Switch On

kim

Questa volta è certo. Il mio è un ritorno. Negli ultimi tempi ho scritto poco, e anche male a detta di molti. Ma non mi interessa per niente. Avevo messo in stand by me stesso perché a volte è più semplice stare zitti che dire stronzate. E se voi mi conoscete almeno un pochino sapete che di stronzate io ne dico in quantità imbarazzante. Per questo ho deciso di resettare il mio blog che prima giaceva su blogger, prenderlo, rinnovarlo e spostare tutto su wordpress. Ovviamente appena capirò come modificare a meglio il tema, gli darò una sistemata. Ed una colorata.

Sapete è un periodo che tiro le somme. E questo fa parte di me. Sto cercando di capire se la mia vita sia un totale fallimento oppure posso ritenermi soddisfatto. A breve compirò 31 anni, e nella mia testa avevo fissato degli obiettivi che volevo raggiungere. Ma gliel’avrò fatta? Non lo so. O meglio, scopriamolo insieme, visto che questo Switch On serve proprio a questo. Insomma riepilogare un’attimo quello che sono. E che sono diventato.

#il lavoro

Lavoro nella sanità. Lo avrete capito se mi seguite su twitter. Ecco, la sanità nel Lazio non è che sia proprio una cosa che vada a gonfie vele. Per di più sono nel privato, che nei momenti di crisi tira sempre la cinghia. La cinghia naturalmente non è quella dei miei boss. Nient’affatto. La cinghia è propria quella mia e dei miei colleghi. Nella fattispecie un anno fa ci hanno tolto 300 euro con un cambio contrattuale dal giorno alla notte, adesso sono passati a pagarci l’80% dello stipendio. Sapete com’è. C’è crisi. Questa si traduce in un rodimento di culo maximo. Neanche a dirlo. E soprattutto ripenso a quando ho rifiutato un posto pubblico per rimanere dove sono. A me i gomiti ASAP.
Soddisfazione: lieve.

#l’amore 

AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH. Che ridere.

Partiamo dal presupposto che l’amore si fa in due. Un dato sconcertante, ma sufficientemente necessario. Ecco, io ho la capacità di innamorarmi sempre della persona sbagliata. Non è un problema alla vista, porto gli occhiali. E proprio che tendo, in maniera del tutto incomprensibile ad interessarmi a chi in realtà non mi caga neanche per sbaglio. Nel tempo ho capito che avevo bisogno di una mano per capirci qualcosa, per questo al mio fianco ci sono gli amici di sempre pronti a darmi la loro opinione schietta e fin troppo sincera: Guy e la Du Barry. Ai quali quest’anno ho aggiunto anche i miei Coinquiliners: Falpalà e Burina. Nonostante tutti questi consiglieri, al momento brancolo  nella singletudine più alienante.
Soddisfazione: totalmente insoddisfatto.

#il sesso

Dettaglio importante. Al momento le mie quotazioni sono davvero alte. Diciamo che sono incappato in una sorta di relazione che mi piace riassumere così: CONCUBINERS. Ebbene ho una sorta di tromba amico con cui mi intrattengo che a sua volta ha un fidanzato con il quale convive. Un quadro chiaro e semplice. Questo mi sottopone a devastanti ed appaganti sedute di sesso dove riscopre l’esistenza di una parte di me nascosta (Annabelle Bronstein: The Goddess of Sex), che inevitabilmente si scontra con la mia ingombrante presenza. Si. E’ proprio così. Sono insopportabile. Per il momento però tutto ok. Lui comunque è #IlRagazzoColSUV ed ASAP vi brieffo sui dettagli.
Soddisfazione: molteplici e di lunga durata. Tutto sommato è un Toy Boy!

#la famiglia

I miei sono in Abruzzo. L’anno scorso a settembre mio fratello è convolato a giuste nozze, creando in me la necessità di accasarmi ASAP. E poi diciamocelo, voi non siete stufi di sentire sempre la solita domanda “E tu? Quando ti sposi?”. Ecco, dopo il matrimonio del mio fratello ogni volta che torno a casa me lo ripetono a farmi sanguinare le orecchio. Adesso, non solo non posso sposarmi perchè non è legale, non passo perchè mi manca la materia prima. In realtà però, tutto questo hype nei mei confronti finirà a settembre, quando mia cognata darà alla luce il primo nipote maschio della mia famiglia. In che darà gran soddisfazione a mio padre, che continuerà la stirpe, a mia madre che finalmente avrà qualcosa da fare, a me che finalmente passerò in secondo piano. E come tutti gli zii diventerò una sola cosa soltanto: RINCOGLIONITO. Io non vedo l’ora però.
Soddisfazione: molta. Non sto nelle mutande.

Ecco, non posso lamentarmi. Non del tutto almeno. Questo è il mio ritorno. Adesso preparatevi, ho intenzione di dirvi tutto su quello che mi accade, come facevo un tempo, senza risparmiare i particolari, e senza esimervi dalle mie psichiatriche digressioni. Sperando che sia l’anno giusto senza dimenticare che il dramma è sempre dietro l’angolo. E che il passato, come tutto, prima o poi ritorna. Bene. Penso che circa 800 parole siano più che sufficienti. Almeno per oggi. Come dico sempre, stay tuned. (Leggasi LEVATEVI).

Gli Improbabili Appuntamenti di Annabelle Bronstein – Il Giornalista telefonico e il non-primo-appuntamento

Quando si esce da una storia la prima cosa di cui hai bisogno è di affermare di nuovo te stesso. E’ un processo comune a tutti. Avviene nei modi più diversi: shopping o taglio di capelli o rimorchiarsi chiunque capiti a tiro. Ovviamente si possono fare una di queste cose singolarmente o addirittura tutte. In tempi diversi.  L’importante è farle però. Io dopo la rottura con il mio toy boy non ho potuto fare altro che provarci con chiunque, che, come tutti sapete, è una cosa che non faccio.

