccitato che provo un leggero imbarazzo. Lo sento e non mi va affatto di resistere. Non lo faccio. E non lo fa neanche lui.

Facciamo l’amore. Nel momento in cui lo stavamo facendo ho capito che era diverso dal solito sesso. Ogni suo gesto, ogni suo sguardo o movimento era fatto con cura. Ed è stato tutto perfetto. Non c’è stata una nota stonata in niente. Due corpi che si sono incastrati perfettamente. Senza ostacoli. Un’armonia quasi incredibile. E quando è finito tutto io avrei ricominciato ancora. All’infinito. Ma il tempo è tiranno, è arcinoto.

E lui, purtroppo, doveva tornarsene a casa. Abbiamo avuto il tempo di una doccia, con le stesse attenzioni di cui sopra. Qualche altro bacio e poi di corsa verso casa. Ho atteso il suo messaggio per sapere che era tornato dal suo fidanzato. E mi sono addormentato, per la prima volta, senza ansie nè angosce. Ero solo felice. Una felicità che ha preso ogni cm del mio cuore. Nel momento in cui ho realizzato tutta questa mia felicità, però, lo spettro del suo fidanzato, che uno spettro non è, anzi, mi ha fatto ricordare di non dover correre troppo.

Per oggi basta così. Un passo alla volta, senza pretese. Notte blog.”

 L’avresti mai detto che sarebbe finita così? Io no.

Cuore rotto e sanguinante.

Sapete com’è. Io ogni San Valentino muoio un po’. Adesso, non pensiate che sia il solito post disfattista sul significato di San Valentino festa. Nossignore. In realtà io non lo odio San Valentino. Anzi. Se solo potessi festeggiarlo come si deve ne sarei anche felice. In realtà il rapporto conflittuale che da anni mi fa storcere il naso è puramente collegato alla mia singletudine, ed hai drammi che in questo giorno, inevitabilmente si susseguono. Proprio oggi ovviamente, ne ho combinata una delle mie. Epiche.

Non entrerò nel merito, ovviamente, mi vergogno come un ladro. In realtà ho semplicemente fatto qualcosa di brutto a chi non se lo meritava. Quando mi comporto così, in realtà riesco a dare solo il peggio di me. E adesso quel minimo che c’era è sparito. In un secondo. E’ bastato un tap su qualche app ed io sono volato via nell’etere. Per sempre. Ecco, le ragioni che mi hanno spinto a comportarmi di merda sono molto. Sono mesi che cerco di capire che tipo di relazione fosse diventata quella che era iniziata l’anno scorso. Probabilmente non era niente più.

Anzi. Mi ostinavo io a cercare delle motivazioni ad andare avanti. Non c’erano già più. Il problema è che al cuore, mio, non si comanda. E quando mi sento messo da parte, per senza motivo, divento dispettoso e antipatico. Non mi sono smentito. Ora è un po’ difficile piangere sul latte versato. Ma io, per quel che posso dire, penso a me. Penso a me che mi sono pianto la qualsivoglia per mesi, e non ho avuto un minimo.

Penso alle notti che oramai passo insonne dalle 4 in poi. E penso a quanto sono stato coglione ad affidare il mio cuore, una cosa delicata e molto importante, a chi in realtà di questo cuore non ne ha tenuto minimamente cura. Zero. Ora non voglio finire con i miei soliti piagnistei del cazzo. Mi odio molto e vorrei riparare in qualche modo a questa situazione. Ma le opzioni non ci sono. Non le vedo e forse non ne voglio anche. Ecco, qui mi voglio fermare e aprire una riflessione.

bleeding-heartE’ stato giusto? E’ valsa la pena? E’ stato importante? Per la risposta è sempre si. Io quando sbaglio lo faccio alla grande. Finisco nella merda con tutti i piedi. Divento rissoso e appendo il muso a chiunque non tenta di capirmi. E sbaglio ancora di più. Sono arrivato a svenire e a farmi venire gli attacchi di panico, e credetemi, a caro prezzo nel giro di cinque minuti ho pagato tutto. Adesso, col senno di poi, se tornassi indietro rifarei tutto in maniera diversa.

Adesso, ho coscienza del fatto che chi ti ama non scappa via, e non si nega. Anzi. Chi ti ama ti capisce, e se non ti capisce ti da almeno la possibilità di spiegarti. Probabilmente io ho amato, e quando ami fai pure le cazzate, invece per lui ero uno dei suoi tanti flirt per sfuggire alla monotonia di una routine o della noia che inevitabilmente colpisce una coppia, o che so io. O più semplicemente un gioco, di cui io, neanche a dirlo ne pago tutte le conseguenze.

