Switch On

kim

Questa volta è certo. Il mio è un ritorno. Negli ultimi tempi ho scritto poco, e anche male a detta di molti. Ma non mi interessa per niente. Avevo messo in stand by me stesso perché a volte è più semplice stare zitti che dire stronzate. E se voi mi conoscete almeno un pochino sapete che di stronzate io ne dico in quantità imbarazzante. Per questo ho deciso di resettare il mio blog che prima giaceva su blogger, prenderlo, rinnovarlo e spostare tutto su wordpress. Ovviamente appena capirò come modificare a meglio il tema, gli darò una sistemata. Ed una colorata.

Sapete è un periodo che tiro le somme. E questo fa parte di me. Sto cercando di capire se la mia vita sia un totale fallimento oppure posso ritenermi soddisfatto. A breve compirò 31 anni, e nella mia testa avevo fissato degli obiettivi che volevo raggiungere. Ma gliel’avrò fatta? Non lo so. O meglio, scopriamolo insieme, visto che questo Switch On serve proprio a questo. Insomma riepilogare un’attimo quello che sono. E che sono diventato.

#il lavoro

Lavoro nella sanità. Lo avrete capito se mi seguite su twitter. Ecco, la sanità nel Lazio non è che sia proprio una cosa che vada a gonfie vele. Per di più sono nel privato, che nei momenti di crisi tira sempre la cinghia. La cinghia naturalmente non è quella dei miei boss. Nient’affatto. La cinghia è propria quella mia e dei miei colleghi. Nella fattispecie un anno fa ci hanno tolto 300 euro con un cambio contrattuale dal giorno alla notte, adesso sono passati a pagarci l’80% dello stipendio. Sapete com’è. C’è crisi. Questa si traduce in un rodimento di culo maximo. Neanche a dirlo. E soprattutto ripenso a quando ho rifiutato un posto pubblico per rimanere dove sono. A me i gomiti ASAP.
Soddisfazione: lieve.

#l’amore 

AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH. Che ridere.

Partiamo dal presupposto che l’amore si fa in due. Un dato sconcertante, ma sufficientemente necessario. Ecco, io ho la capacità di innamorarmi sempre della persona sbagliata. Non è un problema alla vista, porto gli occhiali. E proprio che tendo, in maniera del tutto incomprensibile ad interessarmi a chi in realtà non mi caga neanche per sbaglio. Nel tempo ho capito che avevo bisogno di una mano per capirci qualcosa, per questo al mio fianco ci sono gli amici di sempre pronti a darmi la loro opinione schietta e fin troppo sincera: Guy e la Du Barry. Ai quali quest’anno ho aggiunto anche i miei Coinquiliners: Falpalà e Burina. Nonostante tutti questi consiglieri, al momento brancolo  nella singletudine più alienante.
Soddisfazione: totalmente insoddisfatto.

#il sesso

Dettaglio importante. Al momento le mie quotazioni sono davvero alte. Diciamo che sono incappato in una sorta di relazione che mi piace riassumere così: CONCUBINERS. Ebbene ho una sorta di tromba amico con cui mi intrattengo che a sua volta ha un fidanzato con il quale convive. Un quadro chiaro e semplice. Questo mi sottopone a devastanti ed appaganti sedute di sesso dove riscopre l’esistenza di una parte di me nascosta (Annabelle Bronstein: The Goddess of Sex), che inevitabilmente si scontra con la mia ingombrante presenza. Si. E’ proprio così. Sono insopportabile. Per il momento però tutto ok. Lui comunque è #IlRagazzoColSUV ed ASAP vi brieffo sui dettagli.
Soddisfazione: molteplici e di lunga durata. Tutto sommato è un Toy Boy!

#la famiglia

I miei sono in Abruzzo. L’anno scorso a settembre mio fratello è convolato a giuste nozze, creando in me la necessità di accasarmi ASAP. E poi diciamocelo, voi non siete stufi di sentire sempre la solita domanda “E tu? Quando ti sposi?”. Ecco, dopo il matrimonio del mio fratello ogni volta che torno a casa me lo ripetono a farmi sanguinare le orecchio. Adesso, non solo non posso sposarmi perchè non è legale, non passo perchè mi manca la materia prima. In realtà però, tutto questo hype nei mei confronti finirà a settembre, quando mia cognata darà alla luce il primo nipote maschio della mia famiglia. In che darà gran soddisfazione a mio padre, che continuerà la stirpe, a mia madre che finalmente avrà qualcosa da fare, a me che finalmente passerò in secondo piano. E come tutti gli zii diventerò una sola cosa soltanto: RINCOGLIONITO. Io non vedo l’ora però.
Soddisfazione: molta. Non sto nelle mutande.

