L’appuntamento perfetto… Finchè

– Toc toc
– Chi è?
-E’ l’inenarrabile voglia di cazzo. Che dobbiamo fare? Sono cinque mesi che non fai sesso!!!
-Lo so! Che dovrei fare?
-Esci. Vedi gente. Scopa

Potrebbe bastare questo a riassumere tutto. Si perché quando ti calpestano il cuore è difficile riprendere determinate routine. Avvicinarsi, toccare, baciare qualcun’altro. Gesti semplici che nella mia testa non avevano più una vera e propria realizzazione. Mi chiedevo ripetutamente, “ma come si fa?”. Come mio nipote, che ha scoperto da poco le mani, e ancora non ha visto i piedi, arriva a toccarsi fino al ginocchio, io dovevo riscoprire quei movimenti.

Non avevo affatto voglia. Il solo pensiero mi faceva rabbrividire. Così, dopo quasi tre mesi passati chiuso in casa sul letto a piangere e ad abbuffarmi della qualunque, ho deciso di dare una possibilità all’unico che mi sembrava valido. Il collega. Che per inciso vuol dire stessa età, stesso lavoro, stessa ironia ma di Roma. Una sorta di garanzia, visto che fino a quel momento ero inciampato sempre nelle persone più sbagliate sulla piazza. Dettaglio strettamente necessario: single!

Mi sono dovuto forzare e non poco a decidere, per questo, un sabato sera senza niente di meglio da fare ci siamo dati appuntamento all’Altare della Patria verso le 21:30. Un appuntamento senza doppi fini. In realtà alle 17 ho iniziato a realizzare il fatto che dovevo andarci per davvero. Ed ecco, non mi andava. Mi sono dovuto forzare, mettendo tutto sul piano “se non ci vai sei una sfigata orrenda”. Alle 19 ero già pronto. Con l’ansia che mi si mangiava.

Sono uscito. A piedi. Da Montesacro in centro. Nel tragitto ho pensato ad una marea di dettagli devastanti: stavo facendo il primo passo per uscire da quella maledetta storia? Stavo facendo qualcosa per me? Oppure stavo facendo qualcosa che gli altri si aspettassero facessi? Non  lo capivo. Me lo ripetevo in testa, ma non sapevo gestire le risposte. Sono arrivato alle 21. Ed ho passeggiato ancora un po’. Stavo per ripensarci, poi  IlCollega mi scrive: “Sto cercando parcheggio. Ottima scelta il centro, vero?”.

Ecco. Non potevo scappare più. Stava arrivando. Prima che potessi realizzare il da farsi me lo trovo davanti. Eccolo. Di fronte a me. Carino, molto carino. Belle mani. Unghie corte. Curate, e pulite. Bel culo. Porta un golfino di lana, nonostante l’umidità di fine marzo. Io sorrido. E mi lascio guidare. Il primo impatto è positivo. Iniziamo a passeggiare e a parlare. Di lavoro, di storie passate, di quello che si vorrebbe e di quello che non si ha.

Lui è molto misurato. Non si espone. Ma vedo che mi osserva. E’ simpatico però, mi mette a mio agio. Rimaniamo in una sorta di confort-zone, senza andare oltre, utile ad entrambi forse. Si ride, si gioca, ma tutto sul vago e sull’innocuo. Ci fermiamo in un wine bar a bere qualcosa. Io parlo dei gay, di Roma, di quanto mi sia stufato di correre dietro alle persone. Lui mi chiede di non dire gay ad alta voce.

I suoi non lo sanno. Di lui sa solo un suo caro amico. Ecco, c’era qualcosa che non andava. “Per piacere non usare certe parole. La gente ci guarda”. Bene. Voglio comprendere, in fondo non siamo tutti uguali. Beviamo, ridiamo. Parliamo di sesso. E’ lui a chiedermi che gusti ho. Cosa mi piace. Io rispondo in maniera molto dettagliata. In fondo siamo qui per giocare. Gioco. Lui ride. Mi dice i suoi gusti e quello che lo eccita. “Usciamo di qui. Devo fumare!” e mi schiaccia il piede per accelerare il tutto.

Mentre gli accendo la sigaretta guarda le mie mani. “Finalmente una persona con le mani a posto. Unghia corte. Pulite. Belle mani, mi piacciono”. Sorrido. Si vede che siamo infermieri. Ho pensato la stessa cosa, e mi piace pensare che sia un dettaglio positivo. Continuiamo a passeggiare, siamo più rilassati entrambi. L’alcool aiuta, sempre. Ci buttiamo sui Fori Imperiali, e finiamo davanti la Chiesa dei Santi Luca e Martina.

E’ bastato poco e ci siamo avvicinati. IlCollega sa il fatto suo, e bacia anche da Dio. Mi stringe. Mi tocca. Cerca i miei occhi. Io mi sento finalmente i polmoni pieni d’aria. Stiamo lì una mezz’ora buona, ci fermiamo solo quando arriva gente. Ci guardiamo intensamente, e lui, sorride. Sembra felice. “Sei bellissimo” mi dice a bassa voce. Esattamente quello di cui avevo bisogno. “Qual’è la casa più vicina, la mia o la tua?” mi chiede.

La mia. La mia è sempre la casa più vicina. Andiamo a prendere la sua macchina e ci andiamo. Quello che ne segue sono un paio d’ore di assoluto piacere. Lui mi dice delle cose che mi hanno sconvolto. Io non mi sbilancio. Se ho imparato qualcosa dal passato è meglio lasciare qualcosa all’immaginazione. Stiamo benissimo, non bene. Facciamo qualsiasi cosa e la facciamo guardandoci sempre dritto negli occhi. Mi risento i piedi a terra. Risento il battito del mio cuore. Sono felice.

Nelle due settimane successive…

Il mantra è stato NON PENSARCI, NON ESAGERARE, STAI SERENO. Mi sono mantenuto per tutta la settimana. Non ho esagerato con i messaggi. Non ho esagerato nell’esprimermi troppo. La Burina, la mia coinquilina, ha continuato a ripetermi di stare tranquillo e di farmi cercare. Lui mi ha cercato, ma qualcosa non mi tornava. Dovevamo vederci il martedì, ma non poteva. Facciamo venerdì, ha una cena. Aggiorniamoci. Vediamoci lunedì. Devo stare con i miei. Vediamoci mercoledì. Non posso, impegni con il lavoro. Domenica? Fuori per il weekend.