Tra questi mi sono ritrovato su una delle solite app gay, Bender mi sembra, a scambiare intense conversazioni con questo tizio. Trentaduenne pugliese trapiantato a Roma, giornalista, amante del cinema e dell’arte. Io ero anche abbastanza eccitato, a dire il vero per tutti questi interessi. E già ero li che mi immaginavo un devastante lieto fine. Abbiamo iniziato con la solita chattata di rito. Dopo tre giorni di chiacchiere via app siamo passati a telefonarci.
Al settimo giorno di telefonate frequenti e dettagliaterrime, abbiamo avuto la nostra prima telefonata con amplesso telefonico. Non me lo aspettavo. Non pensavo che dal parlare di quello che avevo fatto il pomeriggio a regalarmi un solitario condiviso al telefono il passo poteva essere così breve. Mi sembrava logico e scontato fissare un incontro. Insomma, cos’altro dovevamo aspettare? Il mio giornalista di cinema e cultura però tergiversava e sonoramente. Non mi tornavano i conti. 
Non mi tornavano soprattutto perchè aveva un livello di dolcezza inaudito e spropositato. Ogni volta mi tirava fuori una filippica di dieci minuti su quanto gli sarebbe piaciuto abbracciarmi, baciarmi, leccarmi ovunque. Su quanto gli piaceva fare l’amore. E ci teneva a sottolineare che lui faceva l’amore. Non faceva sesso. Il sesso era freddo, allontanava e per lui perdeva tutto di significato se non si usava la parola AMORE. Lui aveva avuto solo fidanzati. E quando sentiva che l’amore diventava sesso per lui era finita. Non c’era niente che lo faceva tornare indietro. 
L’ottavo giorno ero assolutamente deciso ad andare a segno. Ci sentiamo a pranzo e la telefonata assume dei toni surreali.

“Hey ciao come stai?” mi dice sensuale.
“Bene… Sono al lavoro… E’ una giornata pesante qui!” dico serio.
“Io sono a pranzo con un mio amico. Nicolas… (Pausa, molto lunga)”
“E?” incalzo io.
“Nicolas Vaporidis, lo conosci?” dice lui.
“NO! Il nome non mi è nuovo, ma non so di chi parli… Dovrei conoscerlo???” (naturalmente sapevo assolutamente di chi stava parlando. Figuriamoci, ma non volevo dargli alcuna minima soddisfazione. D’altronde mica solo lui conosce gente che conta. Io conosco Fabry, e pure il Signor Ponza. Tiè)
“No, figurati è solo un amico. Comunque sai cosa farei adesso? Adesso…” e riparte con dettagli scabrosi.
“Ehm. No scusa. Sono al lavoro. Mi dispiace ma quando sono al lavoro queste cose non si possono fare” dico fermo e irremovibile.
“Ok. Dai sentiamoci più tardi allora” chiude lui.

Io inevitabilmente ci ho visto del malato. Dopo otto giorni di assidue telefonate e what’sappate ad ogni ora non potevo assolutamente sopportare che ancora ci eravamo visti.Soprattutto perchè mi condiva il pomeriggio anche con dettagli del suo corpo. Interessanterrimi, per carità. Insomma, che senso aveva. Tanto più che abitavamo a pochissima distanza. Ma la prova del nove l’avrei avuta in serata. Io avevo deciso che in qualche modo ci saremmo visti, i dettagli gli avrei decisi al momento. Random. 
Dopo cena quella sera ci siamo sentiti. Dopo le chiacchiere di routine il giornalista è inevitabilmente andato a finire su quello che gli piace di più fare, ovvero lo sporcaccione telefonico. Io ragazzi, ho sbadigliato. Sapete com’è, tutte le mattine mi sveglio alle 5:50 e dopo una giornata devastante uno sbadiglio se lo potrà permettere. EINVECE il dramma si era celato dietro l’angolo. Fino a quel momento. Mi è arrivato uno sbrocco devastante peggio di una doccia fredda: “Scusa ma io ti sto dicendo di quanto ti vorrei vicino, di quanto vorrei abbracciarti, e di tutte le fantasie che vorrei condividere e tu mi sbadigli in faccia? Ma io non penso che sia possibile una cosa del genere” tuona lui tutto incazzato.
Io, che tento di minimizzare in modalità LEVATISUPERASAP. “Scusami, hai ragione, sono stato inopportuno e ineducato. Solo che a quest’ora mi viene un sonno devastante. Sai essendomi alzato praticamente all’albUUUAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHH.” SBADIGLIO. Ancora una volta. Ancora di più. Panico. “Oddio scusa, mi è uscito ancora” dico vergognandomi come un cane. Manco avessi ammazzato qualcuno. Parte lo sbrocco. Quello vero. “Ma che davero???!!!??? Ma io dico si fa una cosa del genere? Senti se non ti interessa niente forse è il caso di smetterla qui. A me le persone che si comportano in questa maniera non mi piacciono proprio.” Sbluff. E chiude la conversazione.
Così. Neanche Il tempo di capirci qualcosa che lui mi aveva richiuso il telefono e probabilmente aveva già cancellato il mio numero. Per uno sbadiglio. Ho passato tre giorni a cercare di capire come mai mi aveva trattato in quella maniera barbara. Poi ho capito. Si trattava di un semplice maniaco telefonico. In questo caso giornalista edition. Ovvero uno a cui piace masturbarsi per telefono. La cosa più assurda è che qualche giorno dopo, sempre su Bender mi ha scritto un tipo, senza foto ma alla sua stessa distanza. E così nella mia testa mi si è insinuato il tarlo che era lui che mi stava mettendo alla prova.
Che cerchi? – mi scrive.
L’amore. L’amore vero. Quello con la A maiuscola. E una persona con cui condividerlo. Che non abbia paura del sesso. E che non si masturbi al telefono. 
Ovviamente dall’altro lato non mi ha risposto più nessuno. Tana per te!