Ecco, non posso lamentarmi. Non del tutto almeno. Questo è il mio ritorno. Adesso preparatevi, ho intenzione di dirvi tutto su quello che mi accade, come facevo un tempo, senza risparmiare i particolari, e senza esimervi dalle mie psichiatriche digressioni. Sperando che sia l’anno giusto senza dimenticare che il dramma è sempre dietro l’angolo. E che il passato, come tutto, prima o poi ritorna. Bene. Penso che circa 800 parole siano più che sufficienti. Almeno per oggi. Come dico sempre, stay tuned. (Leggasi LEVATEVI).

Gli Improbabili Appuntamenti di Annabelle Bronstein – Il Giornalista telefonico e il non-primo-appuntamento

Quando si esce da una storia la prima cosa di cui hai bisogno è di affermare di nuovo te stesso. E’ un processo comune a tutti. Avviene nei modi più diversi: shopping o taglio di capelli o rimorchiarsi chiunque capiti a tiro. Ovviamente si possono fare una di queste cose singolarmente o addirittura tutte. In tempi diversi.  L’importante è farle però. Io dopo la rottura con il mio toy boy non ho potuto fare altro che provarci con chiunque, che, come tutti sapete, è una cosa che non faccio.

Tra questi mi sono ritrovato su una delle solite app gay, Bender mi sembra, a scambiare intense conversazioni con questo tizio. Trentaduenne pugliese trapiantato a Roma, giornalista, amante del cinema e dell’arte. Io ero anche abbastanza eccitato, a dire il vero per tutti questi interessi. E già ero li che mi immaginavo un devastante lieto fine. Abbiamo iniziato con la solita chattata di rito. Dopo tre giorni di chiacchiere via app siamo passati a telefonarci.
Al settimo giorno di telefonate frequenti e dettagliaterrime, abbiamo avuto la nostra prima telefonata con amplesso telefonico. Non me lo aspettavo. Non pensavo che dal parlare di quello che avevo fatto il pomeriggio a regalarmi un solitario condiviso al telefono il passo poteva essere così breve. Mi sembrava logico e scontato fissare un incontro. Insomma, cos’altro dovevamo aspettare? Il mio giornalista di cinema e cultura però tergiversava e sonoramente. Non mi tornavano i conti. 
Non mi tornavano soprattutto perchè aveva un livello di dolcezza inaudito e spropositato. Ogni volta mi tirava fuori una filippica di dieci minuti su quanto gli sarebbe piaciuto abbracciarmi, baciarmi, leccarmi ovunque. Su quanto gli piaceva fare l’amore. E ci teneva a sottolineare che lui faceva l’amore. Non faceva sesso. Il sesso era freddo, allontanava e per lui perdeva tutto di significato se non si usava la parola AMORE. Lui aveva avuto solo fidanzati. E quando sentiva che l’amore diventava sesso per lui era finita. Non c’era niente che lo faceva tornare indietro. 
L’ottavo giorno ero assolutamente deciso ad andare a segno. Ci sentiamo a pranzo e la telefonata assume dei toni surreali.

“Hey ciao come stai?” mi dice sensuale.
“Bene… Sono al lavoro… E’ una giornata pesante qui!” dico serio.
“Io sono a pranzo con un mio amico. Nicolas… (Pausa, molto lunga)”
“E?” incalzo io.
“Nicolas Vaporidis, lo conosci?” dice lui.
“NO! Il nome non mi è nuovo, ma non so di chi parli… Dovrei conoscerlo???” (naturalmente sapevo assolutamente di chi stava parlando. Figuriamoci, ma non volevo dargli alcuna minima soddisfazione. D’altronde mica solo lui conosce gente che conta. Io conosco Fabry, e pure il Signor Ponza. Tiè)
“No, figurati è solo un amico. Comunque sai cosa farei adesso? Adesso…” e riparte con dettagli scabrosi.
“Ehm. No scusa. Sono al lavoro. Mi dispiace ma quando sono al lavoro queste cose non si possono fare” dico fermo e irremovibile.
“Ok. Dai sentiamoci più tardi allora” chiude lui.