Capite bene, che trovando la sua fine nel giorno di San Valentino non posso non farne un dramma. Non posso che non chiudermi in casa e prendere a testate tutti i muri. Non posso che non deprimermi e chiudermi definitivamente finché, mi auguro, inciamperò in qualche altro ragazzo carino. Mi viene solo da non capire come due persone, come me e te, che si, in qualche modo si vogliono bene, siano arrivati a farsi tanto male. Per questo mi dispiace.

E proprio perché è San Valentino, ho letto diversi post su facebook oggi che mi hanno un po’ infastidito contro i single che odiano questa festa. Non odiamo questa festa. Niente affatto. Non la malediciamo a prescindere. Non odiamo chi ama. Siamo soli però. E se per alcuni essere single è sintomo di libertà, di scegliere con chi andare e non, di essere liberi di vivere una notte come si vuole, bé ecco, ci tengo a sottolineare che dopo che ne fai di ben donde ti accontenteresti anche di un tuo di Baci, magari nella versione con le frasi di Tiziano Ferro. E una pizza, solo con chi ami.

Perché poi questo è quello che conta. I single non diventano acidi a causa di una festa. No. Siamo solo un po’ tristi. E dividiamo con altri amici, single anche loro, la voglia di condividere qualcosa. Che sia giusto o sbagliato io non lo so. Purtroppo è così. E oggi altro che festa. Sanguino direttamente del cuore. Che si è rotto un’altra volta. E ora tocca andare a ritrovare i pezzi. E, inevitabilmente, ricomincia quel gioco spietato che io, davvero, non vorrei mai più.

Einvece.

Con la testa fra le nuvole.

nuvole

Nell’ultimo periodo ho volato tantissimo. Ergo tanto tempo per pensare. Forse troppo. Ecco, non mi voglio affatto dilungare con risvolti depressivo-maniacali-convulsivi su chi ha deciso di girarmi le spalle. In fondo non se lo merita neanche più. In realtà quando avevo deciso di chiudere il blog, lo avevo deciso per davvero. Non volevo più tornare su queste pagine a scrivere. Più che altro perché scrivere vuol dire rivivere di nuovo una determinata situazione e quindi soffrire. Ancora. E ancora.

Detto ciò, ero lì che me la volavo e affidavo me stesso solo allo scheduling dettagliato degli aerei che avrei dovuto prendere nelle successive ventiquattro ore, e nient’altro. Non avevo altra certezza. Dovevo solo portare il mio culo in Australia, con un viaggio che partiva da Roma e faceva prima tappa a Londra. Per un notte, per riposarmi, per ripartire l’indomani.  Arrivo a Londra in una serata freddissima, e prendo direttamente un autobus che mi lascia in albergo a cinque minuti da Heathrow.

Arrivato in camera avevo solo una gran fame. Non mi sono preoccupato della valigia, l’ho lasciata li in mezzo alla stanza, e me ne sono andato nella lobby dell’albergo per mangiare qualcosa. Un albergo a cinque stelle costatomi pochissimo con un ristorante di merda. Niente di invitante, la cosa più interessante è stata la mia scelta finale, ovvero un sandwich orrendo. Di li a poco però mi sarei fatto catturare dal solito specchietto delle allodole per i gay. Grindr.

Si perché mi sono accorto di essere già sotto wi-fi, e ci ho messo tre secondi ad accendere la maledetta app. Ho fatto anche subito a chiuderla però, non mi andava niente. Ero solo con me stesso una sera a Londra, e volevo starmene tranquillo. In realtà nella sala di fronte a me c’era un party. Ed io, ho deciso di andare a dare un’occhiata. Non so dov’ero finito. Probabilmente una di quelle feste aziendali di Natale. Sarebbe stato Natale di lì a poco, ma io non ne sentivo proprio lo spirito.

La caciara era tanta, la musica un pop abbordabile e mainstream e la maggior parte dei presenti erano usciti da un film di Bollywood. Tutti ubriachi naturalmente. Ed ovviamente nessuno di vagamente interessante. Ho sorriso ai presenti e me ne sono tornato in stanza. Mentre ero lì che cercavo di attaccare il telefono a caricare nella spina del bagno per il rasoio (l’unica in stanza non inglese), mi sono fatto una doccia e mi sono rilassato un po’. Mentre mi lavavo i denti l’occhio mi cade sullo schermo del telefono e vedo che qualcuno mi ha scritto.