Ho aspettato il lunedì successivo per parlare. “Mi dici che problema c’è. Io sono stato benissimo. Ma ho l’impressione che non mi vuoi vedere. Che succede?” gli scrivo. “Scusami, hai ragione. Ma da venerdì mi vedo con un altro. Una cosa che non avevo previsto. E’ sbucato fuori dal nulla, non lo sentivo da mesi. Non ho premeditato niente, è solo successo e basta” mi scrive. Neanche mi telefona.

quote

Ecco. Mi spiegate quello che vuol dire? Niente, vero? Sono stato anche io questa volta? Non lo so. So solo, che non vale neanche la pena rammaricarcisi troppo. In fondo basta avere una buona giustificazione. Ed io dovrei ricominciare da zero? Come se tutto quello che è successo fino ad oggi non mi avesse minimamente cambiato. Come se tutte le cose che ho dovuto sopportare e digerire non mi avessero minimamente toccato.

Ovviamente non mi sono innamorato. Ma avrei potuto. Ma allora che ci sei venuto a fare? Che me le hai dette a fare. C’ero solo io che lo posso testimoniare. E Roma. Ma forse anche Roma direbbe che non è stato niente, e si farebbe una risata.

Si. Per non piange. PIENA. Ancora. Ah, dimenticavo. Ildrammaèsempredietrol’angolo. Sempre.

Otto anni.

Il tempo ha un valore inestimabile. Soprattutto quando sei assolutamente cosciente del suo scorrere. Lo senti che passa, ti scivola dalle mani e non torna più. Questi giorni per me sono sempre di riflessione, perché era il primo maggio quando mi sono trasferito a Roma. Il primo maggio di ben otto anni fa. E’ inevitabile, allora non riflettere su tutto questo tempo passato.

In principio Roma era sinonimo di felicità. Nel vero senso del termine. Solo cose belle, come si direbbe oggi tramite ashtag. Ci venivo spesso, per andare a ballare “la musica pop” o per frequentare i luoghi gay che, vivendo in Abruzzo potevo solo immaginare. Era tutto nuovo, irriverente e soprattutto mi avvicinavo a quel mondo con curiosità. Mi sorridevano gli occhi.

Ogni volta che tornavo a casa da Roma mi madre me lo diceva appena rimettevo piede in casa. “Ti sorridono gli occhi. Devi divertirti davvero quando vai a Roma”. Si, mi divertivo. Tanto. Naturalmente le cose cambiano quando poi ti ci trasferisci in un posto. Interviene la routine. Intervengono le delusioni. Interviene quel senso di apatia che davvero non ti aspetti da una città come Roma. Dove per me tutto ha un significato.

Ho sempre associato ogni persona ad un luogo. La mia prima casa in Via Ostiense, Piazza di Pietra, il Pantheon. Simboli, ricordi. Il mio lavoro. Il master. Ogni cosa che ho fatto me la sono goduta, vissuta con entusiasmo. Tutto. Ho raggiunto quasi tutti i miei obiettivi. Altri ancora ne devo raggiungere, ovviamente. Ma poi sono arrivato ad un punto che mi sono spento. Blackout.

Non mi sono rasato i capelli. Non ho avuto un breakdown esagerato. Non ancora. Ho solo capito e realizzato quello che volevo e come doveva essere. Applicare questa mia consapevolezza però alla realtà non è mai stato semplice. E se ha trent’anni si raggiunge una maturità, ti aspetti anche una sorta di concretezza da chi ti circonda, oltre che da te stesso. Ecco, questo non c’è stato. Non c’è stato nell’amore, così come nell’amicizia.

O almeno non come avrei voluto. Così, il primo maggio di otto anni dopo, mentre passeggiavo solo perché tutti avevano ben altro di meglio da fare, mi sono reso conto di quanto sia difficile dover ammettere di aver in qualche modo fallito. Di aver più ricordi tristi che ricordi felici. Di aver dato forse troppo a chi non lo ha mai meritato e dato troppo poco invece a chi meritava di più.

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Addirittura volevo cancellare tutto il blog ieri sera, preso da un raptus di nervi. Si perché chi legge, e sono sempre pochi ma buoni, si fanno un’idea alle volte troppo scontata di me. E questo ha iniziato ad infastidirmi. Ho pensato pure che il problema sia tutto mio, che sia chiaro. Forse sto diventando quello che ho sempre odiato. Un acido omosessuale sopra i trenta, che odia tutto e tutti in generale.

Poi però mi sono dovuto rendere conto anche di tutte le cose positive che ho. Perché se è scontato lamentarsi, non è altrettanto scontato apprezzare ciò che si ha. Ho tirato la mia solita riga, e quello che dico sempre, ovvero di essere la persona sbagliata al momento sbagliato, è si vero, ma è stato anche un bene per certi versi. Adesso so esattamente, in maniera molto chiara quello che mi serve per stare bene. L’ho visualizzato.

E l’ho capito nel momento in cui mi sono trovato a pensare all’anno scorso. Un anno difficile. Un anno triste. Un anno in cui ci ho rimesso tutto, senza avere niente in cambio. In cui ho capito quanto sia facile farsi del male, e di quanto invece sia difficile stare bene. Per questo il blog è ancora qui. Per questo oggi scrivo di come sia cambiato qualcosa, ancora una volta.

Lo devo a mia madre, che ieri per telefono ha tentato di nuovo di farmi fare coming out. Che mi ha sentito triste, e mi ha rassicurato ancora una volta. “Pensa a te. Fai quello che vuoi. Per me e tuo padre va bene tutto“. Ed è forse questo il momento di ritrovare la tranquillità di cui ho bisogno per essere me stesso al cento per cento. Non è facile, ne sono già pienamente cosciente. Ma adesso, voglio provarci. Davvero.

E poi levatevi, che ne ho ancora di ben donde da fare.

La foto dell’header è di Sam Cristoforetti.

Roma allo specchio.

Dopo quanto tempo è possibile ricominciare? Poco più di un mese, anche se forse potrebbero essere almeno cinque mesi. Lui era stato chiaro. Per te sono morto. E infatti lo è. Ha esattamente mantenuto la promessa. La beffa nell’ingiustizia. Privarmi di ogni contatto e farlo nella maniera più drastica possibile. Nel frattempo la mia vita si è fermata. Sono rimasto inerme guardarmela scivolare addosso, senza capire più niente. Senza più respirare a pieni polmoni.

Una soluzione eccessiva, per quanto la situazione lo richiedesse. Anche se col senno di poi mi sono reso conto che forse tutti i soggetti coinvolti sono solo marionette nelle sue mani sapienti. Voleva ottenere delle cose. E le ha ottenute. Da me. Dal suo fidanzato. Capricci mascherati da bisogni che hanno trovato soddisfazione. E poi mi vengono a dire che questo è amore. Mi chiedo pure io che cosa ho in mente. Quando pensi di aver visto il peggio di una persona, ma il peggio vero, quello che ti fa male, che cos’altro di lui possa piacere ancora? Non lo so.