Io inevitabilmente ci ho visto del malato. Dopo otto giorni di assidue telefonate e what’sappate ad ogni ora non potevo assolutamente sopportare che ancora ci eravamo visti.Soprattutto perchè mi condiva il pomeriggio anche con dettagli del suo corpo. Interessanterrimi, per carità. Insomma, che senso aveva. Tanto più che abitavamo a pochissima distanza. Ma la prova del nove l’avrei avuta in serata. Io avevo deciso che in qualche modo ci saremmo visti, i dettagli gli avrei decisi al momento. Random. 
Dopo cena quella sera ci siamo sentiti. Dopo le chiacchiere di routine il giornalista è inevitabilmente andato a finire su quello che gli piace di più fare, ovvero lo sporcaccione telefonico. Io ragazzi, ho sbadigliato. Sapete com’è, tutte le mattine mi sveglio alle 5:50 e dopo una giornata devastante uno sbadiglio se lo potrà permettere. EINVECE il dramma si era celato dietro l’angolo. Fino a quel momento. Mi è arrivato uno sbrocco devastante peggio di una doccia fredda: “Scusa ma io ti sto dicendo di quanto ti vorrei vicino, di quanto vorrei abbracciarti, e di tutte le fantasie che vorrei condividere e tu mi sbadigli in faccia? Ma io non penso che sia possibile una cosa del genere” tuona lui tutto incazzato.
Io, che tento di minimizzare in modalità LEVATISUPERASAP. “Scusami, hai ragione, sono stato inopportuno e ineducato. Solo che a quest’ora mi viene un sonno devastante. Sai essendomi alzato praticamente all’albUUUAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHH.” SBADIGLIO. Ancora una volta. Ancora di più. Panico. “Oddio scusa, mi è uscito ancora” dico vergognandomi come un cane. Manco avessi ammazzato qualcuno. Parte lo sbrocco. Quello vero. “Ma che davero???!!!??? Ma io dico si fa una cosa del genere? Senti se non ti interessa niente forse è il caso di smetterla qui. A me le persone che si comportano in questa maniera non mi piacciono proprio.” Sbluff. E chiude la conversazione.
Così. Neanche Il tempo di capirci qualcosa che lui mi aveva richiuso il telefono e probabilmente aveva già cancellato il mio numero. Per uno sbadiglio. Ho passato tre giorni a cercare di capire come mai mi aveva trattato in quella maniera barbara. Poi ho capito. Si trattava di un semplice maniaco telefonico. In questo caso giornalista edition. Ovvero uno a cui piace masturbarsi per telefono. La cosa più assurda è che qualche giorno dopo, sempre su Bender mi ha scritto un tipo, senza foto ma alla sua stessa distanza. E così nella mia testa mi si è insinuato il tarlo che era lui che mi stava mettendo alla prova.
Che cerchi? – mi scrive.
L’amore. L’amore vero. Quello con la A maiuscola. E una persona con cui condividerlo. Che non abbia paura del sesso. E che non si masturbi al telefono. 
Ovviamente dall’altro lato non mi ha risposto più nessuno. Tana per te!

Serena Ferretti.