E’ un altro ospite dell’albergo. Mi dice che è un pilota della British Airways ed è lì per la notte. E’ turco. Gli scrivo che non lo so. Non mi va di fare sesso. Non faccio sesso da quando lui se n’è andato. E doverlo fare con qualcun’altro mi rattrista. Mi sento ancora legato. Decido che forse la devo piantare di fare Rossella. E che domani è si un altro giorno. Ma sicuramente un giorno senza di lui. Sono lì, che mi guardo allo specchio ed invito il pilota in stanza.

“Stanza n. 1014 tra un quarto d’ora” gli scrivo. Lui è puntuale e dopo quindici minuti lo sento bussare alla porta. Lo faccio accomodare e parliamo un po’ di noi. Mi dice che è stanco, ha volato per tutto il giorno. Vuole rilassarsi. Io gli racconto del lungo viaggio che mi attende, e di quanto abbia bisogno di tranquillità, poiché l’ultimo periodo è stato abbastanza devastante. Durante la conversazione, passa a raccontarmi di Dubai ed inizia a massaggiare i piedi.

Di li a poco, ci ritroviamo abbracciati, e ci baciamo. E poco dopo ancora scopro che ciò che si dice sui turchi è vero. In realtà però i nostri corpi si avvicinano soltanto. Ma nulla di più. Lui mi dice che mi vede teso. Lo sono. Molto. Non so se andare oltre, mi dispiace perché lui è davvero un gran figo. Un fisico tonico, delle enormi spalle e muscoli pronunciati che non deludono affatto. E’ carino. Mi guarda e mi bacia ancora.

Io sorrido, quasi mi imbarazzo. “Can I take care of you?” mi chiede sorridendo. Io annuisco. Mi allungo sulla pancia ed inizia a massaggiarmi dal collo. Mano a mano scende giù, fino al sacro. E poi ancora più giù. Poi comincia a massaggiarmi con la lingua. Ovunque. C’è stato un secondo in cui ho pensato di fare di più. Ma il secondo successivo me ne ero già pentito. Come una pazza squilibrata mi è scesa una lacrima che ha rigato il volto. La testa era ancora fra le nuvole, e pensavo a tutt’altro.

In realtà lui, neanche mi avesse letto nel pensiero, si interrompe e guarda l’orologio. Si sono fatte le tre, ed io non me ne sono minimamente reso conto. Mi dice che è tardi, che l’indomani dovrà volare da Londra a Dubai e che ha riposato poco durante il giorno. Io annuisco, sorrido e mi rivesto, in fondo se avesse voluto fare altro lo avrebbe fatto già da un bel po’.

Mi faccio un’altra doccia e mi metto finalmente a dormire. Non voglio trovare un altro motivo per deprimermi. In fondo non volevo fare niente dal principio, e deciderlo, mi ha reso sicuramente un po’ più sicuro di me stesso. Anche se sinceramente non ho mai pensato che rifiutare del sesso sia indice di sicurezza. Anzi. Mi faccio rapire dalla morbidezza delle lenzuola e rifletto su quanto si difficile fare determinate cose. Chiudo gli occhi, cosciente di essere ancora un po’ triste. Ma passerà. Lo spero, almeno.

Ultimo.

A volte arriva il momento di chiudere. A volte non basta sforzarsi per fare in modo che le cose funzionino. A volte bisogna rendersi conto che non c’è davvero più niente da fare. Che non si può avere più niente. Bisogna solo accontentarsi di quello che è stato e nulla di più. Perché ad essere sinceri e a dire le cose come stanno ci si rimette sempre. Anche quando l’altra persona ti dice che non è così.

Ma poi tutto grida il contrario. E così devo passare alla censura, a dire a me stesso che determinate cose non le posso neanche scrivere perché il suo unico problema è stare attento a non ferire il suo fidanzato. Che ha già ferito lui. Ma inevitabilmente la colpa è tutta mia. E così se stai al suo gioco va tutto bene. Se non dici le cose come stanno siamo i migliori amici. Se poco poco hai la necessità di dirgli che ti manca.

