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Categoria: Coming Out
Wenig Anleitung Annabelle Bronstein
Non sono impazzita. O meglio. Non del tutto. Ho sempre il mio povero, piccolo neurone impaurito che solitario vive nel mio cervelletto. Nonostante io l’abbia portato a prendere aria nella terra del wurstel, non si è ripreso affatto. Anzi. Questo è il mio post dedicato a Berlino. In cui ho passato una simpatica settimana con Guy e Ga. Non aspettatevi di certo una guida dettagliata della città. Per quello ci sono le innumerevoli guide per viaggiatori. Questo, invece, è un mio personalissimo resoconto sulla Berlino che ho visto e vissuto, e che mi ha stupito, entusiasmato e anche fatto riflettere. Con l’assoluta convinzione, che ciò che succede a Berlino, rimane a Berlino. E soprattutto non accade a Roma.
I tedeschi.
I tedeschi non sono freddi. Non sono antipatici. Non sono poco ospitali. No. Sono solo un tantinello stronzi. E non offendetevi, miei cari cugini tedeschi. Ammettete invece che lo siete. A noi, il mandolino, la pasta e la pizza. A voi la stronzaggine. E diciamocela una volta per tutte. Esempio 1. Arrivo all’aeroporto di Berlino, distrutto e quasi ridotto ai minimi termini per il lungo viaggio, al desk delle informazioni sui trasporti ci sono due ragazze italiane che amabilmente conversano in inglese con la tizia. Penso, che culo, ci metteremo un attimo a fare l’abbonamento per i trasporti. Quando arriva il mio turno, sfoggio il mio inglese migliore, e rispettoso, e mi sento rispondere dalla stessa tizia che lei non parla affatto l’inglese.
Insomma, due secondi prima era la cugina di Margaret Tatcher, due secondi dopo era la cugina stronza di Heidi. Se mai Heidi fosse tedesca. Ma vabbè, ci siamo intesi. Esempio 2 La signora kazaka del tabacchino/supermercato/internet point/copisteria sotto casa non aveva la più vaga idea dell’esistenza della lingua inglese. Qualsiasi idioma tu le avresti parlato lei avrebbe risposto in tedesco. Argomentando la sua chiusura mentale. E risultando ogni volta sempre più antipatica. Solo quando in italiano le ho detto tipo 8754 insulti d’ogni genere lei mi ha sorriso. Questo vuol dire che l’italiano, nonostante tutto, ha un suono dolce, e simpatico. Nonostante tutto.
Esempio 3. Immaginate che è tardi, che state perdendo l’aereo, che venite dalla metropolitana, e che nonostante la stazione del treno sia sotto il vostro naso, no, non la riuscite a vedere. Immaginate che di fronte a voi si materializzi un bonone alto due metri che tra le altre cose lavora nel favoloso mondo dei trasporti berlinese. Vi viene in mente così di azzardarvi a chiedergli, in maniera molto cortese, se per caso sa dove straminchia sta la stazione. La sua risposta? Con un tono alquanto minaccioso? “I HATE TOURISTTTTTTTTTTT”. Ecco, gelati, i tre cuori impavidi, hanno solo abbassato lo sguardo e fatto finta di nulla. Per lo meno conosceva l’inglese. Per lo meno.
Il senso della misura
In Germania non c’è il senso della misura. Perché fare un pacchetto di 19 sigarette? Perché non mettercene venti? E poi vabbè ce lo vendete a 4.70 euro? Oppure perché fare una bottiglia di Coca-cola da 125 cl? E non 150? Che senso ha? Nessuno. Io per lo meno non lo capisco. Andiamo ci hanno tolto un bicchiere? Bo? E poi che senso ha vendere il caffè da consumare al tavolo di più? Voglio dire, lo sparecchio io il tavolo, e non è che me lo metti nel bicchiere di vetro? Insomma me lo metti in plastica, che ti frega se mi siedo giusto due minuti a consumarlo, tanto il bicchiere lo butto io? No? No. Perciò il caffè lo paghi di più. Domande che non hanno trovato una risposta davvero plausibile. Ma forse sono io.