Ieri sera il tweet di cui sopra mi ha lanciato nello sconforto più assoluto. Si perché basta guardarsi intorno per capire che tutti si sposano. Chiunque fa il grande passo. Ed io, e a questo punto non solo io, sono arrivato alla conclusione, che si forse il matrimonio, inteso più come due individui che si uniscono, non è poi così male. No. Sono sincero. Ho sempre odiato l’idea di doversi giurare amore eterno. Per me si è sempre trattato di una sorta di contrattualizzazione nero su bianco dei sentimenti. E i sentimenti, seppur sinceri possono cambiare.
Ma quest’anno, un po’ forse perché mio fratello si sposa, un po’ perché sono in una fase no alternata e prolungata (Tracey Ullman mi leggi?), mi sento di rivalutare tutto. Nella maniera più positiva ed inaspettata che posso. Si perché in fondo io ho cambiato idea a riguardo. Insomma sono arrivato a pensare che sia più un impegno reciproco che ogni giorno va onorato. Costruire mattoncino dopo mattoncino la quotidianità, dividere le sofferenze e gioire dei successi. E bè, poi amarsi, ovviamente. Fare l’amore. Ci sta tutto dentro. In ogni senso anche. Ma non solo, essere responsabile di un qualcosa.
Ovviamente, come tutti sappiamo, mentre il mondo, lentamente si sta aprendo alle unioni omosessuali, qui in Italia il discorso è ancora difficile e poco considerato dai più. Anzi. Più semplicemente non esiste. Ma voi, single vi sposereste mai? Ecco, il mio tarlo si è bloccato esattamente qui. Io, conoscendo il gay medio (capitolino), non mi sognerei di sposarmi mai e poi mai. Ma non perché voglio fare la figa di legno o quella che ha un’eccessiva considerazione di se. Niente affatto. Io so semplicemente che non c’è ne, almeno per me.
Oramai penso davvero di averne provate di ogni. Mi manca giusto di vendermi all’asta al migliore offerente. E penso che alla fine non mi si comprerebbe nessuno. Ma facendo delle accurate riflessioni tra me e me ho concluso che io sono sempre la persona sbagliata, al momento sbagliato, nella vita di qualcun’altro. E questo, non puo’ che non darmi il sensore che non avrò mai la mia relazione equilibrata, sdolcinata, sincera e paritaria che per me sogno. Lo so, volete degli esempi. Ne avrei a bizzeffe, ed anche se non vorrei, tocca generalizzare.
Quando decido di fare solo del sesso senza complicazione alcuna incappo in quello che vuole un fidanzato che gli faccia i grattini sul divano. Quando decido di fare io quello che vuole una relazione incontro quello che è nella fase che si vuole solo divertire. Quando decido che devo allargare gli orizzonti e voglio solo un appuntamento, inciampo in chi invece ha una vita talmente esageratamente fitta di impegni che Barack Obama Levati ASAP.
Quando decido di ignorare il mondo intero perché ne ho abbastanza di tutte le tipologie di uomini finora citati, sbuca un qualche demone dal passato che modifica il suo status da single a ufficialmente fidanzato su facebook e perdo la parola per almeno due settimane. Quando mi viene in mente l’unico che forse potrei amare follemente sopra ogni cosa, bè, non fatico a ricordare che in realtà, ecco. Mi odia. Ma potrei andare avanti per ore. E potrei fare esempi sempre più precisi e calzanti.
Mi trovo davanti un bivio. A destra la Singletudine e a sinistra un burrone. E nonostante il sesso, quello fatto bene, adesso siamo nella fase che non ti incontri neanche più per scopare. Perché ci sono troppi km di distanza. Mi chiedo ma io che male ho fatto? Che problema ho che alla fine della giornata appaio ai più come uno spostato? Oppure sono gli altri che sono spostati? Non lo so. Io mi riservo solo di avvertire un senso leggero di amarezza. Profonda desolazione. E voglia di fare le valigie e sparire sul primo treno come se non ci fosse una destinazione nota. E basta.
Per piacere pero’, non scambiate questo mio sfogo personale per una mal sana invidia verso la qual si voglia. Niente affatto. A questo proposito vorrei dire che io amo le coppie e quelli che stanno insieme. Li ritengo dei pionieri, delle entità speciali che non hanno nulla a che vedere col sottoscritto. Delle persone che hanno la forza di condividere sempre, qualsiasi cosa con il proprio partner. Gente davvero che meriterebbe un premio perché non solo amano, ma sono anche amati. Incondizionatamente.
Ed è questo il punto esaustivo di tutta questa drammatica faccenda. E visto che il dramma è sempre dietro l’angolo, sono certo che tutti o quasi vi state chiedendo chi cazzarola sia Serena Ferretti. Non lo so neanche io a dire il vero. O meglio, so che è una ragazza che sta per sposarsi, e che per il suo addio al nubilato è andata in giro per Roma per tre giorni a vendere magliette come da foto. Ed una l’ho comprata anche io, addirittura con un’offerta super generosa (a suo dire) di cinque euro.
Perché in fondo io sono solo una sfigata orrenda che crede davvero all’amore. E spero che ci creda anche lei. Perché in fondo aiuta sicuramente di più vivere in attesa della persona giusta, che vivere con quella sbagliata per tutta la vita. Anche se ecco, in giornate come queste mi verrebbe solo la voglia di prendere spaccare tutto ed urlare fino a consumare le corde vocali. Che pure quello, aiuterebbe un tantino, invece di passare tutta la serata a vedere gli album fotografici dei matrimoni di quelle cretine che venivano all’università con me. 