Non so proprio più che pensare. Forse hanno ragione gli altri, hanno sempre avuto ragione. Dal primo giorno. Da quel novembre del 2012, freddo e umido allo stesso tempo. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ne sono successe di cose, e me le rivedo nella mia testa, tutte, e fanno male ogni volta. Più di prima. Aveva ragione Giulia, avevano ragione Guy, la Du Barry, Valerio e Giacomo. I miei coinquiliners. Rosaria e Marcella. La Fabry. Avevano ragione tutti loro a dire che avrei pagato da solo. E a caro prezzo. E’ così poco importa tutto il resto.

Dovrei far finta che niente sia accaduto, me lo ripeto ogni giorno. Cerco di dare un ordine per trovare un po’ di sollievo. Ma non c’è via di uscita. Cerco di pensare a me, ma quando lo faccio e mi fido di qualcun altro mi arriva un’altra batosta. E allora non posso fare altro che far finta che sia tutto frutto della mia immaginazione. Che poi è quello che è passato. E’ rimasto che io sono un matto, ossessionato senza un minimo di equilibrio. Ecco, questo è il risultato.

Conto più di un difetto… Lo dico come se fosse un alibi. Come se potesse aiutarmi nel dover giustificare come mai mi ritrovo sempre così. A dover soffrire per qualcuno che non se lo merita. Tra i miei difetti ho una sorta di memoria indelebile per quanto riguarda date ed orari. Che, come oggi, diventano un problema. Perché ti ricordi di quelle cose belle che ti hanno fatto bene, e che non puoi più stringere tra le mani. Mai più.

Sono diventato il carnefice e la vittima allo stesso tempo di tutta questa situazione. Ma brancolare nel buio non aiuta nessuno. Figuriamoci se può aiutare me che ho bisogno di gesti e di parole per esser sereno. Succede solo che metti il punto e vai a capo. A malincuore. Chiudi quella cosa lì che non è stato niente, perché niente è rimasto. E lui si è preso tutto. Si è preso la mia fiducia in me stesso e negli altri. Si è preso i miei sorrisi. Si è preso la speranza. Quella speranza che un anno fa sentivo viva. E invece mi ha preso in giro pure lei.

head

Così, Roma allo specchio si ama. Mentre io allo specchio sparisco. Sempre di più. Aveva ragione Einstein che diceva che la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario, ma ha ragione anche mia nonna quando dice che a ca’ nisciun’ è fess, e pure la nonna di Tiziano Ferro ha ragione quando dice che chi cerca trova, ma chi cerca troppo a forza di cercare cade giù. E diamine se non sono caduto in basso. Sto ancora cercando una motivazione che mi faccia ritrovare la serenità. Anche se una risposta c’è sempre. E sta proprio tra quei sedici mi piace.

Perché in fondo le persone non cambiano mai. Nonostante andiamo a scomodare anche quelli più grandi e più saggi di noi,  quelli che cambiano poi, e se ne vantano come se avessero scoperto l’acqua calda, lo fanno solo per paura di rimanere da soli. Perché rimanere da soli fa più paura che portare le corna in fondo. Ecco, proprio come me. Che ho molta paura di rimanere da solo, perché conosco bene la solitudine e quanto sia difficile doverci fare i conti, ogni giorno. E chi può biasimare chi. D’altronde io dell’amore che ne so?

Ora, però davvero, basta. Per me. Per lui. Per tutti quanti.

N.B. Qui il link per scaricare direttamente “Ciao per sempre“. Merita. Grazie Levante ❤

A voce alta.

FullSizeRenderQuesta mattina ho ritwittato il tweet che vedete in foto. Ecco questa mattina questo tweet mi ha aperto una serie di file in testa che credevo di aver chiuso. Non è un periodo facile. Oramai è un anno quasi che do di matto. Ne sono pienamente cosciente. E sono cosciente anche del fatto che al mio fianco ho delle persone fantastiche che sopportano questi miei momenti. Però quando tutto non va come dovrebbe io devo sempre torturarmi per trovare una soluzione.

Una volta, quando per un fatto totalmente anagrafico ero portato a credere che bisognava fare qualsiasi cosa per dimostrare e per sistemare le cose, probabilmente avrei gestito in maniera totalmente diversa tutta questa situazione. Oggi no. Oggi mi sento inutile. Forse essere un po’ più grande vuol dire anche dover metabolizzare in maniera diversa le situazioni, e a volte non fare proprio niente.

Questa mattina cercavo di sforzarmi di capire fino a che punto io possa stare male per qualcuno. Quel qualcuno per il quale io avrei fatto davvero ogni cosa. Poi mi sono trovato a pensare che forse, quel qualcuno non merita proprio niente. Quel qualcuno ha volutamente scelto di non far parte più di questa barca, e come uno Schettino qualsiasi l’ha abbandonata proprio mentre la barca andava giù.

Ecco quella barca sono io. Mi sono lasciato sopraffare da quello che provavo io senza dare il minimo peso ai gesti e alle parole sue. Adesso, oltre al danno la beffa, ovviamente, sono anche preso per il culo. Come se io non avessi già pagato abbastanza. Perché chi è fidanzato ha l’idea in testa che chi è single in qualche modo non soffre, oppure zompa da un letto all’altro senza la minima cura. La storia è tutta diversa, naturalmente.

Ma esiste il pudore? Esiste il momento in cui si decide che forse può bastare? Che forse non è più giusto fare del male e basta?  Ecco, io quel limite lo conosco, e proprio quando l’ho superato ne ho pagato le conseguenze. Gli altri, per quanta ragione possano avere non si pongono questo problema.  Non si interrogano sulla possibilità che esiste chi magari soffre e cerca solo il modo da riuscire da questa situazione.

No. Allora mi viene in mente che sono un debole. Uno sfigato. Uno che non sa giocare più come una volta. Uno che non ha detto niente di tutte le cose importanti che sa, che farebbero finire tante cose. No, io sto zitto, proprio per quel pudore di cui sopra, che a me non viene concesso. No. Perché avere un blog,  dove si scrive tutto ciò che si pensa viene scambiato come voler fare la vittima davanti agli occhi di chi invece ha fatto solo e sempre il carnefice. Oppure la superstar.

Non mi esprimerò proprio più in merito. Come se poi, esprimermi, in questo contesto chissà a cosa porti. Ci sono quattro gatti che leggono questo blog e come potete ben vedere nessuno lo commenta. Forse domani mi sveglierò di umore positivo e soffrirò di meno. Forse no, e magari non mi alzerò più dal letto per una settimana. In entrambi i casi quello che è certo è che le cose non cambiano.

Le cose non vanno per il meglio. Bisogna solo sorridere, farsi fare una foto e far finta che vada tutto bene. Perché se sei triste tanto lo sai solo tu. E se lo dai a vedere c’è chi se ne approfitta. Se fai qualcosa di male lo sai solo tu. Se hai la voce rotta dall’angoscia ti salvi dicendo che sei raffreddato e via di seguito. Ma dentro lo so solo io. E forse mi sono illuso che poteva interessare anche a qualcun’altro. Che questa volta poteva essere diverso.