Che vorresti vederlo. Che quello che è stato ha avuto tutto un significa diverso per te. Allora no. Sei il cattivo. Ma lui fa di tutto per dimostrarti che non gliene frega niente. Non muove un dito. Anzi. Allunga le distanze. Alza i muri. Ed io che sono notoriamente instabile inizio a stare male. Mi manca l’aria. Ma lui non lo capisce. Si sente solo di dirmi che per me è diventato un ossessione. Che gli rompo le palle. Che la devo smettere. Che se voglio posso fargliela pagare. Che non devo fare la vittima.

samantha

Ecco. Altra nota dolente. Più che una vittima sono un coglione. Uno che non riesce neanche a fargliela pagare. Come se mi ci fossi messo da solo in questa situazione. Come se non avesse fatto niente lui. E quindi arrivo alla conclusione. La chiudo qui. La delusione è troppa. Non mi va di parlare. Stacco la spina e per il momento anche il blog. Tanto lo avrei fatto lo stesso. A breve vado fuori. Dall’altra parte del mondo per l’esattezza.

Spero solo di dimenticare tutto. Tutto questo dolore, che proprio non mi si addice per niente. Le persone non cambiano per i propri partner, figuriamoci se doveva cambiare qualcosa per me. L’ennesimo errore. L’ennesimo fallimento. L’ennesima situazione in cui devo sparire per leccarmi le ferite. Inflitti una appresso all’altra come coltellate. Questa volta è più dura. Questa volta io speravo davvero. E quando si annienta la speranza c’è ben poco altro da fare. Bisogna solo capire. Nonostante il cuore voglia altro.

L’unica cosa positiva per tutti voi, e che per un po’ vi siete tolti dalle palle il sottoscritto. Contenti voi. Contento tu, soprattutto.

Au revoir.

Zero.

Preparatevi. E’ un post divertentissimo. (Non è vero, ma un preambolo più triste del post non mi è venuto in mente). 

Fin da piccolo ho sempre amato le sirene delle ambulanze. Per quanto significato di emergenza, mi hanno sempre affascinato. Le mie giornate sembrano essere scandite dalle sirene. Inevitabilmente ci sono finito in mezzo perché lavorando nella Sanità l’ambulanza me la sento riecheggiare praticamente dalla mattina alla sera. Questo per allacciarmi a come mi sento ultimamente. Ecco, avrei bisogno di un’ambulanza. Avrei bisogno che mi venissero a prendere e mi somministrassero qualcosa che mi faccia ritrovare la speranza. Qualcosa che mi faccia stare meglio.

Sono sempre stato molto positivo, nonostante la mia pienezza visualizzabile su ogni social, ho sempre trovato il sorriso nei momenti di più difficoltà. Ma adesso no. Non ci riesco. Non riesco a trovare pace. Non riesco a trovare la via per uscire da questo dramma. E i drammi, come di consueto, sono sempre dietro l’angolo. Anzi, io me lo sono trovato in piazza. Era una fredda serata di aprile, e lui mi stava aspettando. Era vestito benissimo, portava una giacca ed una camicia. Ricordo i colori, e ricordo le sue mani. E’ la prima cosa che guardo. Delle mani perfette.

Di li il tempo è volato. Ma lentamente. Prima ero l’amante, poi l’amico, poi di nuovo l’amante. Poi più niente. Di colpo. Poi sono stato il suo acerrimo nemico. Il capriccio di una sera. E di nuovo amici. Quando in realtà io ero su tutto un altro pianeta, e attendevo di risolvermi, e di stringerlo ancora tra le mie braccia, lui mi ha dato il colpo di grazia. “Me ne vado, ad inizio del mese prossimo mi trasferisco“. E li, in quel momento, il mio cuore che sanguinava si è spazzato. In milioni di microscopici pezzi. Ci siamo visti ancora, ci eravamo detti che saremmo andati a cena in un posto da tempo. Ci siamo andati. Eravamo lì, ma io ero assente. Completamente. Lo guardavo e vedevo che lui non c’era già più. Nei suoi occhi c’è ciò che lo aspetta a trecento chilometri da qui. E per me non c’è spazio.

cuore

Per me non c’è un dopo. Non c’è un futuro. Io sono qui, adesso, ed abbiamo scherzato. Abbiamo giocato. Niente è successo. Io mi sento ardere di desiderio. E lui si fa saltare i nervi perché uso appellativi inappropriati, secondo lui, per chiamare il suo fidanzato. Che ovviamente non ha tradito. Non è successo. Non era nel mio letto. Non era con me. No. Adesso ha capito che è stato tutto uno sbaglio. Tutto un errore. Ed io sono solo una che passava di lì. Chiunque sente questa storia mi fa pat pat sulle spalla e mi dice che devo dimenticarlo, che non vale neanche la pena.