#2014

E’ sempre abbastanza difficoltoso riprendere le file di questo discorso. Ma lo riprendo, ed anche volentieri. D’altronde fare il blogger è il mio passatempo preferito. Proprio per questo motivo inauguro il primo post del 2014 con una serie di paragrafi. Così ci facciamo un’idea generale. Ovviamente in hashtag, perché ci piace così.
#nonhounfidanzato
E’ evidente che sono single. Anzi, come dico sempre io vivo la mia singletudine, che è una tacca peggio. Nel senso che ho tutti i requisiti per avere una dolce metà ma gli eventi mi vengono contro. Sempre. E sempre peggio. E se il mood costante della mia vita è “il dramma è sempre dietro l’angolo”, quest’anno ci aggiungo un tassello in più. Ma ve lo svelerò a breve.
#friendshipneverends
E’ ufficiale, le amicizie resistono alle peggiori tempeste. Alcune sono resistite anche al duemilatredici. Signori cari il duemilatredici è stato l’anno della devastazione. Si sono lasciati tutti. Tutti quelli intorno a me hanno sfanculato il proprio partner, e lo hanno fatto tutti nel peggiori dei modi. Quando si dice l’amore. Ma a questo punto meglio soli, con degli amici pazzeschi, che fidanzati con un coglione. Dato di fatto.
#buonipropositi? #unodiquestigiorni
Questione buoni propositi. Devo essere sincero. Ogni anno mi auguro di trovare un fidanzato, pubblicare il mio libro, avere un programma su Real Time ed un fisico semipresentabile. Ecco, nel 2014 non faccio e non voglio fare buoni propositi. Io sono la classica persona che quando soffia le candelina il giorno del compleanno poi le spezza ed esprime un desiderio. Sono sette anni che esprimo sempre lo stesso. E per ora non c’è neanche una remota possibilità che quel desiderio si avveri. Ma zero proprio. Ho deciso di puntare su ciò che ho. Ebbene ho un manoscritto pronto per la stampa (chiunque sia interessato, attendo proposte!!!), una voglia devastante di cambiare lavoro (ma ahimè!), la necessità di dividere la mia esistenza con un uomo. A 360°. Non ho detto a 90. Anche se sarebbe stata una battuta davvero efficace. Ad ogni modo sono del parere che non ha più senso sperare che le cose accadano e si realizzano. Bisogna passare all’azione. #bringtheaction
#chefinehafattoilprincipeazzuro?
Ovviamente tocca prendere coscienza della situazione in cui viviamo. A cena non si parla più, si controllano gli status su facebook e chi è online su Grindr. E’ un dato di fatto. Questo, inevitabilmente distrugge qualsiasi tipo di comunicazione. Non si riesce a parlare e ad avere una conversazione interessante. Addirittura si parla per hastag. Come me in questo post. Ma io lo faccio per essere super cool. C’è chi lo fa perché non ha più niente da dire, o perché ha perso interesse nel dirlo. E  tutto si ripercuoto nelle relazioni. E il principe azzuro si è dato, definitivamente.
#superasap
Ho deciso che questo sarà l’anno della mia soddisfazione. Inteso che sarò io l’artefice della mia felicità. Direi che a questo proposito niente è più appropriato di #Levatevi #SUPERASAP
Spero che questo post vi sia piaciuto. E’ un collage di tweet mai tweettati e appunti sparsi tratti dalle note del mio iphone. Per ovvi motivi la grammatica sé andata a far benedire. Non che in passato io abbia mai scritto bene. Ah, e per rendere più piccante e stuzzicante il post in realtà ci ho inserito il titolo del mio romanzo. Non lo capirà nessuno. Detto questo vi auguro uno splendente 2014. E vista la situazione, #staytuned

Gli improbabili appuntamenti di Annabelle Bronstein #1 – Il giornalista triste

Bene, devo ammettere che negli ultimi mesi di castigo sessuale che mi sono auto imposto, tra peripezie di ogni genere, per riabilitare la mia immagine agli occhi di me stesso, in primis, ho deciso di cedere a gli appuntamenti. Ed ho deciso che per tutta l’estate mi darò da fare a conoscere nuove persone. Persone con le quali scambio qualche messaggio sui vari siti e social d’interesse. Facciamola finita con la balla che uno va in discoteca o a fare l’aperitivo e incontra l’uomo della sua vita. Visto soprattutto che ci pregiamo tutti di un’intelligenza. O qualcosa di molto simile.