Vita gay
Va premesso che a Berlino circa l’80% degli essere viventi è frocio. Il sindaco per esempio. Ma anche tutti gli altri miliardi di persone che ho incontrato. Pensate che se camminate per strada, almeno le tre persone più vicine a voi sono gay. Questo è un dato importante. Soprattutto perché avete mai sentito un gay picchiato a Berlino? Forse è perché so tutti froci. Ma forse no. La zona gaia è Schonenberg, che ovviamente non si scrive così. Ma almeno si pronuncerà così. Due vie di una zona molto borghese piene zeppe di cruising e negozi a tema. Devo ammettere che noi non ci siamo molto trovati con quello spirito. Insomma erano tutti abbastanza stagionati per i nostri gusti.
Kreuzeberg, la zona dove noi abbiamo preso casa, invece offriva diversi posti friendly. Per esempio il Primo Maggio, il ristorante italiano sotto casa. Oppure il Roses. Una simpatica rivisitazione del nostro Coming Out al limite del kitch. Parete di peluches, discoballs e luci soffuse creano un ambiente accogliente e divertente. Insomma c’è chi se la parla, chi se la canta e anche chi se la balla. Ovviamente, anche chi se la limona alla grande. Noi abbiamo conosciuto ragazzi americani, brasiliani e anche spagnoli. Con i quali poi ci siamo organizzati per andare a ballare. Insomma, una roba che qui te la puoi scordare. E infatti dopo il Roses la serata si può trasferire tranquillamente allo Schurrrz.
O anche qualcosa di molto simile. Noi ci siamo andati addirittura due sere. La serata Telepopmusik, ovviamente, dove mi hanno rifilato Robyn e una Britney d’annata. Insomma roba che scotta. E che scoatta, anche. E anche movenze pop a go go. Certo il caldo era troppo, il sudore non ne parliamo, ma gliel’abbiam fatto vedere noi come ce la si balla. Il bello di questi posti è però che tutti avevano limoni e valalalasss da fare, tranne la sottoscritta. Ebbene si. Tutti eh. Nessuno escluso. I tedeschi poi sono difficili da approcciare. Ti guardano. Sorridono. E poi non ti cagano più. Voi li riguardate ma nulla. Loro sembra che facciano finta di nulla. E infatti io a bocca asciutta.
L’unica nota negativa dei locali è la sigaretta. Nelle discoteche si può fumare tranquillamente, e io sinceramente ho cominciato a provare un po’ di fastidio, visto che ecco non ero più abituato. Come non ero più abituato alla puzza di fumo dei miei vestiti. Insomma se appena arrivato ho gioito di questo dettaglio, poco dopo mi sono dovuto ricredere perché è effettivamente fastidioso. Hanno gli aspiratori, ma a mio avviso sono del tutto inutili se non hai l’aria condizionata. Ed ecco spiegato perché i tedeschi avevo l’aria di puzzare tutti. Erano tutti visibilmente sudati. Ed era ovvio anche il motivo. Insomma se schiumava che era una bellezza.
Berlino è Berlino
In tutto questo, mentre io ero indaffarato a fare fotografie e video di ogni genere, le mie amiche, Guy e Ga si sono dati totalmente da fare. Limoni, pubbliche relazioni, baci e abbracci. Insomma. Un valalalas dopo l’altro. Le foto che vedete in questo post alcune arrivano dal mio iphone e altre le ha fatte Ga. Ma c’è una foto sulla quale sicuramente vi sarà capitato di poggiare l’occhio. Lo so. C’è una vocina dentro di voi che vi chiede insistentemente chi straminchia sia Gaetano. E soprattutto perché qualcuno lo ha richiesto così a gran voce su una lavagna da menù di un ristorante di Berlino. Di questi e altri dettagli, vi parlerò molto presto. Anzi. Prestissimo.
E’ arrivato il Gay Village. E non solo
E’ importante sottolineare che la ricerca di un +1 non è una cosa così semplice, come a dirsi. Anzi. Poi se a cercarlo sono io, bè la cosa si complica. Se il week end scorso avevo in testa Totò e pensavo a come conquistarlo, come un provetto ispettore di C.S.I. mi sono dovuto rimettere a studiare tutta la situazione. Se l’espediente faccialibro era naufragato senza risultati interessanti, le chiacchiere al Coming non lo hanno minimamente smosso, ho deciso di cercare di capire se c’era una vaga e remota possibilità di interessargli. Certo vederlo passare tutta la serata a parlare con il Damerino non ha di certo aiutato la mia autostima.