“Io sto bene. Tutto tranquillo. Nessuna novità”.

Con la testa fra le nuvole.

nuvole

Nell’ultimo periodo ho volato tantissimo. Ergo tanto tempo per pensare. Forse troppo. Ecco, non mi voglio affatto dilungare con risvolti depressivo-maniacali-convulsivi su chi ha deciso di girarmi le spalle. In fondo non se lo merita neanche più. In realtà quando avevo deciso di chiudere il blog, lo avevo deciso per davvero. Non volevo più tornare su queste pagine a scrivere. Più che altro perché scrivere vuol dire rivivere di nuovo una determinata situazione e quindi soffrire. Ancora. E ancora.

Detto ciò, ero lì che me la volavo e affidavo me stesso solo allo scheduling dettagliato degli aerei che avrei dovuto prendere nelle successive ventiquattro ore, e nient’altro. Non avevo altra certezza. Dovevo solo portare il mio culo in Australia, con un viaggio che partiva da Roma e faceva prima tappa a Londra. Per un notte, per riposarmi, per ripartire l’indomani.  Arrivo a Londra in una serata freddissima, e prendo direttamente un autobus che mi lascia in albergo a cinque minuti da Heathrow.

Arrivato in camera avevo solo una gran fame. Non mi sono preoccupato della valigia, l’ho lasciata li in mezzo alla stanza, e me ne sono andato nella lobby dell’albergo per mangiare qualcosa. Un albergo a cinque stelle costatomi pochissimo con un ristorante di merda. Niente di invitante, la cosa più interessante è stata la mia scelta finale, ovvero un sandwich orrendo. Di li a poco però mi sarei fatto catturare dal solito specchietto delle allodole per i gay. Grindr.

Si perché mi sono accorto di essere già sotto wi-fi, e ci ho messo tre secondi ad accendere la maledetta app. Ho fatto anche subito a chiuderla però, non mi andava niente. Ero solo con me stesso una sera a Londra, e volevo starmene tranquillo. In realtà nella sala di fronte a me c’era un party. Ed io, ho deciso di andare a dare un’occhiata. Non so dov’ero finito. Probabilmente una di quelle feste aziendali di Natale. Sarebbe stato Natale di lì a poco, ma io non ne sentivo proprio lo spirito.

La caciara era tanta, la musica un pop abbordabile e mainstream e la maggior parte dei presenti erano usciti da un film di Bollywood. Tutti ubriachi naturalmente. Ed ovviamente nessuno di vagamente interessante. Ho sorriso ai presenti e me ne sono tornato in stanza. Mentre ero lì che cercavo di attaccare il telefono a caricare nella spina del bagno per il rasoio (l’unica in stanza non inglese), mi sono fatto una doccia e mi sono rilassato un po’. Mentre mi lavavo i denti l’occhio mi cade sullo schermo del telefono e vedo che qualcuno mi ha scritto.

E’ un altro ospite dell’albergo. Mi dice che è un pilota della British Airways ed è lì per la notte. E’ turco. Gli scrivo che non lo so. Non mi va di fare sesso. Non faccio sesso da quando lui se n’è andato. E doverlo fare con qualcun’altro mi rattrista. Mi sento ancora legato. Decido che forse la devo piantare di fare Rossella. E che domani è si un altro giorno. Ma sicuramente un giorno senza di lui. Sono lì, che mi guardo allo specchio ed invito il pilota in stanza.

“Stanza n. 1014 tra un quarto d’ora” gli scrivo. Lui è puntuale e dopo quindici minuti lo sento bussare alla porta. Lo faccio accomodare e parliamo un po’ di noi. Mi dice che è stanco, ha volato per tutto il giorno. Vuole rilassarsi. Io gli racconto del lungo viaggio che mi attende, e di quanto abbia bisogno di tranquillità, poiché l’ultimo periodo è stato abbastanza devastante. Durante la conversazione, passa a raccontarmi di Dubai ed inizia a massaggiare i piedi.

Di li a poco, ci ritroviamo abbracciati, e ci baciamo. E poco dopo ancora scopro che ciò che si dice sui turchi è vero. In realtà però i nostri corpi si avvicinano soltanto. Ma nulla di più. Lui mi dice che mi vede teso. Lo sono. Molto. Non so se andare oltre, mi dispiace perché lui è davvero un gran figo. Un fisico tonico, delle enormi spalle e muscoli pronunciati che non deludono affatto. E’ carino. Mi guarda e mi bacia ancora.

Io sorrido, quasi mi imbarazzo. “Can I take care of you?” mi chiede sorridendo. Io annuisco. Mi allungo sulla pancia ed inizia a massaggiarmi dal collo. Mano a mano scende giù, fino al sacro. E poi ancora più giù. Poi comincia a massaggiarmi con la lingua. Ovunque. C’è stato un secondo in cui ho pensato di fare di più. Ma il secondo successivo me ne ero già pentito. Come una pazza squilibrata mi è scesa una lacrima che ha rigato il volto. La testa era ancora fra le nuvole, e pensavo a tutt’altro.

In realtà lui, neanche mi avesse letto nel pensiero, si interrompe e guarda l’orologio. Si sono fatte le tre, ed io non me ne sono minimamente reso conto. Mi dice che è tardi, che l’indomani dovrà volare da Londra a Dubai e che ha riposato poco durante il giorno. Io annuisco, sorrido e mi rivesto, in fondo se avesse voluto fare altro lo avrebbe fatto già da un bel po’.

Mi faccio un’altra doccia e mi metto finalmente a dormire. Non voglio trovare un altro motivo per deprimermi. In fondo non volevo fare niente dal principio, e deciderlo, mi ha reso sicuramente un po’ più sicuro di me stesso. Anche se sinceramente non ho mai pensato che rifiutare del sesso sia indice di sicurezza. Anzi. Mi faccio rapire dalla morbidezza delle lenzuola e rifletto su quanto si difficile fare determinate cose. Chiudo gli occhi, cosciente di essere ancora un po’ triste. Ma passerà. Lo spero, almeno.

Zero.

Preparatevi. E’ un post divertentissimo. (Non è vero, ma un preambolo più triste del post non mi è venuto in mente). 

Fin da piccolo ho sempre amato le sirene delle ambulanze. Per quanto significato di emergenza, mi hanno sempre affascinato. Le mie giornate sembrano essere scandite dalle sirene. Inevitabilmente ci sono finito in mezzo perché lavorando nella Sanità l’ambulanza me la sento riecheggiare praticamente dalla mattina alla sera. Questo per allacciarmi a come mi sento ultimamente. Ecco, avrei bisogno di un’ambulanza. Avrei bisogno che mi venissero a prendere e mi somministrassero qualcosa che mi faccia ritrovare la speranza. Qualcosa che mi faccia stare meglio.