Quando si dice il karma

Come dire… A volte la vita è davvero molto strana. Anche se il sottotitolo per questo post potrebbe essere tranquillamente “il dramma è sempre dietro l’angolo”. Ma essendo una costante della mia esistenza, sinceramente rischio che di sto passo ogni post si chiami così. E invece no. Perché questa volta sono rimasto davvero molto basito. Diciamo che negli ultimi sette – otto mesi, visto che non sono andato oltre una pomiciata con la qualsivoglia in realtà ho intrattenuto un intenso scambio di messaggi con un tipo. Architetto, trentenne, castano, occhio azzurro. Insomma un bel tipo.
In principio le nostre conversazioni erano molto vaghe, ovvero parlavamo di quello che ci succedeva il giorno prima, dei nostri interessi vari, amici e via discorrendo. Conversazioni anche piacevoli. Ma poi, ad un certo punto, l’ormone si è insinuato tra di noi. Adesso, che sia chiaro, sono sempre stato scettico ai rapporti che iniziano così. Un po’ per esperienze passate che non hanno portato nulla di buono, anzi. Un po’ perché io sarò antico, ma preferisco sempre il contatto fisico. Che sia anche uno sguardo, dal vivo, ha tutto un altro peso. Non nascondiamoci.
E proprio perché il mio presupposto è questo, per otto mesi non ci siamo mai riusciti a vedere. Strano ma vero. Ma il giorno di pasquetta, finalmente i tempi erano maturi. Ci siamo dati appuntamento alla metro Garbatella, subito dopo aver passato la giornata con i nostri rispettivi amici. Intorno alle 20 mi avrebbe aspettato lì, per poi andare a mangiare un boccone insieme. E chissà che altro. “Aspettami vicino il ponte direzione Ostiense”. Il suo ultimo messaggio. Ed io lì ero. Sotto la pioggia. Mentre lentamente mi si fracicava un cm in più del mio corpo. E lui?
Lui non so davvero che fine abbia fatto. Dopo una ventina di minuti, mentre pensavo a come potermi mettere in contatto con lui, poco più avanti un rumoraccio mi distrae. Una botta violenta. Mi sono anche spaventato perché ero sovrappensiero. Una macchina inchioda, e quella dietro gli va contro senza rendersene conto. “Tutta colpa dei cellulari” penso tra me e me. Ed evidentemente io avevo un problema simile, ma al contrario, poiché non avevo il suo numero. Avevo solo il suo contatto su Planet Romeo. Che insomma, la dice lunga.
Tornato ai miei pensieri, nonostante il trambusto post incidente, mi chiedo come al solito quando organizzo queste robe a cosa stracazzo penso. La prima cosa è chiedere un cellulare. E fare sempre una telefonata anonima almeno un giorno prima per vedere se qualcuno rispondo. Incazzato con me stesso in primis, e passati altri venti minuti, sento cocente la vergogna di un bidone addosso. Penso che forse è imbottigliato nel traffico e che sta arrivando. Poi penso che sono una sfigata orrenda, una poveraccia delle peggiori, e che mi fumo un’ultima sigaretta e fuggo via.
Detto fatto. Mentre torno a casa gli avrò mandato qualcosa come una trentina di messaggi. Messaggi ai quali nessuno mi ha mai risposto. Cioè ci pensate ad otto mesi a mandarsi i messaggi tutti i giorni. A qualsiasi cosa? Appena mi vedeva in linea mi mandava una faccina carina con una frase super simpatica che mi faceva sorridere all’istante. La parola giusta al momento giusto. Il buongiorno, la buona notte. Addirittura il messaggino con foto annessa mentre si abbuffava di nutella alle tre di notte. Insomma oltre che carino anche dolcissimo.
Tornato a casa mi sono arreso alla stanchezza, ed anche a tutti i miei preconcetti su di lui. Dovevo ammetterlo a me stesso e basta. L’ennesima, evitabile sola che potevo risparmiarmi. E si, ci sono rimasto male. Tanto male. Intanto gli avevo mandato anche un messaggio, che mi ero ripromesso essere l’ultimo: “Ti lascio il mio numero, così quando ritrovi le palle, almeno puoi chiamarmi”. Mi viene da pensare che sono doppiamente sfigata orrenda. Perché oltre al danno la beffa. Ovvero io che gli mando il mio numero di telefono. Ma tanto.
DUE GIORNI DOPO
Rientro al lavoro. Un po’ triste ma almeno senza più pesi. Ricontrollo Planet Romeo, e lui dal giorno di pasquetta non si è più collegato. Scomparso. Disperso. Probabilmente sulla Colombo, chissà a fare che e con chi soprattutto. Quando, il telefono squilla. “Hey, scusami, ho visto ora tutti i tuoi messaggi. Volevo spiegarti cosa mi è successo. Ho tamponato una macchina proprio davanti la metro. Ti stavo scrivendo un messaggio, ed il tipo davanti a me si è fermato. Io ovviamente non l’ho visto in tempo. E niente ho passato gli ultimi due giorni in ospedale con un trauma cervicale. Mi spiace, ma mica ci sei rimasto male. Ovviamente dopo non ho avuto modo di avvertirti. Mi spiace se sei rimasto male. Davvero…
Ecco. Adesso posso scriverlo. Il dramma è sempre dietro l’angolo. Sono una sfigata orrenda. E credetemi non ho davvero più le forze per gestire la mia esistenza. 