Il Damerino, come dice il nome stesso, oltre ad essere un damerino, è anche un bel topolaus che oltre ad avere un titolo di studio, un fisico scolpito, e sempre l’argomento giusto di cui discutere, però non pareva affatto avere lo stesso interesse che invece Totò palesemente dimostrava di avere per lui. Immaginate io che parlo a Totò, lui che non mi caga affatto, sorride annuisce e si rimette a parlare con Damerino. Mmmm. No. E io a fare da tappezzeria alle fratte del Village proprio non ci tengo. Così la mia unica ed ultima possibilità era quella di darci giù di movenza pop. Dannatamente. Ma poco dopo anche quella è fallita.
Insomma mi era chiaro che a Totò non gliene poteva sbattere una ceppa-leppa del sottoscritto. Accusato il colpo, ma non troppo, però le mie amiche mi facevano notare che Damerino, invece, faceva il provolo e non poco proprio con il Signor Wilson, e che forse anche a lui non ne era del tutto indifferente. Anzi. Insomma, una gran casotto. Intrighi, complotti e movimenti che neanche in una puntata della Signora in Giallo. Così, compresa la situazione ho fatto spallucce e me ne sono tornato su quel dancefloor, a trovare il modo di fare stare zitta la vocalist, che senza un minimo di vergogna continuava a disturbare la nostra serata.
E su quel stra-maledetto dancefloor, ancora una volta, ho convenuto che A il dramma è sempre dietro l’angolo, B sono perseguitato da una jella che manco Rachel Berry e C mio cugino, notoriamente eterosessuale, dall’Abruzzo era davanti a me che se la scoattava con una banda di lesbiche. Non che c’era da preoccuparmi. Voglio dire, si vede che sono frocio. Però non avevo le forze di fare ciance in quel contesto. Proprio no. Così mi sono abbassato e buttato in ginocchio. Giusto all’altezza del pacco de il Signor Wilson. Ma insomma mi ci vedete sul dancefloor del Village che mimo rapporti orali mentre cerco di non farmi vedere da mio cugino?
Le mie amiche però, ancora una volta, mi fanno notare che forse non è così etero. Insomma ha fissato un tipo muscoloso per tipo tre ore e mezza. E mi viene in mente che forse poteva anche starci. In testa mi ritornano le estati a casa sua, con filmini e giornaletti porno. E noi che giocavamo con Federica la mano amica, e qualche volta andavamo oltre. Ma è così semplice? Insomma nella mia famiglia, dal lato di mia madre ho già un cugino gay che vive in Australia però, (anzi convive con il suo fidanzato con il quale ha comprato casa) mentre dal lato di mio padre, non c’era ancora stato nessun’altro oltre a me ad avere interesse per la ceppa. Ma poteva essere gay anche lui?
Con questo atroce dubbio siamo fuggiti. A gambe levate verso casa. Ma prima ci mancava la conclusione degna. Ovvero il Signor Wilson che chiede il numero del Damerino a Totò. E Totò che gli fa brutto. Lì. In diretta. Senza aspettare la pausa pubblicitaria. In quel momento, ho capito, ancora più velocemente che non era più il caso. Non era affatto cosa interessarsi a uno come Totò che non ha la più vaga idea di chi possa essere io. E soprattutto manco gliene frega. Con il Signor Wilson scosso, ancora, per l’infelice uscita, abbiamo ripreso la macchina. E abbiamo convenuto che la notte, ci avrebbe dovuto portare consiglio. O per lo meno un piccolo suggerimento. No?
No.
Proprio nella notte mi sono trovato a pensare alla oramai strapresentatainateprima sigla del Village. E poi anche allo spot del RomaPride2010. Adesso andiamo per ordine. Sia il pride che il village sono organizzati dalla stessa associazione. Dalla stessa persona. Adesso non sto a dirvi quanto io mi possa sentire offeso, e non rappresentato dallo spot del RomaPride2010. Questo non vuol dire che io non segua Amici o Will and Grace. Affatto. Il punto non è questo. Mi potrei dilungare per ore a dirne di ogni a riguardo. Ma vi pongo in essere solo un piccolo tarlo. Si possono spendere milioni di euro per lo spot del Village, e tipo 7 euro per quello di un pride? E poi, la miglior risposta me l’ha data la mia amica Tata. “Questo è quello che succede quando si lascia spazio alle lesbiche. Vi siete fatti ridicolizzare. E non fate nulla. Niente. Ma se non ci pensate voi ai vostri diritti, chi ci deve pensà?”. Parole sagge. Troppo. Che non lasciano spazio a nessun’altro tipo di commento. Io comunque, al RomaPride2010 non ci sarò.