Ecco perché il mio primo appuntamento della stagione me lo sono ritagliato un pomeriggio di due settimane fa, circa. Lui mi aveva abbordato su Grindr qualche sera prima. Per essere più open e friendly quando torno a casa la sera tengo accesa la maleficaapplicazione. Così girando in macchina e passando per più quartieri mi auto costringo ad inflazionare il mio profilo. E inevitabilmente almeno tre o quattro persone rimangono folgorate (si è proprio il caso di dirlo) dalla prestanza del mio profilo. (#credeghe). In ogni modo mi scrive questo tale che noi chiameremo Enrico Mentana, visto che fa il giornalista free-lance.
Devo ammettere che nonostante l’ora tarda, (erano le due circa) è stato molto carino ed abbiamo conversato sul perché eravamo lì, in quel momento connessi a Grindr. Io ovviamente ho la tattica di non rivelare mai i miei veri intenti. Attendo sempre che l’altro si sconfessi per primo, per poi dire la cosa più giusta che si incastri meglio. Ed anche in questo caso non mi sono smentito. Lui cercava una persona da conoscere. Era stufo delle dinamiche Ciao, piacere, scopiamo, Addio. Ovviamente anche io sono stufo di queste dinamiche. E gli ho detto che non mi sarebbe dispiaciuto incontrarlo.
Mentana ha 38 anni, alto 190 cm, fisico importante ma non grasso. Rosso. Barba e testa rossa. Un dettaglio che nell’ultimo periodo ha sempre stuzzicato, e non poco la mia fantasia. Insomma a me, nella mia testa, dove c’è quel piccolo e solitario neurone vagabondo, un sexy sollazzo con un bear rosso, vestito di camice a quadri e jeans attillati non sarebbe affatto dispiaciuto. Ma noi (cioè io e Mentana per capirci) volevamo qualcosa di più. Quella cosa che ti fa venir voglia di andare oltre e conoscere in maniera esclusiva qualcun altro. La passione. I fuochi d’artificio. Mi spiego?
Ed infatti cinque giorni dopo, eccomi aggirarmi in quel di Monteverde Vecchio, alla ricerca della sua via. Finalmente arrivo. Abita in un palazzo vecchio ma carino, al  piano terra, che in realtà è un piano alto. Appena entro dentro lo trovo affaccendato al pc che scrive. Naturale, penso è un giornalista d’assalto del la capitale. Ma vengo invaso da una svampa devastante che mi addenta al naso. Mentana deve aver letto il disgusto sul mio volto e si affretta a scusarsi “Mi dispiace, purtroppo sono stato fuori per lavoro, e ho ritrovato casa inondata. C’è stata una perdita dall’appartamento di sopra ed è saltato l’impianto elettrico e c’è muffa ovunque. E’ un disastro”. Che tristezza.
Porello, a saperlo mi portavo dell’ossigeno portatile, così evitavo di estinguermi. Decido di soprassedere questa devastante puzza ed inizio a parlare del più e del meno. Mi racconto parlando di me, del mio lavoro, dei miei interessi. Perdiamo anche dieci minuti a parlare de La Grande Bellezza di Sorrentino, film che lui ha già visto e che rivedrà ancora con i suoi amici. Gli racconto delle mie storie passate, della mia passione per la scrittura, e per l’innata e sempre stimata voglia di cazzo. In maniera molto naturale a dire il vero, perché in fondo a una certa età bisogna pure diminuire i filtri, ed essere sinceri.
Ma i gay si stufano subito. Si stufano a tal punto che ti viene voglia di buttarti dalla finestra, nonostante sia un piano alto, e sai che non ti farai assolutamente male. I suoi lunghi silenzi ed il suo annuire e basta mi hanno fatto venir voglia di leccare la muffa dai muri e morire in una maniera molto strana come se fossi in CSI New York. Mentana, il giornalista, non si è scucito né mosso. Seduto sull’estremo più lontano del suo divano a tre posti mentre io annaspavo chiacchiere inutili e soporifere su di me. Sono riuscito a scuoterlo un attimo quando gli ho chiesto delle innumerevoli stampe appese ai muri. Finalmente un guizzo. Un luccichio in quei occhi tristi ed annoiati.
Mi ha dettagliatamente raccontato la storia di ogni stampa, dove li ha comprati e per quale motivo. Addirittura di una mi ha detto che ha tirato il prezzo, con il venditore, pagandola una stronzata. Ma il suo valore è ovviamente inestimabile e prezioso. Tutto ciò mi sa irrimediabilmente di collezione di farfalle. E rido tra me e me. Ma forse ognuno ha le sue. Io colleziono cd dannatamente pop, biglietti dei concerti, stagioni di telefilm di Grey’s Anatomy  e flyer della Popslut Night. Insomma pure io posso sembrare un mezzo psichiatrico non vi pare?
Ma non è tanto questo. Io capisco che in periodi come questi il sesso ASAP e asettico è privo di ogni senso e raffredda le voglie. A tutti. Ma essere anche totalmente disinteressati e morti cerebralmente aiuta ugualmente? Insomma qualche tempo fa anche se dicevo CACCA o PIPI’ l’occhio del mio interlocutore era almeno vispo e presente. Mi sono arenato. E lì in quel salotto ho messo la parola fine a quella farsa bella e buona. Mi sono fumato una sigaretta, e mi sono defilato, ringraziando per il piacevole pomeriggio (???) e fuggendo come se non ci fosse un domani al limite della corsa.

Adesso oltre a metterci in nomination per i #MIA2013 seguendo questo link, mi è venuto in mente se ho davvero bisogno di questo. Di questo vuoto assoluto, impacchettato e privo di ogni sentimento? Privo di un qualche respiro spontaneo? No. No. E ancora no. Non si rianimano le storie finite, figuriamoci se posso perde tempo a rianimare i morti in partenza. E’ evidente che Mentana non è il mio lui. Ma non mi fermo, non mi arrendo e vado avanti. Perché l’improbabile appuntamento numero 2 è già alle porte e ve ne renderò conto ASAP. As usual.

Serena Ferretti.