Errore. Per me è valsa tutta la pena. Ogni gesto, anche se me lo ha fatto rimpiangere lui, l’ho fatto perché sentito. Quello che non capisco e non mando proprio giù, e il suo sguardo che trasalisce quando gli urlo per la strada che lo amo. In mezzo a San Lorenzo. Perché io me la vivo. Nel bene e nel male. E perché non c’è cosa peggiore che mentire a se stessi. E poi siamo stati tre ore a girare in macchina a cercare la strada per una gelateria. Ma il gelato non lo voleva nessuno. Ammutoliti. Come se fosse stata staccata la spina ad una malato terminale. L’onda è fissa, continua ed il bip è prolungato. Io sono morto, e nessuno se n’è accorto. Non mi do pace.

Lui è felice. Ha imparato la lezione. Adesso vuole impegnarsi per avere un rapporto corretto con il suo fidanzato. Basato sul rispetto. Lontano da me. Lontano da qui. Però va tutto bene. Mi scrive su what’s app, mi chiama , mi racconta le sue giornate. Va tutto benissimo. Io dovrei stare sereno. Dovrei stare tranquillo. Ma non lo sono. Mi sento svenire. E mi trascino da una parte all’altra della città alla ricerca di conforto. Non so dove andarlo a cercare, ma è così. E se guardo indietro, tutto mi parla di lui. E invece lui ha cancellato tutto da me. Ha fatto fuori i suoi social per non lasciare traccia di me.

E li ha riaperti da zero. Così che io, con ii miei like non ci fossi più. Non che fosse importante. E sono anche certo di non essere l’unico. Che ci sia sicuramente un Simone o un Alessandro che mi hanno sostituito. E un tarlo che mi punzecchia il cervello. Non lo posso dire con certezza, ma so che è così. Lui nega, ma non mi spiega. Perché neanche una spiegazione mi è concessa. Ed io guardo tutto dall’esterno, dopo aver finito le lacrime che ho in corpo, e mi sento solo uno zero. Un punto sbiadito della sua esistenza. Che non va da nessuna parte e vede sgretolarsi intorno tutto quello che di certo aveva.

Vorrei una carezza. Un bacio. Un abbraccio. Anche del sesso d’addio, volendo. Un emozione reale. Senza controllo. Ma so già che non ci sarà. E una volta lontano da qui, potrà finalmente ignorarmi. Per sempre. Come se non fossi mai esistito. Come se fossi proprio il niente. Come uno zero. Perché questo è quello che valgo. E il valore me lo ha dato lui. Al limite degli urli mi ha anche detto di dire tutto al suo ragazzo. Così, almeno sarei stato contento. Un altro errore. Sa benissimo che sono talmente sfigato che non lo farei mai, e non sarei mai capace di fargli del male. Non potrei mai.

Lui ride, scherza e prepara le valigie. Io ho la testa vuota e penso solo al giorno in cui definitivamente se ne andrà, e lo perderò per sempre. Ma devo stare tranquillo. Non cambierà niente. Me lo ripete come quando si parla ad una persona psichiatrica che non vuole prendere le medicine. E’ tutto ok, dice. Ma lo sa anche lui che non è così. Io non mi esprimo più di tanto e vivo questi ultimi giorni come un condannato a morte. Ma sono già morto. L’ho già detto, vero? Ripenso incessantemente a quel giorno al parco, quando il suo cane è scappato e lui si è scapicollato per andarlo a riprendere. Dovevo andarmene lì, e mettermi in salvo. Lì avrei potuto ancora salvarmi. Forse.

Switch On

kim

Questa volta è certo. Il mio è un ritorno. Negli ultimi tempi ho scritto poco, e anche male a detta di molti. Ma non mi interessa per niente. Avevo messo in stand by me stesso perché a volte è più semplice stare zitti che dire stronzate. E se voi mi conoscete almeno un pochino sapete che di stronzate io ne dico in quantità imbarazzante. Per questo ho deciso di resettare il mio blog che prima giaceva su blogger, prenderlo, rinnovarlo e spostare tutto su wordpress. Ovviamente appena capirò come modificare a meglio il tema, gli darò una sistemata. Ed una colorata.

Sapete è un periodo che tiro le somme. E questo fa parte di me. Sto cercando di capire se la mia vita sia un totale fallimento oppure posso ritenermi soddisfatto. A breve compirò 31 anni, e nella mia testa avevo fissato degli obiettivi che volevo raggiungere. Ma gliel’avrò fatta? Non lo so. O meglio, scopriamolo insieme, visto che questo Switch On serve proprio a questo. Insomma riepilogare un’attimo quello che sono. E che sono diventato.