Sex Austerity

Sapevo che sarebbe successo. Prima o poi il troppo stroppia. Ed è inevitabilmente successo anche a me. Così dopo mesi di sesso compulsivo ed incontrollato ho dato un chiaro e sonoro stop. A tutto. E  a tutti soprattutto. Motivi? Be inutili dettagli che riguardano la mia salute, nulla di grave state sereni, e il perentorio pensiero che mi trapana tempie ed anche un po’ le palle. Ovvero io qua che cazzo ci sto a fare? 


Insomma si, ho un lavoro, ho degli amici, fantastici, sono una persona con delle movenze dannatamentepop. È poi? Ultimamente mi sono fissato con il chiedermi se dovessi morire cosa resterebbe di me. Lo so. Pensare ad una cosa simile è solo un trip. Ripetitivo ed anche abbastanza noioso. Ma io mi pongo sempre domande simili per un eccesso di giudizio nei miei confronti. Insomma non ho di certo la condotta di una Santa, ne tanto meno aspiro a ciò, ma prima o poi arriva quel momento in cui una persona ti si avvicina e ti mette a disposizione il suo cuore?

Perché che qualcuno non voglia il mio lo posso tranquillamente accettare, ma non mi pare che ci sia nessun’altro che voglia dare il suo. Così lentamente e inesorabilmente  i giorni passano e ho sempre meno la percezione di me che si relazione col prossimo. Nell’ultima settimana che il mio coinquilino si è levato dalle palle ho riflettuto su quanto tempo io sia stato in silenzio. Senza parlare con nessuno. Senza esprimere un pensiero. Ecco ho trovato che sia infinitamente triste. Non che questo abbia una stretta connessione col sesso.

Non fatemi mischiare le cose. Questo ha insinuato e riportato a galla un pensiero vecchio che volutamente avevo rimesso. Sono solo. Solerrimo. Ed inevitabilmente, diretto come un treno sono ritornato a pensare a quanto sia ingiusto. Insomma c’è gente con le Hogan che è fidanzata. C’è gente che scambia Twitter per Gay Romeo e si rimorchia la qualsivoglia mentre il ragazzo è a far progetti su come dipingere la camera da letto. Come mi  ha detto qualche tempo fa Guy: “C‘è chi ha denti e non ha il pane. E viceversa”.

E mentre tutto va al contrario di come dovrebbe la conclusione è come sempre amara. Mi chiedo solo se possa andare peggio di così. E la risposta è chiara. Si. Io mi preparo al peggio, perché il dramma è sempre dietro l’angolo, e quando il dramma prende via… Insomma nessuno è capace di dargli un taglio. Specialmente io. Ma non fare sesso per più di un mese per me è inaspettato e alquanto deleterio. Mi viene da sorridere perché mi immagino come l’Incredibile Hulk che diventa verde quando s’incazza.

Ecco io divento verde quando non vedo un cazzo. Ma il fiore sboccerà ancora. Per ora, vista la crisi, mi scambio messaggi porno con un mio contatto Romeo. Illudendomi che lui possa finalmente essere il mio Big. Einvece?