Ieri sera il tweet di cui sopra mi ha lanciato nello sconforto più assoluto. Si perché basta guardarsi intorno per capire che tutti si sposano. Chiunque fa il grande passo. Ed io, e a questo punto non solo io, sono arrivato alla conclusione, che si forse il matrimonio, inteso più come due individui che si uniscono, non è poi così male. No. Sono sincero. Ho sempre odiato l’idea di doversi giurare amore eterno. Per me si è sempre trattato di una sorta di contrattualizzazione nero su bianco dei sentimenti. E i sentimenti, seppur sinceri possono cambiare.
Ma quest’anno, un po’ forse perché mio fratello si sposa, un po’ perché sono in una fase no alternata e prolungata (Tracey Ullman mi leggi?), mi sento di rivalutare tutto. Nella maniera più positiva ed inaspettata che posso. Si perché in fondo io ho cambiato idea a riguardo. Insomma sono arrivato a pensare che sia più un impegno reciproco che ogni giorno va onorato. Costruire mattoncino dopo mattoncino la quotidianità, dividere le sofferenze e gioire dei successi. E bè, poi amarsi, ovviamente. Fare l’amore. Ci sta tutto dentro. In ogni senso anche. Ma non solo, essere responsabile di un qualcosa.
Ovviamente, come tutti sappiamo, mentre il mondo, lentamente si sta aprendo alle unioni omosessuali, qui in Italia il discorso è ancora difficile e poco considerato dai più. Anzi. Più semplicemente non esiste. Ma voi, single vi sposereste mai? Ecco, il mio tarlo si è bloccato esattamente qui. Io, conoscendo il gay medio (capitolino), non mi sognerei di sposarmi mai e poi mai. Ma non perché voglio fare la figa di legno o quella che ha un’eccessiva considerazione di se. Niente affatto. Io so semplicemente che non c’è ne, almeno per me.
Oramai penso davvero di averne provate di ogni. Mi manca giusto di vendermi all’asta al migliore offerente. E penso che alla fine non mi si comprerebbe nessuno. Ma facendo delle accurate riflessioni tra me e me ho concluso che io sono sempre la persona sbagliata, al momento sbagliato, nella vita di qualcun’altro. E questo, non puo’ che non darmi il sensore che non avrò mai la mia relazione equilibrata, sdolcinata, sincera e paritaria che per me sogno. Lo so, volete degli esempi. Ne avrei a bizzeffe, ed anche se non vorrei, tocca generalizzare.
Quando decido di fare solo del sesso senza complicazione alcuna incappo in quello che vuole un fidanzato che gli faccia i grattini sul divano. Quando decido di fare io quello che vuole una relazione incontro quello che è nella fase che si vuole solo divertire. Quando decido che devo allargare gli orizzonti e voglio solo un appuntamento, inciampo in chi invece ha una vita talmente esageratamente fitta di impegni che Barack Obama Levati ASAP.
Quando decido di ignorare il mondo intero perché ne ho abbastanza di tutte le tipologie di uomini finora citati, sbuca un qualche demone dal passato che modifica il suo status da single a ufficialmente fidanzato su facebook e perdo la parola per almeno due settimane. Quando mi viene in mente l’unico che forse potrei amare follemente sopra ogni cosa, bè, non fatico a ricordare che in realtà, ecco. Mi odia. Ma potrei andare avanti per ore. E potrei fare esempi sempre più precisi e calzanti.
Mi trovo davanti un bivio. A destra la Singletudine e a sinistra un burrone. E nonostante il sesso, quello fatto bene, adesso siamo nella fase che non ti incontri neanche più per scopare. Perché ci sono troppi km di distanza. Mi chiedo ma io che male ho fatto? Che problema ho che alla fine della giornata appaio ai più come uno spostato? Oppure sono gli altri che sono spostati? Non lo so. Io mi riservo solo di avvertire un senso leggero di amarezza. Profonda desolazione. E voglia di fare le valigie e sparire sul primo treno come se non ci fosse una destinazione nota. E basta.
Per piacere pero’, non scambiate questo mio sfogo personale per una mal sana invidia verso la qual si voglia. Niente affatto. A questo proposito vorrei dire che io amo le coppie e quelli che stanno insieme. Li ritengo dei pionieri, delle entità speciali che non hanno nulla a che vedere col sottoscritto. Delle persone che hanno la forza di condividere sempre, qualsiasi cosa con il proprio partner. Gente davvero che meriterebbe un premio perché non solo amano, ma sono anche amati. Incondizionatamente.
Ed è questo il punto esaustivo di tutta questa drammatica faccenda. E visto che il dramma è sempre dietro l’angolo, sono certo che tutti o quasi vi state chiedendo chi cazzarola sia Serena Ferretti. Non lo so neanche io a dire il vero. O meglio, so che è una ragazza che sta per sposarsi, e che per il suo addio al nubilato è andata in giro per Roma per tre giorni a vendere magliette come da foto. Ed una l’ho comprata anche io, addirittura con un’offerta super generosa (a suo dire) di cinque euro.
Perché in fondo io sono solo una sfigata orrenda che crede davvero all’amore. E spero che ci creda anche lei. Perché in fondo aiuta sicuramente di più vivere in attesa della persona giusta, che vivere con quella sbagliata per tutta la vita. Anche se ecco, in giornate come queste mi verrebbe solo la voglia di prendere spaccare tutto ed urlare fino a consumare le corde vocali. Che pure quello, aiuterebbe un tantino, invece di passare tutta la serata a vedere gli album fotografici dei matrimoni di quelle cretine che venivano all’università con me. 