#il lavoro

Lavoro nella sanità. Lo avrete capito se mi seguite su twitter. Ecco, la sanità nel Lazio non è che sia proprio una cosa che vada a gonfie vele. Per di più sono nel privato, che nei momenti di crisi tira sempre la cinghia. La cinghia naturalmente non è quella dei miei boss. Nient’affatto. La cinghia è propria quella mia e dei miei colleghi. Nella fattispecie un anno fa ci hanno tolto 300 euro con un cambio contrattuale dal giorno alla notte, adesso sono passati a pagarci l’80% dello stipendio. Sapete com’è. C’è crisi. Questa si traduce in un rodimento di culo maximo. Neanche a dirlo. E soprattutto ripenso a quando ho rifiutato un posto pubblico per rimanere dove sono. A me i gomiti ASAP.
Soddisfazione: lieve.

#l’amore 

AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH. Che ridere.

Partiamo dal presupposto che l’amore si fa in due. Un dato sconcertante, ma sufficientemente necessario. Ecco, io ho la capacità di innamorarmi sempre della persona sbagliata. Non è un problema alla vista, porto gli occhiali. E proprio che tendo, in maniera del tutto incomprensibile ad interessarmi a chi in realtà non mi caga neanche per sbaglio. Nel tempo ho capito che avevo bisogno di una mano per capirci qualcosa, per questo al mio fianco ci sono gli amici di sempre pronti a darmi la loro opinione schietta e fin troppo sincera: Guy e la Du Barry. Ai quali quest’anno ho aggiunto anche i miei Coinquiliners: Falpalà e Burina. Nonostante tutti questi consiglieri, al momento brancolo  nella singletudine più alienante.
Soddisfazione: totalmente insoddisfatto.

#il sesso

Dettaglio importante. Al momento le mie quotazioni sono davvero alte. Diciamo che sono incappato in una sorta di relazione che mi piace riassumere così: CONCUBINERS. Ebbene ho una sorta di tromba amico con cui mi intrattengo che a sua volta ha un fidanzato con il quale convive. Un quadro chiaro e semplice. Questo mi sottopone a devastanti ed appaganti sedute di sesso dove riscopre l’esistenza di una parte di me nascosta (Annabelle Bronstein: The Goddess of Sex), che inevitabilmente si scontra con la mia ingombrante presenza. Si. E’ proprio così. Sono insopportabile. Per il momento però tutto ok. Lui comunque è #IlRagazzoColSUV ed ASAP vi brieffo sui dettagli.
Soddisfazione: molteplici e di lunga durata. Tutto sommato è un Toy Boy!

#la famiglia

I miei sono in Abruzzo. L’anno scorso a settembre mio fratello è convolato a giuste nozze, creando in me la necessità di accasarmi ASAP. E poi diciamocelo, voi non siete stufi di sentire sempre la solita domanda “E tu? Quando ti sposi?”. Ecco, dopo il matrimonio del mio fratello ogni volta che torno a casa me lo ripetono a farmi sanguinare le orecchio. Adesso, non solo non posso sposarmi perchè non è legale, non passo perchè mi manca la materia prima. In realtà però, tutto questo hype nei mei confronti finirà a settembre, quando mia cognata darà alla luce il primo nipote maschio della mia famiglia. In che darà gran soddisfazione a mio padre, che continuerà la stirpe, a mia madre che finalmente avrà qualcosa da fare, a me che finalmente passerò in secondo piano. E come tutti gli zii diventerò una sola cosa soltanto: RINCOGLIONITO. Io non vedo l’ora però.
Soddisfazione: molta. Non sto nelle mutande.

Ecco, non posso lamentarmi. Non del tutto almeno. Questo è il mio ritorno. Adesso preparatevi, ho intenzione di dirvi tutto su quello che mi accade, come facevo un tempo, senza risparmiare i particolari, e senza esimervi dalle mie psichiatriche digressioni. Sperando che sia l’anno giusto senza dimenticare che il dramma è sempre dietro l’angolo. E che il passato, come tutto, prima o poi ritorna. Bene. Penso che circa 800 parole siano più che sufficienti. Almeno per oggi. Come dico sempre, stay tuned. (Leggasi LEVATEVI).

Il mio ex.