N.b. Perdotane ma lo spot del Village, è così esclusivo che non è su youtube, l’unica cosa che ho trovato è il video dell’anteprima, che be ecco, fa abbastanza cagare. Ma era giusto per rendere l’idea. Ecco. Si.
La saggezza di mia Nonna
Nell’ultimo mese diverse volte ho pensato che avrei ucciso Annabelle Bronstein. Ma credo di essere arrivato a un buon compromesso. Lo solo torturata per quasi tre mesi. Istigata. E cercata disperatamente dentro di me perché l’avevo persa. Oramai credo che si tratti di marzo. Ogni anno a marzo c’è sempre qualcosa che in qualche modo mi fa stare nervoso o in tensione. E anche questo marzo non è stato da meno. Escludendo le mie performance teatrali che sono andate benissimo, da dopo l’ultimo spettacolo vivo come se io non controllassi più nulla di ciò che mi è a attorno. Ascolto le persone che mi parlano ma le parole non mi entrano in testa.
Tutto rimane sospeso. Vedo qualsiasi cosa materializzarsi e rimanere fuori di me. E non capisco il perché. Ho passato venti giorno ha torturarmi le meningi a chiedermi cosa fosse che mi mancava. Cos’era quella cosa che un attimo prima c’era e un attimo dopo puff, sparita. Non riuscivo a materializzarlo. Era Annabelle Bronstein, probabilmente. O meglio, il mio mood migliore. Quello sempre brillante, come dico io. Il lato più allegro e scanzonato. Quello fatto di movenze pop, e di Valalas. Purtroppo se n’era andata. E nonostante io organizzassi aperitivi in centro e serate in disco per ritrovarla, lei non tornava.
Ho pensato anche di mettere un annuncio tipo su Porta Portese, “Cercasi Annabelle Bronstein disperatamente”. Ma poi ho lasciato perdere. Dovevo capire da me perché se n’era andata e come dovevo fare per farla tornare. E mentre ci pensavo e mi aggrovigliavo il fegato per capire, ecco materializzarsi la risposta davanti ai miei occhi. Il computer. O meglio, quello che c’è dentro. Ancora meglio. Msn. E una barra rossa su un contatto. Quella barra rossa aveva escluso una persona, ma anche Annabelle. Il non sentire più quella persona mi aveva messo addosso un’ansia e un’insicurezza assurda. E avevo promesso a me stesso di lasciarla lì.
Non potevo tornare indietro. Quel contatto doveva rimanere lì, ma bloccato. In maniera del tutto voluta mi sono imposto di non parlarci più né tanto meno rispondere ai suoi commenti inutili e senza senso su faccialibro. E me lo sono imposto perché dietro quel contatto, per me, una persona non c’era e non c’è mai stata. Mai. Neanche la volta che ci siamo visti l’ho sentito presente. E questo perché mentre io mi preoccupavo di riposizionare l’asse del mio universo verso di lui, lui posizionava il suo verso quello di un caro amico, creando scompiglio e amarezza. E quanta amarezza non potete neanche immaginarlo.
E’ stata così tanta che Annabelle è scomparsa. E io non sono riuscito più a trovarla. Credetemi ho provato di tutto. Il sesso usa e getta, lo shopping compulsivo, il trucco pesante e le passeggiate in centro alla ricerca di qualche bonone. Nulla. Annabelle non c’era. Il problema era accettare la perdita e provare in qualche modo a vedere se Annabelle voleva scendere a patti. Ed ho patteggiato con lei. Le ho promesso di lasciar perdere quel ragazzo lì, e di ripartire da capo, ancora una volta. In fin dei conti cos’era per me? Valeva più lui che lei? Valeva più lui che io? Valeva più lui e i miei amici? No. No. No. E ancora un sonoro no. Ho deciso di mandarlo a cagare.
Ma non potevo farlo se fossi rimasto ancora a Roma e davanti quel fottuto e maledetto computer. Così giovedì ho fatto la valigia, ho messo la benza e sono partito con direzione casa. Abruzzo. Chieti. Teate. Lo so, ho avuto fegato. Ero partito con l’assoluta certezza di fare una sorpresa ai miei e di pensare e riflettere. In macchina mentre guidavo pensavo anche a come poter dire a mia padre e mio padre del mio interesse verso il sesso maschile. E giuro che per quasi 95 km ero convinto. Ma arrivato a casa, mi sono reso conto che non ero ancora pronto. Che non potevo esplodere, dire quel che ero e poi ritornarmene a Roma.