Quando si dice il karma

Come dire… A volte la vita è davvero molto strana. Anche se il sottotitolo per questo post potrebbe essere tranquillamente “il dramma è sempre dietro l’angolo”. Ma essendo una costante della mia esistenza, sinceramente rischio che di sto passo ogni post si chiami così. E invece no. Perché questa volta sono rimasto davvero molto basito. Diciamo che negli ultimi sette – otto mesi, visto che non sono andato oltre una pomiciata con la qualsivoglia in realtà ho intrattenuto un intenso scambio di messaggi con un tipo. Architetto, trentenne, castano, occhio azzurro. Insomma un bel tipo.
In principio le nostre conversazioni erano molto vaghe, ovvero parlavamo di quello che ci succedeva il giorno prima, dei nostri interessi vari, amici e via discorrendo. Conversazioni anche piacevoli. Ma poi, ad un certo punto, l’ormone si è insinuato tra di noi. Adesso, che sia chiaro, sono sempre stato scettico ai rapporti che iniziano così. Un po’ per esperienze passate che non hanno portato nulla di buono, anzi. Un po’ perché io sarò antico, ma preferisco sempre il contatto fisico. Che sia anche uno sguardo, dal vivo, ha tutto un altro peso. Non nascondiamoci.
E proprio perché il mio presupposto è questo, per otto mesi non ci siamo mai riusciti a vedere. Strano ma vero. Ma il giorno di pasquetta, finalmente i tempi erano maturi. Ci siamo dati appuntamento alla metro Garbatella, subito dopo aver passato la giornata con i nostri rispettivi amici. Intorno alle 20 mi avrebbe aspettato lì, per poi andare a mangiare un boccone insieme. E chissà che altro. “Aspettami vicino il ponte direzione Ostiense”. Il suo ultimo messaggio. Ed io lì ero. Sotto la pioggia. Mentre lentamente mi si fracicava un cm in più del mio corpo. E lui?
Lui non so davvero che fine abbia fatto. Dopo una ventina di minuti, mentre pensavo a come potermi mettere in contatto con lui, poco più avanti un rumoraccio mi distrae. Una botta violenta. Mi sono anche spaventato perché ero sovrappensiero. Una macchina inchioda, e quella dietro gli va contro senza rendersene conto. “Tutta colpa dei cellulari” penso tra me e me. Ed evidentemente io avevo un problema simile, ma al contrario, poiché non avevo il suo numero. Avevo solo il suo contatto su Planet Romeo. Che insomma, la dice lunga.
Tornato ai miei pensieri, nonostante il trambusto post incidente, mi chiedo come al solito quando organizzo queste robe a cosa stracazzo penso. La prima cosa è chiedere un cellulare. E fare sempre una telefonata anonima almeno un giorno prima per vedere se qualcuno rispondo. Incazzato con me stesso in primis, e passati altri venti minuti, sento cocente la vergogna di un bidone addosso. Penso che forse è imbottigliato nel traffico e che sta arrivando. Poi penso che sono una sfigata orrenda, una poveraccia delle peggiori, e che mi fumo un’ultima sigaretta e fuggo via.
Detto fatto. Mentre torno a casa gli avrò mandato qualcosa come una trentina di messaggi. Messaggi ai quali nessuno mi ha mai risposto. Cioè ci pensate ad otto mesi a mandarsi i messaggi tutti i giorni. A qualsiasi cosa? Appena mi vedeva in linea mi mandava una faccina carina con una frase super simpatica che mi faceva sorridere all’istante. La parola giusta al momento giusto. Il buongiorno, la buona notte. Addirittura il messaggino con foto annessa mentre si abbuffava di nutella alle tre di notte. Insomma oltre che carino anche dolcissimo.
Tornato a casa mi sono arreso alla stanchezza, ed anche a tutti i miei preconcetti su di lui. Dovevo ammetterlo a me stesso e basta. L’ennesima, evitabile sola che potevo risparmiarmi. E si, ci sono rimasto male. Tanto male. Intanto gli avevo mandato anche un messaggio, che mi ero ripromesso essere l’ultimo: “Ti lascio il mio numero, così quando ritrovi le palle, almeno puoi chiamarmi”. Mi viene da pensare che sono doppiamente sfigata orrenda. Perché oltre al danno la beffa. Ovvero io che gli mando il mio numero di telefono. Ma tanto.
DUE GIORNI DOPO
Rientro al lavoro. Un po’ triste ma almeno senza più pesi. Ricontrollo Planet Romeo, e lui dal giorno di pasquetta non si è più collegato. Scomparso. Disperso. Probabilmente sulla Colombo, chissà a fare che e con chi soprattutto. Quando, il telefono squilla. “Hey, scusami, ho visto ora tutti i tuoi messaggi. Volevo spiegarti cosa mi è successo. Ho tamponato una macchina proprio davanti la metro. Ti stavo scrivendo un messaggio, ed il tipo davanti a me si è fermato. Io ovviamente non l’ho visto in tempo. E niente ho passato gli ultimi due giorni in ospedale con un trauma cervicale. Mi spiace, ma mica ci sei rimasto male. Ovviamente dopo non ho avuto modo di avvertirti. Mi spiace se sei rimasto male. Davvero…
Ecco. Adesso posso scriverlo. Il dramma è sempre dietro l’angolo. Sono una sfigata orrenda. E credetemi non ho davvero più le forze per gestire la mia esistenza. 

Luglio, grigio.






Rompo il silenzio. Nonostante il giovedì random sia una delle rubriche più criticate del mese, e nonostante le visite siano triplicate, mi urge aprirmi a voi. Come se non ci fosse un domani. E mai espressione fu più azzeccata per descrivere questo periodo. Chi mi conosce bene lo sa che io d’estate rinasco. Ma saranno i miei 29 anni, che non ho ancora accettato totalmente, e sarà anche il caldo devastante degli ultimi tempi, io mi sento davvero morire. Dentro, soprattutto. E non è affatto un bene.