Sono sempre stato molto positivo, nonostante la mia pienezza visualizzabile su ogni social, ho sempre trovato il sorriso nei momenti di più difficoltà. Ma adesso no. Non ci riesco. Non riesco a trovare pace. Non riesco a trovare la via per uscire da questo dramma. E i drammi, come di consueto, sono sempre dietro l’angolo. Anzi, io me lo sono trovato in piazza. Era una fredda serata di aprile, e lui mi stava aspettando. Era vestito benissimo, portava una giacca ed una camicia. Ricordo i colori, e ricordo le sue mani. E’ la prima cosa che guardo. Delle mani perfette.

Di li il tempo è volato. Ma lentamente. Prima ero l’amante, poi l’amico, poi di nuovo l’amante. Poi più niente. Di colpo. Poi sono stato il suo acerrimo nemico. Il capriccio di una sera. E di nuovo amici. Quando in realtà io ero su tutto un altro pianeta, e attendevo di risolvermi, e di stringerlo ancora tra le mie braccia, lui mi ha dato il colpo di grazia. “Me ne vado, ad inizio del mese prossimo mi trasferisco“. E li, in quel momento, il mio cuore che sanguinava si è spazzato. In milioni di microscopici pezzi. Ci siamo visti ancora, ci eravamo detti che saremmo andati a cena in un posto da tempo. Ci siamo andati. Eravamo lì, ma io ero assente. Completamente. Lo guardavo e vedevo che lui non c’era già più. Nei suoi occhi c’è ciò che lo aspetta a trecento chilometri da qui. E per me non c’è spazio.

cuore

Per me non c’è un dopo. Non c’è un futuro. Io sono qui, adesso, ed abbiamo scherzato. Abbiamo giocato. Niente è successo. Io mi sento ardere di desiderio. E lui si fa saltare i nervi perché uso appellativi inappropriati, secondo lui, per chiamare il suo fidanzato. Che ovviamente non ha tradito. Non è successo. Non era nel mio letto. Non era con me. No. Adesso ha capito che è stato tutto uno sbaglio. Tutto un errore. Ed io sono solo una che passava di lì. Chiunque sente questa storia mi fa pat pat sulle spalla e mi dice che devo dimenticarlo, che non vale neanche la pena.

Errore. Per me è valsa tutta la pena. Ogni gesto, anche se me lo ha fatto rimpiangere lui, l’ho fatto perché sentito. Quello che non capisco e non mando proprio giù, e il suo sguardo che trasalisce quando gli urlo per la strada che lo amo. In mezzo a San Lorenzo. Perché io me la vivo. Nel bene e nel male. E perché non c’è cosa peggiore che mentire a se stessi. E poi siamo stati tre ore a girare in macchina a cercare la strada per una gelateria. Ma il gelato non lo voleva nessuno. Ammutoliti. Come se fosse stata staccata la spina ad una malato terminale. L’onda è fissa, continua ed il bip è prolungato. Io sono morto, e nessuno se n’è accorto. Non mi do pace.

Lui è felice. Ha imparato la lezione. Adesso vuole impegnarsi per avere un rapporto corretto con il suo fidanzato. Basato sul rispetto. Lontano da me. Lontano da qui. Però va tutto bene. Mi scrive su what’s app, mi chiama , mi racconta le sue giornate. Va tutto benissimo. Io dovrei stare sereno. Dovrei stare tranquillo. Ma non lo sono. Mi sento svenire. E mi trascino da una parte all’altra della città alla ricerca di conforto. Non so dove andarlo a cercare, ma è così. E se guardo indietro, tutto mi parla di lui. E invece lui ha cancellato tutto da me. Ha fatto fuori i suoi social per non lasciare traccia di me.

E li ha riaperti da zero. Così che io, con ii miei like non ci fossi più. Non che fosse importante. E sono anche certo di non essere l’unico. Che ci sia sicuramente un Simone o un Alessandro che mi hanno sostituito. E un tarlo che mi punzecchia il cervello. Non lo posso dire con certezza, ma so che è così. Lui nega, ma non mi spiega. Perché neanche una spiegazione mi è concessa. Ed io guardo tutto dall’esterno, dopo aver finito le lacrime che ho in corpo, e mi sento solo uno zero. Un punto sbiadito della sua esistenza. Che non va da nessuna parte e vede sgretolarsi intorno tutto quello che di certo aveva.

Vorrei una carezza. Un bacio. Un abbraccio. Anche del sesso d’addio, volendo. Un emozione reale. Senza controllo. Ma so già che non ci sarà. E una volta lontano da qui, potrà finalmente ignorarmi. Per sempre. Come se non fossi mai esistito. Come se fossi proprio il niente. Come uno zero. Perché questo è quello che valgo. E il valore me lo ha dato lui. Al limite degli urli mi ha anche detto di dire tutto al suo ragazzo. Così, almeno sarei stato contento. Un altro errore. Sa benissimo che sono talmente sfigato che non lo farei mai, e non sarei mai capace di fargli del male. Non potrei mai.

Lui ride, scherza e prepara le valigie. Io ho la testa vuota e penso solo al giorno in cui definitivamente se ne andrà, e lo perderò per sempre. Ma devo stare tranquillo. Non cambierà niente. Me lo ripete come quando si parla ad una persona psichiatrica che non vuole prendere le medicine. E’ tutto ok, dice. Ma lo sa anche lui che non è così. Io non mi esprimo più di tanto e vivo questi ultimi giorni come un condannato a morte. Ma sono già morto. L’ho già detto, vero? Ripenso incessantemente a quel giorno al parco, quando il suo cane è scappato e lui si è scapicollato per andarlo a riprendere. Dovevo andarmene lì, e mettermi in salvo. Lì avrei potuto ancora salvarmi. Forse.

Switch On

kim

Questa volta è certo. Il mio è un ritorno. Negli ultimi tempi ho scritto poco, e anche male a detta di molti. Ma non mi interessa per niente. Avevo messo in stand by me stesso perché a volte è più semplice stare zitti che dire stronzate. E se voi mi conoscete almeno un pochino sapete che di stronzate io ne dico in quantità imbarazzante. Per questo ho deciso di resettare il mio blog che prima giaceva su blogger, prenderlo, rinnovarlo e spostare tutto su wordpress. Ovviamente appena capirò come modificare a meglio il tema, gli darò una sistemata. Ed una colorata.

Sapete è un periodo che tiro le somme. E questo fa parte di me. Sto cercando di capire se la mia vita sia un totale fallimento oppure posso ritenermi soddisfatto. A breve compirò 31 anni, e nella mia testa avevo fissato degli obiettivi che volevo raggiungere. Ma gliel’avrò fatta? Non lo so. O meglio, scopriamolo insieme, visto che questo Switch On serve proprio a questo. Insomma riepilogare un’attimo quello che sono. E che sono diventato.