E poi il fatto che mio padre abbia già avuto tre infarti e diverse operazioni al cuore, mi ha subito fatto pensare allo Scamarcio di Mine Vaganti e mi è venuto il cagotto alla sola idea che il quarto infarto lo avessi potuto provocare io. Per cui niente. Ho lasciato perdere. Ma non ho lasciato perdere affatto la voglia di dimenticare quel ragazzo di cui sopra. Dovevo assolutamente trovare il modo di eliminarlo, così ho fatto un bel respiro e sono andato da mia nonna. Lei è l’unica che pensa sempre a me. E io con lei ho sempre parlato di tutto. Mia nonna è talmente saggia, che lei nelle orecchie ha saggezza e non cerume.
Così appena arrivato da lei, mi ha subito fatto sedere e mi ha dato il succo di frutta che fa lei, e mi ha guardato. Io ho cominciato a piangere e lei incredula e spaventata si è avvicinata e mi ha abbracciato e baciato. Mi ha stretto forte e mi ha chiesto se avevo combinato qualche danno. Io le ho sorriso e ho fatto spallucce e le ho detto che ero triste per una persona che non mi cacava neanche di striscio. Lei mi ha guardato, ha aggrottato il sopracciglio e ha preso un bel respiro. Poi ha detto quasi tutto d’un fiato in un dialetto comprensibile a tratti: “C’è bisogno che piangi per qualcuno? E poi, hai visto lo specchio?”. E io penso, oddio mo che c’entra qui lo specchio????
Lei mi prende e mi porta in corridoio davanti lo specchio. “Li vedi i miei occhi?”. E io, certo che li vedo, sono lì. “Lì vedi? Sono occhi arzilli perché sono felici di vederti. Li vedi i tuoi? I tuoi sono tristi. E se hai gli occhi tristi nessuno si innamora di te. Quando ti piace qualcuno, devi far vedere gli occhi allegri e poi non devi mai dimenticarti di quello che sei. Se no, solo rimani! E ridi. Che quando ridi, sei bello. Poi questa persona non ti fila? Bè il peggio è tutto suo. Pensa soltanto che non saprà mai quello che si è perso”. Ovviamente il tutto è stato tradotto per una perfetta comprensione.
In quel momento, esatto, le parole più ovvie mi sono entrate in testa e si sono rese comprensibili. Tutti i problemi di comprensione che avevo si sono immediatamente risolti e mi hanno fatto vedere la cosa per quello che è. Ovvero una gran perdita di tempo stare a struggersi per uno che non ti caca. Ecco cos’è. Mia nonna con quattro semplici parole in una lingua sconosciuta aveva chiarito ogni mio dubbio e mi aveva rifatto vedere per la prima volta in tre mesi quasi il bicchiere mezzo pieno. E il bicchiere stavolta era davvero mezzo pieno. Ritornato l’indomani a Roma ho ricominciato a nutrire Annabelle che giaceva lì nella mia stanza quasi in fin di vita.
Ed eccola finalmente, riprendersi il posto che le competeva. Annabelle si era di nuovo impossessata di me, e aveva ripreso a farmi sorridere. E seduto di nuovo davanti il pc non ho avuto paura, non ho avuto remore ed ho sbloccato il contatto per lasciarlo libero di non potermi più trarre in tentazione. Non l’ho cancellato, e credo che io non lo farò mai, ma non ho più nessun problema a vederlo in linea e a riuscire a non scrivergli nulla. Niente. E senza sentirmi depresso da divorare tre Kinder Pinguì, una busta di patate Le Contadine alla Paprika, una lattina di Coca Zero, una mozzarella e un etto e mezzo di prosciutto crudo. Tutto di seguito. NO.
Finalmente ero forte, forte di poter mandare a cagare quel contatto e impedirgli di entrare di nuovo nella mia testa. Per questo mi sono sentito una mina vagante. Per questo per venti giorni non ho scritto nulla. Per questo ho evitato di aprire questo duro capitolo. Perché mi faceva male. Ma la cosa assurda è che ho passato tutto l’inverno a pensare che lui potesse essere davvero una persona importante per me senza averne mai avuto la reale e tangibile percezione. E quando me ne sono reso conto intanto si era fatta primavera. E con questo che voglio ricominciare. Adesso è primavera e Annabelle è finalmente tornata. A farne di bendonde. Ovviamente.
Il mio nuovo Mito.