Le motivazioni sono troppe. E diverse. Sono insoddisfatto per quanto riguarda il mio lavoro. E malgrado questo so che non è affatto periodo di lamentarsi per il lavoro. Insomma con sta crisi. Sono insoddisfatto per le mie amicizie. Riesco solo a litigare ed eruttare acido verso chiunque. Sono insoddisfatto per quanto riguarda la mia vita sentimentale. Anzi. Fate conto che non esiste. E non mi interessa davvero nessuno. Sono insoddisfatto della mia casa, e del mio coinquilino. E non riesco a trovare nessuno che mi dica “Ok, prendiamo casa insieme”. Nessuno.

E inaspettatamente sono insoddisfatto del sesso. E nonostante come mi sento, i miei oroscopi sono pazzeschi. Gli oroscopi che chiunque vorrebbe leggere la mattina. Io mi sento solo apatico. Triste. Spento. Morto. A tal punto che mi sembra di vivere la mia vita come se qualcun altro la stesse vivendo per me. E io sia intrappolato in una merda di avatar orrendo. E non mi riesco a liberare. Né dell’avatar né di quello che mi circonda. Vorrei scappare, davvero e non tornare più. Per almeno sei mesi. Ma sono un vigliacco.

E quando uno è un  vigliacco, e ne è cosciente, non è capace neanche di scappare. Non volevo scrivere robe simili, sinceramente. Ma devo un post nuovo a questo blog. E mi sono lasciato andare senza filtri. Perché prima o poi dovrò eruttare. E siccome mi capita di eruttare con le persone sbagliate, forse è il caso che io lo faccia qui, dove potete cliccare in alto a destra la croce e liberarvi di questo sfogo. Perché nel bene e nel male sono questo. E non posso non essere sincero. Almeno qui.

Se guardo indietro nel tempo ho sempre avuto una vita abbastanza altalenante. Non sono mai stato pienamente felice, e se forse lo sono stato in realtà c’era sempre un tassello che non era al suo posto. Forse è vero che io mi fisso. E forse è anche vero che chiedo affetto a chi in realtà non ha alcuna voglia di dimostrarmelo. Però se fosse per me mi chiuderei in casa dalla mattina alla sera senza mettere il naso fuori. E questo non mi piace. Sono spie insidiose di qualcosa che può trasformarsi in un qualche dramma, vero.

E si sa, che i drammi sono sempre dietro l’angolo. Ma dovrò pur ricominciare da qualche parte. Eppure non ci riesco. Sono insicuro. Talmente tanto insicuro che sto lentamente cominciandomi ad odiare. Odio la mia immagine, e la mia faccia. E i miei atteggiamenti. E sento crescere solo ansia. Un’ansia che mi sta consumando. Nelle ultime tre settimane ho passato il pomeriggio sul letto. A pensare. A pensare cosa scrivere. E non mi è venuto in mente niente. Quando in realtà potevo cominciare a chiarire innanzitutto a me stesso chi sono.

Perché in fondo è questo il mio problema maggiore. Chi sono? Sembra che tutti sappiano chi io sia. Lo sa mia madre, mio padre. Mio fratello. E addirittura la sua ragazza che mi conosce da meno di due anni. Lo sa mio zio, che sfrontato fa battute come se ci fosse una confidenza. Lo sanno i miei amici. Anche se poi mi incavolo per un nonnulla. Lo sanno i miei colleghi di lavoro. Che credono che il mondo finisce al di fuori del timbro marcatempo. E lo sanno i miei numerosi, e diversi amanti. Che pensano che mettere un cazzo in culo sia la soddisfazione più alta alla quale possano aspirare. O possa aspirare io.

Potrebbe anche essere così, per loro. Non lo metto in dubbio. Ma per me? Cosa è davvero importante per me? Questo non lo so. O faccio finta di non saperlo. Perché forse è meglio così. Fa meno male. In fondo quanti di voi vogliono soffrire in maniera cosciente. Nessuno penso. Io lo faccio, costantemente. E mi illudo che il domani sia meno grigio, quando poi il giorno dopo è sempre peggio di quello prima. E non ci sono movenze pop che tengano. Perché non mi va. Non mi va davvero di fare niente.

Lo psicologo, dirà sicuramente che devo capire da solo. Ma io non gliela faccio a capire niente. Riesco a malapena a capire dove mi trovo ultimamente, figuariamoci se posso capire qualcosa di così profondo e impercettibile. Almeno agli occhi miei. E mi dilungo in cattivi pensieri che non mi danno risultati anzi, insinuano ancora più dubbi. E perplessità. La mia unica mossa, ed è quello che farò, perché insomma, smerdarmi così in maniera chiara dovrà pur servire a qualcosa, sarà pensare a cose piccoli e facili da realizzare.

Cose con un obiettivo chiaro, raggiungibile  e misurabile. Senza aspettarmi troppo dagli altri, e da me stesso soprattutto. Ricominciare, poco a poco a riprendere confidenza con me stesso, e con i miei simili. Perché neanche più quelli capisco poi tanto bene. E sperare, che in fondo, tutto questo prima o poi finisca. O si esaurisca da solo. E pensare, per la prima volta, solo ed esclusivamente a me. Sperando che il caldo soffochi anche questo luglio grigio e triste.

Senza Titolo.