#il lavoro

Lavoro nella sanità. Lo avrete capito se mi seguite su twitter. Ecco, la sanità nel Lazio non è che sia proprio una cosa che vada a gonfie vele. Per di più sono nel privato, che nei momenti di crisi tira sempre la cinghia. La cinghia naturalmente non è quella dei miei boss. Nient’affatto. La cinghia è propria quella mia e dei miei colleghi. Nella fattispecie un anno fa ci hanno tolto 300 euro con un cambio contrattuale dal giorno alla notte, adesso sono passati a pagarci l’80% dello stipendio. Sapete com’è. C’è crisi. Questa si traduce in un rodimento di culo maximo. Neanche a dirlo. E soprattutto ripenso a quando ho rifiutato un posto pubblico per rimanere dove sono. A me i gomiti ASAP.
Soddisfazione: lieve.

#l’amore 

AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH. Che ridere.

Partiamo dal presupposto che l’amore si fa in due. Un dato sconcertante, ma sufficientemente necessario. Ecco, io ho la capacità di innamorarmi sempre della persona sbagliata. Non è un problema alla vista, porto gli occhiali. E proprio che tendo, in maniera del tutto incomprensibile ad interessarmi a chi in realtà non mi caga neanche per sbaglio. Nel tempo ho capito che avevo bisogno di una mano per capirci qualcosa, per questo al mio fianco ci sono gli amici di sempre pronti a darmi la loro opinione schietta e fin troppo sincera: Guy e la Du Barry. Ai quali quest’anno ho aggiunto anche i miei Coinquiliners: Falpalà e Burina. Nonostante tutti questi consiglieri, al momento brancolo  nella singletudine più alienante.
Soddisfazione: totalmente insoddisfatto.

#il sesso

Dettaglio importante. Al momento le mie quotazioni sono davvero alte. Diciamo che sono incappato in una sorta di relazione che mi piace riassumere così: CONCUBINERS. Ebbene ho una sorta di tromba amico con cui mi intrattengo che a sua volta ha un fidanzato con il quale convive. Un quadro chiaro e semplice. Questo mi sottopone a devastanti ed appaganti sedute di sesso dove riscopre l’esistenza di una parte di me nascosta (Annabelle Bronstein: The Goddess of Sex), che inevitabilmente si scontra con la mia ingombrante presenza. Si. E’ proprio così. Sono insopportabile. Per il momento però tutto ok. Lui comunque è #IlRagazzoColSUV ed ASAP vi brieffo sui dettagli.
Soddisfazione: molteplici e di lunga durata. Tutto sommato è un Toy Boy!

#la famiglia

I miei sono in Abruzzo. L’anno scorso a settembre mio fratello è convolato a giuste nozze, creando in me la necessità di accasarmi ASAP. E poi diciamocelo, voi non siete stufi di sentire sempre la solita domanda “E tu? Quando ti sposi?”. Ecco, dopo il matrimonio del mio fratello ogni volta che torno a casa me lo ripetono a farmi sanguinare le orecchio. Adesso, non solo non posso sposarmi perchè non è legale, non passo perchè mi manca la materia prima. In realtà però, tutto questo hype nei mei confronti finirà a settembre, quando mia cognata darà alla luce il primo nipote maschio della mia famiglia. In che darà gran soddisfazione a mio padre, che continuerà la stirpe, a mia madre che finalmente avrà qualcosa da fare, a me che finalmente passerò in secondo piano. E come tutti gli zii diventerò una sola cosa soltanto: RINCOGLIONITO. Io non vedo l’ora però.
Soddisfazione: molta. Non sto nelle mutande.

Ecco, non posso lamentarmi. Non del tutto almeno. Questo è il mio ritorno. Adesso preparatevi, ho intenzione di dirvi tutto su quello che mi accade, come facevo un tempo, senza risparmiare i particolari, e senza esimervi dalle mie psichiatriche digressioni. Sperando che sia l’anno giusto senza dimenticare che il dramma è sempre dietro l’angolo. E che il passato, come tutto, prima o poi ritorna. Bene. Penso che circa 800 parole siano più che sufficienti. Almeno per oggi. Come dico sempre, stay tuned. (Leggasi LEVATEVI).

Spring Awakening

Mi rendo conto che è sempre più difficile capire l’utilità di questo blog. Soprattutto perchè in realtà l’ultima volta che ci ho scritto era pieno inverno. Idealmente, però, nella mia testa non ho mai smesso di condividere i miei drammi e le mie indecisioni su quanto mi succede. L’ho sempre fatto su twitter o instagram. (Bel modo per inserire dei link social.) In realtà però c’è stato un momento in particolare in cui il mio torbido e difficoltoso sonno invernale è cessato. Di colpo. Era il 31 marzo, il sole mi abbagliava in via del Corso ed io ho capito la necessità di riprendere le redini di me stesso.

Si perchè per mesi ho avuto l’impressione che il mio non fosse più un corpo, ma bensì una carcassa inanimata e senza un minimo di emozioni. Proprio le emozioni, a me care, erano andate a farsi friggere. Questo perchè ho chiuso tutto. Ho chiuso la voglia di emozionarmi chissà dove dentro di me. Con la certezza che oramai il mio tempo era passato. Che il mio treno fosse partito, senza di me. Forse questa è una delle considerazioni più lucide di quanto ho passato negli ultimi tempi che io abbia mai fatto. Ma la malattia è curabile solo se il sintomo è riconoscibile. E una volta eseguita la corretta terapia, il virus muore. La malattia viene debellata. Si guarisce.

Il dolore sparisce. Passi semplice. Consecutivi, ed indispensabili per andare avanti. Dare un nome, è superfluo, voglio farmi guidare dalle sensazioni, da ciò che provo. Mi sono consolato, mi sono ritrovato e mi  sono capito. Perchè fino a poco tempo fa non mi capivo neanche più. Piccoli passi. Necessari. Indispensabili. Si, ancora una volta questa parola. Non è un caso se la scrivo di nuovo. Il mio unico problema per tutto questo tempo è stato essere indispensabile per qualcosa. Non perchè lo fossi. Perchè io lo volevo. Al lavoro. Ai miei amici. Alla mia famiglia. A chi mi circondava. A me stesso. Al ragazzo che mi piace da sempre. Si. In ogni ambito della mia vita ho applicato questa mortale espressione. E non avevo mai alcun risultato.

Mai. Quindi ho capito. Ho smesso, quando poi le circostanze non mi hanno permesso di essere indispensabile fisicamente, e il risultato non era un disastro. No. Semplicemente sono stato sostituito. In maniera indolore. Come se nulla fosse. Come se mai fossi esistito. Ecco, tristemente, mi sono arreso alle circostanze, che erano chiare. Eloquenti. Più di quanto io non volessi accettare. E dovevo farla finita. Subito. E così ho smesso. Sono sempre stato uno che da l’impressione di essere stupido. Ottuso. In realtà mi sono sempre voluto poco bene. Da sempre. E non ho mai mosso un dito per volermene un po’ di più.