Naturalmente quando parlo di mio ex non mi riferisco di certo al tizio in foto. Ovviamente. In realtà c’è la foto del tizio perché proprio oggi anche lui ha annunciato di essersi lasciato, di comune accordo, con il proprio compagno. Ecco questo mi ha fatto sentire terribilmente vicino a Ricky. Per questo lo invito ufficialmente a condividere il suo dolore con me. Magari riusciremmo a condividere anche qualcos’altro, volesse il cielo. In realtà io voglio condividere con voi, miei fedelissimi lettori (#credeghe) la fine della mia storia. Se così si può definire.
#grindr
Era una calda serata di ottobre. Una classica ottobrata di metà mese. In cui le luci dell’imbrunire sono terribilmente instagrammabili ed hai solo voglia di Mcflurry con i brownies. Io ero in giro per Termini, ed in un momento di noia mentre facevo la fila al bancomat delle Poste ho avuto la fantastica idea di connettermi a grindr. Il male di questa nostra società – grindr, ma anche un po’ le poste volendo. Ricky non mi perdonerà mai per questo, e proprio in quel momento c’è stato l’inizio della fine. Ho iniziato a scrivermi con questo ragazzo carino. Pugliese, ventiduenne, trasferitosi da meno di un anno a Roma. 
Apro una parentesi. (A me i ventiduenni non hanno mai detto granché, però questo era molto carino. Inutile negarlo). Abbiamo cominciato una solita ed inutile conversazione, senza troppo pensarci su, e poi fin da subito abbiamo deciso di passare all’azione pianificando un incontro. Non in giornata, ovviamente, ma nei giorni a seguire. Una normale e inespressiva conversazione da grindr sottolineerei. Qualche giorno dopo ci siamo risentiti, ed abbiamo deciso di comune accordo di vederci la sera successiva. Detto fatto. 
Ricky, avresti provato dell’invidio subito. Ci diamo appuntamento a San Giovanni, e da li abbiamo iniziato una passeggiata-chiacchierata molto intensa. Un tipo simpatico ed educato, che non te lo aspetteresti essere uscito da grindr. Uno che riesce a coniugare i verbi e che per la prima volta mi è sembrato abbastanza genuino. Però, in me cresceva dello scetticismo. Insomma davanti a me avevo un ventiduenne. A me i ventiduenni non hanno mai stimolato niente di niente. Scetticismo e non solo, iniziavo ad essere molto confuso.
#thedramaisalwaysoverthecorner
Pausa riposaculo al Coming Out, e il primo momento drammatico. Mi appare davanti lo Gnoffolo. Lo Gnoffolo è un nuovo protagonista del mio blog, di cui presto vi racconterò in maniera più dettagliata. Non ci vedevamo da un millennio, ed io ero incredulo. Ero lì a far incontri al buio quando lo avrei limonato molto volentieri. Lui però si accompagnavo con il suo fidanzato. O almeno quello che, io penso che sia, il suo fidanzato. Saluti di rito e arrivederci ASAP. Riprendiamo a parlare e a conoscerci. Scopro che studia Teologia (!) ma non per far il prete. Vuole diventare avvocato della Sacra Rota. 
Sono davvero incredulo. Ma inizio a sentirmi a mio agio. Io, ovviamente, gli parlo senza peli sulla lingua, d’altronde ho una certa età per permettermelo. Gli spiego che mi piacerebbe innamorarmi, che non disdegno il sesso ben fatto, e che comunque mi piace molto fare sesso. Lui è d’accordo, un rapporto senza sesso, muore sul nascere. Lui ci tiene a sottolineare che è un tipo molto religioso. Ma è open, è tutti possono avere i proprio svaghi e passatempi. Lui vuole che io capisca che ha bisogno di frequentare la Chiesa. Io lo ignoro e penso solo al momento io cui glielo prenderò in bocca. Per intenderci.
Ci fermiamo davanti il Carcere Mamertino. Mi racconta di San Pietro carcerato, della sua caduta mentre scende nel carcere, e siamo vicini, mi prende la mano, e iniziamo a guardarci negli occhi. Dritto dritto. Veniamo interrotti da un gruppo di americani che alle 22 passate sta in giro per monumenti. Poco dopo rimaniamo di nuovo soli, e li, inevitabilmente scatta un mega limone. Devastante. Pieno di lingue. Pieno di dolcezza. E soprattutto, valalalasss se ci sapeva fare. Io già mediamente innamorata.
#unasettimanadopo