Il senso di protesta per i gay
Nella giornata di oggi, qualsiasi commento sul fatto spiacevole di ieri sera è stato quasi da tutti i mezzi di comunicazioni riportato con l’intervista a Fabrizio Marazzo (presidente di Arcigay Roma) che parla dello sgomento, del panico e del terrore durante il lancio delle bombe carta. E ci sta. Lo stesso invita tutti a partecipare alla fiaccolata che sarebbe partita dalla Gay Street. Adesso, non è che io sia pazzo. O al massimo. Lo sono. Ma ci sento. Ma vabbè. In realtà la “fiaccolata”, o “sit-in”, “protesta”, o quello che cazzo vi pare a voi a me non sembra esserci stato. No. Mi chiedo io come mai? Praticamente il tutto si è ridotto ad aspettare mezz’ora, a dare la parola a Vladimir Luxuria per dieci minuti e subito dopo far partire la solita musica tunz-tunz con dj già pronto e gente che era lì per ballare. Bello. Intelligente.
Quando accadono queste cose io penso immediatamente a quello che potrebbero dire i miei genitori se mi vedessero lì in quel momento. A parte, “maguardaquantèfrociotuofiglio”, ma soprattutto si farebbero una domanda lecita, ovvero “Che senso ha?”. Nulla. Niente. Nada. Nisba. io mi chiedo come mai ci facciamo rode il culo perchè non abbiamo diritti, ma solo doveri; perchè ci troviamo a dover rischiare la vita per essere noi stessi e quando finalmente ci sta l’occasione per manifestare il tutto viene archiviato e si va a finire a fare la sagra del frocio al Colosseo? Non ha molto senso, ve ne renderete conto anche da soli. E allora ripenso ancora di più al bagno mediatico che si è fatto Fabrizio Marazzo oggi per promuovere questa cazzo di protesta. Ragazzi è stato tutto inutile. E’ tutto inutile andare in strada se poi lo si deve fare per due sculettate e quattro movenzedannatamentepop. Non è possibile. Ci lamentiamo delle offesse che ci vengono riportare e poi ci comportiamo in questo modo superficiale? Non ha senso. No, no, no. E più ci rifletto e più mi rendo conto che è così.
Trovo giustissimo e preciso il post di Spettegules, che dice le cose come stanno. E le condivido tutte in pieno. Ma come si fa a parlare di avere rispetto da chi non conosce il mondo gay, se poi quello che passa è che una protesta si riduce solo ed esclusivamente a sculettare su musica disco? Insomma io rimango allibito e sconvolto se questo è protestare per i gay. Ma non me la prendo con loro in toto. No. Ci sono le associazioni. Questa sera tutto è stato organizzato dall’Arci Gay Roma, DiGay Projoect e Circolo Mario Mieli. E che cosa hanno organizzato? La discoteca sotto le stelle? Questo è sbagliato. Profondamente sbagliato. Non ho mai creduto nelle associazioni gay. Mai. Sono associato all’Arci solo ed esclusivamente perchè a 19 anni per entrare nell’unica discoteca gay di Pescara (tra l’altro dall’orrore indiscutibile) l’accesso era consentito solo ai possessori di quella stramaledetta tessera Arci. E poi noi ci vogliamo lamentare? Finalmente c’era stato un pò di interesse, c’era la stampa, le tv e chi più ne ha ne metta, e la nostra protesta era discoteca all’aria aperta. Questo è stato. Una serata disgustosa. Una di quelle serate che ti incazzi e basta. Il senso ovviamente non cè stato. Noi gay però non siamo stupidi, in molti hanno lasciato la Gay Street quasi subito, appena si sono resi conto della solita baracconata.
In molti si sono trovati a discutere sul senso di manifestare in questo modo, e non eravamo solo io e i miei amici ha pensarla così. Spero che la prossima fiaccolata, quella delle NON associazioni, ovvero del gruppo spontaneo “I Have A Dream” che ci sarà domani sera a partire dalle 22 sempre da Via San Giovanni in Laterano abbia un pò più di dignità, e che sia soprattutto una vera e propria manifestazione per far comprendere che noi non ci stiamo, e che vogliamo essere tutelati e rispettati da chiunque!
Diari Estivi: Quando le decisioni sono impossibili da prendere.


Diari Estivi: Riflessioni

Se lallero!


Oh cielo mio marito!

Vabbè tutta sta introduzione serve solo a comunicare al mondo che ieri con Guy ho visto dal vivo il mio amore. Ovvero Justin Chambers. Abitare a Roma oltre che farti eusarire per la ric