Fino ad oggi. Perchè in fondo se cresciamo e riceviamo batoste dalla vita, è anche bello saper capirne il significato. E rinascere. Ancora. E meglio, si spera. A settembre avevo puntato tutto sulla speranza. Infatti rieccola. Riesce in queste righe, e riappare nella mia testa. Non mi ci affido perchè disperato, bensì perchè fiducioso. Fiducioso che le cose migliorino e che finalmente un sorriso si poggi anche sulla mia faccia. E che sia vero. Perchè ultimamente non trovavo più utile sorridere. Me lo dovevo. E lo dovevo al Pisello Odoroso. E anche un po’ ad Annabelle. E a Fabrizio. Che poi paga tutto. E senza sconti.

E poi per piacere, è tornata Anastacia, volete che non ritorni io.
Eccomi.

Lo stato attuale delle cose

Lo avete tolto l’albero? Le lucine dal balcone? La ghirlanda dalla porta? Ecco, questo suggerisce che le feste sono finalmente finite. Che possiamo piantarla di fare i buoni. Di sorridere a chiunque. E di amare lo stare insieme solo perché si e parenti di non so quale grado. Io odio le feste, e in altre occasioni ho sempre chiarito la mia posizione in merito. Per questo mi sono scelto un lavoro che impone di lavorare alle feste. Anche se adesso, mio malgrado non mi fanno lavorare neanche più. Il buonismo che accumulo sotto il periodo natalizio, inevitabilmente lo butto fuori. Ora. In questo periodo.

E, contestualmente, butto giù gli obiettivi dell’anno. Si perché sinceramente i buoni propositi non mi sono mai piaciuti. Li trovo addirittura patetici. Che senso ha fare i buoni propositi a fine anno quando poi in realtà siamo noi a decidere come vogliamo comportarci. Ad inizio anno io preferisco chiarire quello che mi succede intorno. Per fare mente locale. E non c’è niente che mi fa pensare positivo.
#lavoro
Ogni giorno maledico di aver rifiutato un posto pubblico, oramai sei anni fa. Ogni giorno mi mangerei i gomiti. Ogni giorno mi ritrovo a dover contare fino a mille quando in realtà vorrei urlare e buttare via tutto quello che ho in mano (e chiunque mi capiti a tiro nel giro di un metro cubo) perché sono piena. Insoddisfatto. Mi ritrovo a lavorare con persone poco professionali e a cui del lavoro che fanno non importa un fico secco. Passano le loro giornate a sparlare di quello e di quell’altra per poi dimenticare il motivo per cui sono lì, ovvero, LAVORARE. #piena
#l’amore
Ecco. Cosa dovrei dire sull’amore? Quando mi frequento con qualcuno divento serio. Preciso. Non lascio nulla al caso e pretendo serietà e rispetto. Sono una Signora bacchettona della metà degli anni ’50 con una perenne voglia di cazzo. Divento sicuro e tranquillo. E questo diventa inevitabilmente motivo di fuga o di dovermi mettere le corna con chiunque passi di li a tiro (vedi post precedente). 
#ilsesso
Sono davvero sorpreso di doverlo pensare. Ma anche farsi una sana scopata sta diventando seriamente complicato. Ogni volta mi trovo davanti qualcuno che vuole fare il contrario di quello che voglio io. Se non posso ospitare lui non può ospitare sicuramente. Se non posso uscire lui vuole che io lo raggiunga. Quando ho casa libera, invece, nessuno che voglia venire. Nessuno poi che si prenda la briga di metterci un po’ di passione. Quella vera. Quella che fa volare le parrucche. Niente. Macchinosi e mezzi morti sono lì che aspettano che io faccia tutto. Ma datevi una cazzo di svegliata #SuperASAP

#Gnoffolo
Niente Gnoffolo non ne vuole affatto sapere di me. Al momento sta postando foto in viaggio insieme ad un tipo molto carino. Non vuole affatto saperne di uscire con me. Fa il vago. E quando qualcuno fa il vago vuol dire semplicemente che non gliene può altamente fregare. Ma sto già elaborando un piano, e questa volta, non è stalking signori miei.

Questo post idealmente è la seconda parte di #2014. Ora che ho messo i punti (e gli hashtag) vi alletto con un’imperdibile e libidinoso, ed inaspettatamente sessuale post orgiastico. #staytuned 

Il mio ex.