Rifocalizzare. 2013

Avevo intenzione di iniziare il 2013 sul blog con una serie di buoni propositi. Ecco i buoni propositi mi servono sempre per iniziare bene l’anno. Ma devo ammettere che i miei buoni propositi sono andati a farsi fottere nel momento esatto in cui ho deciso di metterli nero su bianco. Nella fattispecie vertevano su alcuni punti principali. Prima di tutto cercare una casa nuova. Vivere con un coinquilino etero, calabrese, con la mania della cattiva igiene e simpatico come una diarrea estiva mi hanno convito totalmente a prendere questa decisione. E poi voglio riavvicinarmi ai miei amici. Mi sembra di essere in punizione quassù.

Lontano da tutto e da tutti con troppe difficoltà per parcheggiare. Che sembra una stronzata, ma condizionano inevitabilmente la vita quotidiana. E poi diciamoci la verità, sono stufo di abitare così vicino al lavoro. Non posso mai invitarmi che non mi è suonata la sveglia. Perché qualora fosse anche possibile, in realtà ci metterei comunque cinque minuti ad andare a lavoro. Ecco, necessità anche fondamentale è che devo essere sincero: nonostante io sia in una zona universitaria la media gay è davvero bassa ed orribile. Insomma gay improbabili, nessuno che abbia fatto lo Ied o che prenda lezioni di danza. Anzi a dire il vero  non mi sembra neanche Roma (e in effetti).
Ma se fossero i primi di gennaio parlerei principalmente di una cosa. (Lo so che in realtà è quasi febbraio, ma il tema era questo, non mi angosciate). Ovvero parlerei di come ricominciare da zero. Di come farsela passare (la volpe che non arriva all’uva e dice che è acerba), di come accontentarsi dello stipendio diminuito perché hanno cambiato il contratto (si sa c’è crisi), di come far finta di essere soddisfatti di una vita da single priva di ogni stimolo (no sex in the city vi dice niente?). Insomma di come riuscire a sorridere nonostante tutto. Soprattutto quando sei nell’ultima parte dei venti. Gli ultimi sei mesi per intenderci, prima di passare a trenta.
Ecco, potrete tranquillamente affermare che sono una chiavica e che mi fascio la testa prima del tempo. Ma io vivo di somme, pensieri e riflessioni. Parole, che si infrangono nella mia testa e riverberanofino a sparire. Parole che immagino di dire e che spero mi vengano dette. Parole che mi piacerebbe sentire, che vengano dette proprio a me. E con le quali riuscire ad emozionarmi,  veramente. Così come vorrei. Senza troppe maschere. Ma in realtà a parte Antonio Capitani e Paolo Fox che vedono amori come se non ci fosse un domani, io sono  l’unico a pensare che l’amore così come lo voglio non esiste. Non c’è. E non c’è neanche più nessuno che sia interessato.
Ecco io mi metterei a correre sulla Tuscolana urlando e andando a sbattere contro chiunque. Anche solo per farmi notare. E invece no. Guardo il tempo che sparisce nel tic tac noioso e ripetitivo di un orologio da parete Ikea sperando che qualcuno mi dica semplicemente “Hey come stai?”. Parole semplici. Passi facili e precisi. In realtà mentre io mi rattristo per la poca attenzione intorno a me il mondo va avanti. Ed è proprio questo il punto cruciale e drammatico. Io sono ancora in una stanzetta di cinque metri quadri di Via Giuseppe Acerbi a sognare di diventare qualcuno, mentre gli altri sono già diventati qualcuno. Sono diventati grandi. Si sono fidanzati.  Chiunque si fidanza. Gli improbabili. Gli inaspettati. I meno espressivi. I mostri.
Giudicatemi male. Ditemi soltanto che sono un egocentrico del cazzo. Si. Lo sono. E ne vado anche fiero. Ma non posso resistere a me stesso, non posso far finta che non sia importante perché forse il tempo degli aperitivi e delle single a caccia nell’Upper East Side del cazzo è davvero finito. E forse adesso inizia il momento della sostanza. E per fortuna che ci sono i miei amici. Che davvero senza di loro sarei meno di quello che sono oggi. E non sarei sicuramente felice. Perché nonostante tutto questo marasma riesco ancora a sorridere. Ma non preoccupatevi, tutto ciò serviva solo per rompere il ghiaccio. Il mood è tornato. Ed ora levatevi. 

Ottobre.