Quattro anni fa di questi giorni ero davvero felice. Ero convinto di aver trovato una persona. Sentivo le farfalle nello stomaco e volevo solo stargli vicino e vederlo. E baciarlo, e coccolarlo. Questo. Purtroppo però, quello che uno prova non sempre è semplice da gestire né tantomeno facile da esprimere. Soprattutto per me. Per questo, come al solito, ho trovato il modo di rovinare tutto. E subito. Il sentimento era questo. Ma ben presto si è trasformato in ben altro. L’assenza, sua, mi ha fatto leggermente impazzire. E di li a poco mi ritrovavo a scrivere mail nervose, incazzose e prive di ogni logica, per quello che stavamo vivendo che era nulla di più di una banalissima conoscenza.
Ovviamente, perché dopo quattro anni sto ancora qua a rimuginare su questa storia? Domanda lecita. Perché tutto a un tratto sbarabadaboom quello che per molto tempo ho finto di non provare, in realtà lo avevo chiuso in una scatola e nascosto nell’armadio. Ma la casa nasconde soltanto. E mentre riordinavo, mi ritrovavo tra le mani quella scatola con dei regali dentro mai consegnati che mi hanno fatto male. Preso il coraggio, di voler dire queste cose, più per me stesso a dire il vero, visto che lui a quanto pare sta bene a vivere la sua vita senza farsi la minima cura del sottoscritto, e anche giustamente aggiungerei io, gli propongo un’incontro. Perché quando agguanti il coraggio non lo devi far scappare via.
Ed io il coraggio lo avevo trovato, pur sapendo che sarebbe stato un incidente frontale contro un camion. Ma è molto complicato parlare se non hai un interlocutore. Soprattutto se l’interlocutore è uno che non ha neanche voglia di ascoltarti. E quindi, ripiombo di corsa nello sconforto che forse mai m’abbandonato ultimamente. Volevo dirti che mi piaci. Che mi fai ridere. Che mi sento perso se non mi consideri. E che forse io sono stato un coglione a comportarmi come mi sono comportato, e capisco bene che tu voglia solo che io scoppi. Ci sta tutto. D’altronde mi sono per primo definito come uno stalker, ironicamente parlando, ma forse con te i limiti li ho superati. Eccome.
Sono convinto che le cose possano cambiare, prima o poi, e che non è vero che vince chi fugge, anzi, chi fugge perde. Ma tu non sei fuggito. Mi hai giustamente ignorato. E poi ci ha pensato il destino, la provvidenza o quello che via fa stare meglio a portarti lontano. I drammi ovviamente sono sempre dietro l’angolo. Ma forse è il caso di piantarla. Me lo ripete Guy, sbraitando senza neanche lasciarmi parlare. Me lo dice Ga, con un sorriso furbetto. Ciù Ciù è più comprensivo, e in qualche modo capisce la mia posizione. Giulia, eterna romantica, la mia sposa abbandonata sotto il faro mentre attende lo sposo ritardatario è l’unica che nutre ancora una speranza. Io dal canto mio  non riesco ad alzarmi la mattina e dire “Ok, adesso basta. Faccio finta che non esiste più”.
Non è da me, e non riesco proprio a fingere. Per questo oggi, mi ritrovo a scrivere questo post, sunto riveduto e corretto di ben altri quattro post che ho scritto nei giorni scorsi e che ho prontamente modificato. Quando poi tra le mani ti ricapita quel regalo, volutamente comprato a Londra, perché sapevo ti avrebbe fatto piacere, la mia parte più debole esce fuori. Io me ne andrei scalzo a correre per strada a urlare il tuo nome e chiedere la tua attenzione. Come la peggiore delle ciociare. Ma poi devo ridimensionarmi. E rendermi conto che il gioco non è solo mio. Si è sempre in due. E se io sto ancora qua, e tu no qualcosa vorrà pur dire.
E se per alcuni dei miei amici mettere nero su bianco questi pensieri non è utile, perché aliena quel briciolo di dignità che mi è rimasto, e in fondo sotto sotto sono anche d’accordo con loro; per me stesso questo è uno passo inevitabile. Il mio passatempo è passare le giornate ad analizzare me stesso, cercare di capirmi di più, per esprimermi meglio, perché se comunichi male nessuno ti capisce. Soprattutto quando mando a fanculo qualcuno che in realtà vorrei abbracciare e coccolare. Vorrei. Appunto. Mi rendo conto che forse io sono stato solo impreciso. Immaturo. E vittima di regole di un gioco di coppia che in realtà non c’era ancora. E non potevo proprio permettermi di utilizzare.
Il caffè serviva a questo. Il caffè, di contorno, doveva accogliere questi miei pensieri e farteli capire. Non tanto perché mi aspettavo una tua reazione positiva. Non me l’aspettavo. Tu non sei più a Roma, e soprattutto non sei più solo. Dato da non sottovalutare affatto. Ma volevo solo che tu capissi. Che mi comprendessi, e in qualche modo mi perdonassi. Perché forse il perdono, quello vero, in situazioni del genere è l’unica consolazione alla quale si può aspirare. Davvero. Ma forse, mi rendo conto, che neanche questo merito. Potrei aspirarci, si. Ma non me lo merito. E i contrattempi normali di una capitale distratta hanno fatto il resto.
Il colpo è stato duro. Sono rimasto almeno venti minuti ad aspettarti a Termini mentre rileggevo il tuo messaggio. Si, ero a pezzi. E lo sono stato per diversi altri giorni. Poi mi sono detto che forse, come ho sempre fatto, dovevo rimboccarmi le maniche e ritrovare un po’ di serenità. Mi sono ripreso i miei spazi, e mi sono riposato. Ho visto gli amici, e infine sono tornato a casa per Natale. Anche se avevo poca voglia di festeggiare. Mi sono fatto coccolare dalla mia famiglia, perché in fondo loro ci sono sempre davvero. Mi sono goduto la stella del Natale, arrivata da poco, ma me la sono abbracciato e guardata. E forse ho capito che questa volta non era il caso di farne un dramma.
Che forse posso riuscire finalmente a superare il dolore di non sapere come sei davvero, e di lasciare quel mezzo cuore sul mio polso solo. Perché più che tu, forse quello sono io. E se è vero che l’amore cambia, spero che almeno abbia cambiato te. Perché io, per ora, me lo sono lasciato scappare. Ma solo per il momento.