Naturalmente quando parlo di mio ex non mi riferisco di certo al tizio in foto. Ovviamente. In realtà c’è la foto del tizio perché proprio oggi anche lui ha annunciato di essersi lasciato, di comune accordo, con il proprio compagno. Ecco questo mi ha fatto sentire terribilmente vicino a Ricky. Per questo lo invito ufficialmente a condividere il suo dolore con me. Magari riusciremmo a condividere anche qualcos’altro, volesse il cielo. In realtà io voglio condividere con voi, miei fedelissimi lettori (#credeghe) la fine della mia storia. Se così si può definire.
#grindr
Era una calda serata di ottobre. Una classica ottobrata di metà mese. In cui le luci dell’imbrunire sono terribilmente instagrammabili ed hai solo voglia di Mcflurry con i brownies. Io ero in giro per Termini, ed in un momento di noia mentre facevo la fila al bancomat delle Poste ho avuto la fantastica idea di connettermi a grindr. Il male di questa nostra società – grindr, ma anche un po’ le poste volendo. Ricky non mi perdonerà mai per questo, e proprio in quel momento c’è stato l’inizio della fine. Ho iniziato a scrivermi con questo ragazzo carino. Pugliese, ventiduenne, trasferitosi da meno di un anno a Roma. 
Apro una parentesi. (A me i ventiduenni non hanno mai detto granché, però questo era molto carino. Inutile negarlo). Abbiamo cominciato una solita ed inutile conversazione, senza troppo pensarci su, e poi fin da subito abbiamo deciso di passare all’azione pianificando un incontro. Non in giornata, ovviamente, ma nei giorni a seguire. Una normale e inespressiva conversazione da grindr sottolineerei. Qualche giorno dopo ci siamo risentiti, ed abbiamo deciso di comune accordo di vederci la sera successiva. Detto fatto. 
Ricky, avresti provato dell’invidio subito. Ci diamo appuntamento a San Giovanni, e da li abbiamo iniziato una passeggiata-chiacchierata molto intensa. Un tipo simpatico ed educato, che non te lo aspetteresti essere uscito da grindr. Uno che riesce a coniugare i verbi e che per la prima volta mi è sembrato abbastanza genuino. Però, in me cresceva dello scetticismo. Insomma davanti a me avevo un ventiduenne. A me i ventiduenni non hanno mai stimolato niente di niente. Scetticismo e non solo, iniziavo ad essere molto confuso.
#thedramaisalwaysoverthecorner
Pausa riposaculo al Coming Out, e il primo momento drammatico. Mi appare davanti lo Gnoffolo. Lo Gnoffolo è un nuovo protagonista del mio blog, di cui presto vi racconterò in maniera più dettagliata. Non ci vedevamo da un millennio, ed io ero incredulo. Ero lì a far incontri al buio quando lo avrei limonato molto volentieri. Lui però si accompagnavo con il suo fidanzato. O almeno quello che, io penso che sia, il suo fidanzato. Saluti di rito e arrivederci ASAP. Riprendiamo a parlare e a conoscerci. Scopro che studia Teologia (!) ma non per far il prete. Vuole diventare avvocato della Sacra Rota. 
Sono davvero incredulo. Ma inizio a sentirmi a mio agio. Io, ovviamente, gli parlo senza peli sulla lingua, d’altronde ho una certa età per permettermelo. Gli spiego che mi piacerebbe innamorarmi, che non disdegno il sesso ben fatto, e che comunque mi piace molto fare sesso. Lui è d’accordo, un rapporto senza sesso, muore sul nascere. Lui ci tiene a sottolineare che è un tipo molto religioso. Ma è open, è tutti possono avere i proprio svaghi e passatempi. Lui vuole che io capisca che ha bisogno di frequentare la Chiesa. Io lo ignoro e penso solo al momento io cui glielo prenderò in bocca. Per intenderci.
Ci fermiamo davanti il Carcere Mamertino. Mi racconta di San Pietro carcerato, della sua caduta mentre scende nel carcere, e siamo vicini, mi prende la mano, e iniziamo a guardarci negli occhi. Dritto dritto. Veniamo interrotti da un gruppo di americani che alle 22 passate sta in giro per monumenti. Poco dopo rimaniamo di nuovo soli, e li, inevitabilmente scatta un mega limone. Devastante. Pieno di lingue. Pieno di dolcezza. E soprattutto, valalalasss se ci sapeva fare. Io già mediamente innamorata.
#unasettimanadopo
Vabbè, vi risparmio tutta la melanzosa settimana seguente. In ordine sparso abbiamo fatto tutte le cose che normalmente odio che facciano le coppie: shopping insieme tenendosi mano nella mano, comprare regalini stupidi per lui, comprare cover per l’iphone con cuori, presentarlo ai miei coinquilini, presentarlo ai miei amici, portarlo alla Popslut night con me, pomiciare davanti a chiunque alla Popslut night (per la serie pensavate tutti che ero una sfigata orrenda e invece ho un toy boy e voi no, levatevi asap), parlare come se ci conoscessimo da una vita, dormire insieme, pranzare insieme, cenare insieme quasi sempre. 
Lo so. Abbiamo bruciato tutte le tappe in una solo settimana. Il primo vero drammatico momento c’è stato al decimo giorno quando è partito per la sua terra natia per le celebrazioni della festa del patrono. (#piena). Anche se ci siamo sentiti davvero spessissimo che quasi non ne ho sentita la mancanza. Ritorna e non riusciamo a vederci, per diversi motivi che oggi manco mi ricordo, ma si prepara un dramma epocale. Devastante. Di epiche proporzioni che mai e poi mai avrei immaginato.
Mi arriva a mezzo What’s App uno screenshot di lui, il mio +1 non ancora accreditato del tutto, connesso su grindr. Maledizione. Inevitabilmente, il colmo per Annabelle Bronstein. Avere una sorta di fidanzato che fa ciccipucci dalla mattina alla sera e poi si fa beccare su grindr. Ero già nella posizione di dover rinunciare al mio happy ending? Ci ho dormito su una notte intera, ed il giorno dopo, mentre lui era di ritorno a Roma io senza mezzi termini gli ho inoltrato quello scatto. Ebbene non ha avuto un moto di vergogna, nient’affatto. Non ha pensato di scusarsi. Nient’affatto. Non ha neanche pensato di trovare una scusa vagamente plausibile. Nulla di tutto ciò. Voleva solo sapere chi me lo avesse detto. 
Ovviamente io non ho mandato giù la cosa. Devo essere sincero, non tanto per grindr. In fin dei conti non eravamo affatto fidanzati. Ci poteva stare, e probabilmente lo avrei anche capito e sarei andato oltre. Ma c’era qualcosa che non mi convinceva nel suo atteggiamento. Che fino al giorno prima era di una persona davvero coinvolta. Purtroppo però è ripartito ancora, per le terre natie. Sapete altre feste di santi e/o patroni di cui non mi ricordo davvero un cazzo. Abbiamo continuato a sentirci ma di meno. E l’incontro prima che partisse, da cui mi aspettavo delle scuse almeno, non ha prodotto che altre pippe mentali.
Pippe che mi sono fato per giorni e giorni. E dopo un’altra settimana ancora ci siamo rivisti. Finalmente. Era carino. Molto. Abbiamo riso e scherzato un po’, quando poi ho ripreso il discorso spiegandogli il mio disappunto nel non avere alcuna spiegazione per quanto riguardava l’Affair grindr, lui mi ha detto che potevo stare tranquillo, che in realtà aveva aperto grindr per scriversi con alcuni amici di giù di cui non ha il numero, ma solo il contatto gridr. Eppure c’era qualcosa che non mi tornava. Avevo l’impressione che non era tutto. Mi viene in mente di aprire il mio grindr, non so per quale motivo non lo avevo aperto più dal giorno che ci siamo incontrati.
Gli dico di connettersi su grindr, volevo vedere se gli arrivavano dei messaggi e se riuscivo a vederlo connesso, avevo il dubbio che mi avesse cancellato. Prima usa la scusa della batteria scarica, poi finalmente lo accende, e mi accorgo dell’orrore. Mi aveva cancellato. Ecco, in quel momento esatto nella mia testa è partita Goodbye, ed ho chiuso definitivamente tutto. Cancellato all’istante. Appurato che mi aveva bloccato, era chiaro che aveva ben altro da nascondere. Io invece non avrei tollerato abbastanza. Lo salutai, in maniera del tutto indifferente.
E chiuso. Ovviamente non si è fatto più sentire. Fino al giorno di Santo Stefano, dove lo ignorato fino a che ho potuto, ma ho dovuto assolutamente rispondere. Perché ovviamente si, ero piena. Ebbene, è evidente che adesso io e Ricky Martin possiamo dimenticare le nostre storie e finalmente farne di ben donde insieme o anche solo rifarci una vita. Io naturalmente sono qui in attesa di un suo invito, e sono sempre più certo che non esiste un fidanzato per me. Certissimo.