Vabbè, vi risparmio tutta la melanzosa settimana seguente. In ordine sparso abbiamo fatto tutte le cose che normalmente odio che facciano le coppie: shopping insieme tenendosi mano nella mano, comprare regalini stupidi per lui, comprare cover per l’iphone con cuori, presentarlo ai miei coinquilini, presentarlo ai miei amici, portarlo alla Popslut night con me, pomiciare davanti a chiunque alla Popslut night (per la serie pensavate tutti che ero una sfigata orrenda e invece ho un toy boy e voi no, levatevi asap), parlare come se ci conoscessimo da una vita, dormire insieme, pranzare insieme, cenare insieme quasi sempre. 
Lo so. Abbiamo bruciato tutte le tappe in una solo settimana. Il primo vero drammatico momento c’è stato al decimo giorno quando è partito per la sua terra natia per le celebrazioni della festa del patrono. (#piena). Anche se ci siamo sentiti davvero spessissimo che quasi non ne ho sentita la mancanza. Ritorna e non riusciamo a vederci, per diversi motivi che oggi manco mi ricordo, ma si prepara un dramma epocale. Devastante. Di epiche proporzioni che mai e poi mai avrei immaginato.
Mi arriva a mezzo What’s App uno screenshot di lui, il mio +1 non ancora accreditato del tutto, connesso su grindr. Maledizione. Inevitabilmente, il colmo per Annabelle Bronstein. Avere una sorta di fidanzato che fa ciccipucci dalla mattina alla sera e poi si fa beccare su grindr. Ero già nella posizione di dover rinunciare al mio happy ending? Ci ho dormito su una notte intera, ed il giorno dopo, mentre lui era di ritorno a Roma io senza mezzi termini gli ho inoltrato quello scatto. Ebbene non ha avuto un moto di vergogna, nient’affatto. Non ha pensato di scusarsi. Nient’affatto. Non ha neanche pensato di trovare una scusa vagamente plausibile. Nulla di tutto ciò. Voleva solo sapere chi me lo avesse detto. 
Ovviamente io non ho mandato giù la cosa. Devo essere sincero, non tanto per grindr. In fin dei conti non eravamo affatto fidanzati. Ci poteva stare, e probabilmente lo avrei anche capito e sarei andato oltre. Ma c’era qualcosa che non mi convinceva nel suo atteggiamento. Che fino al giorno prima era di una persona davvero coinvolta. Purtroppo però è ripartito ancora, per le terre natie. Sapete altre feste di santi e/o patroni di cui non mi ricordo davvero un cazzo. Abbiamo continuato a sentirci ma di meno. E l’incontro prima che partisse, da cui mi aspettavo delle scuse almeno, non ha prodotto che altre pippe mentali.
Pippe che mi sono fato per giorni e giorni. E dopo un’altra settimana ancora ci siamo rivisti. Finalmente. Era carino. Molto. Abbiamo riso e scherzato un po’, quando poi ho ripreso il discorso spiegandogli il mio disappunto nel non avere alcuna spiegazione per quanto riguardava l’Affair grindr, lui mi ha detto che potevo stare tranquillo, che in realtà aveva aperto grindr per scriversi con alcuni amici di giù di cui non ha il numero, ma solo il contatto gridr. Eppure c’era qualcosa che non mi tornava. Avevo l’impressione che non era tutto. Mi viene in mente di aprire il mio grindr, non so per quale motivo non lo avevo aperto più dal giorno che ci siamo incontrati.
Gli dico di connettersi su grindr, volevo vedere se gli arrivavano dei messaggi e se riuscivo a vederlo connesso, avevo il dubbio che mi avesse cancellato. Prima usa la scusa della batteria scarica, poi finalmente lo accende, e mi accorgo dell’orrore. Mi aveva cancellato. Ecco, in quel momento esatto nella mia testa è partita Goodbye, ed ho chiuso definitivamente tutto. Cancellato all’istante. Appurato che mi aveva bloccato, era chiaro che aveva ben altro da nascondere. Io invece non avrei tollerato abbastanza. Lo salutai, in maniera del tutto indifferente.
E chiuso. Ovviamente non si è fatto più sentire. Fino al giorno di Santo Stefano, dove lo ignorato fino a che ho potuto, ma ho dovuto assolutamente rispondere. Perché ovviamente si, ero piena. Ebbene, è evidente che adesso io e Ricky Martin possiamo dimenticare le nostre storie e finalmente farne di ben donde insieme o anche solo rifarci una vita. Io naturalmente sono qui in attesa di un suo invito, e sono sempre più certo che non esiste un fidanzato per me. Certissimo.