La mia famigerata amica Du Barry, era famosa su queste pagine per il suo stendere gli uomini con uno sguardo. In senso positivo, ovviamente. E siccome il tempo passa per tutti, anche la mia amica è diventata saggia. Merito anche della sua psicologa che è una stra quotata nella Roma bene, inevitabilmente parlarci diventa terapeutico, visto che capisce tutto, adesso. E mentre sabato attendevo in trepidante attesa i risultati dei MIA2012 (dove Così è (se vi pare) si è guadagnato un rispettabilissimo, ma ancora non sufficiente, terzo posto – grazie a tutti comunque per i voti!!!), eravamo lì a ciarlare e a giocare alla malata di mente e alla psicologa.
Ovviamente la malata di mente sono io. Ma forse esagero come al mio solito. Sapete parlare con la Du Barry di questo strano periodo che sto vivendo mi ha dato un qualche stimolo. E’ innegabile che siamo sempre più fragili. E quando la fragilità lascia spazio alla totale insoddisfazione in ogni cosa, la necessità di parlarne si fa pressoché necessaria per sopravvivere. Ma sopravvivere a chi? O a cosa? La Du Barry è sicura e certa quando afferma che prima di tutto devo smetterla e provare ad essere felice e soddisfatto anche da solo.
In effetti, chiunque, conoscendomi potrebbe pensare che il mio stato attuale sia dovuto soltanto alla mancanza di una persona in particolare. Non è così. Non è lui il problema. Lui è lontano, fidanzato, felice e spero anche realizzato. Per quanto possa torturare me stesso sul fatto che lui mi ignori, in qualche modo, lo comprendo benissimo. Ognuno ha le proprio responsabilità. E in qualche modo non gli dò neanche tutti i torti. Certo se venisse qui a dirmi che ne vuole da me forse non saprei proprio come poter reagire, ma sono certo che ciò non accadrà mai. Ciò nonostante non è lui il problema.
Non sto soffrendo per lui. E’ possibile che il problema debba per forza ruotare intorno alla mancanza di un fidanzato. E’ davvero così importante? O meglio, deve esserlo? Insomma perché per me lo è almeno. Lo stimolo è arrivato soprattutto su questo punto. Perché senza uno stramaledetto +1 mi sento perso e inutile al genere umano? Badate bene, quando questo blog faceva sorridere perché scrivevo cose allegre ero comunque single. Ma avevo la speranza. E gli amici, che forse l’avevano più di me. Poi però le cose cambiano. Per cui mi viene a mente che forse gli amici tocca pure sceglierseli bene. E forse io questo non l’ho mai fatto in maniera oculata. E’ verità.
Anche se l’aspetto terapeutico dell’aver parlato con la Du Barry sta principalmente in una frase che mi ha detto: “Tocca tirarsi su le maniche. E finirla di dire e fare cazzate. Abbiamo trent’anni, cazzo. E a trent’anni ci si aspetta che almeno uno sia realizzato. E dobbiamo essere felici. Per cui se qualcosa non va, tocca conquistarselo. Ora. Adesso. Poi non ha più senso, e il tempo passa e ci mette davvero poco a volare. Capisci?” Si. Lo capisco. E quindi? Tocca davvero tirarsi su le maniche e ricominciare a vivere perseguendo degli obiettivi. Che poi sarebbe normale. E invece.
Certo è che mi viene da pensare soltanto che si, in qualche modo siamo davvero cresciuti. E che forse, il tempo per certe cose è davvero finito. Insomma io non mi ci immagino a quarant’anni in giro per locali a rimorchiarmi la qual si voglia. E forse sarà davvero quello il mio triste e inaspettato (!) destino. Ma io tendo sempre ad esagerare, o forse no. Forse in questo mio riflettere su queste cose sono in qualche modo oculato. Ma chi lo sa. Sento soltanto, per la prima volta, di essere la persona sbagliata, nel posto sbagliato. E di vedere poche uscite di sicurezza.
E che in qualche modo sia davvero arrivato il momento di reagire in maniera decisa. E prendere una posizione. Questo me lo devo. E lo devo a chi tiene alla mia felicità. E saranno anche un numero di persone che non superano una mano, ma non me ne voglio affatto lamentare. Anzi. Forse il problema mio è che non riesco a sopravvivere a me stesso. Nel senso che dovrei finirla di tormentarmi ed iniziare a vivere. Davvero. E questo in soldoni è stato quello che la Du Barry mi ha detto. Ma tra il dire e il fare, ce ne vuole, ed intanto un altro week end è passato, ed io sono rimasto a casa a fare la muffa.

Ma è già ottobre. Ed è tutta un’altra storia. Me lo  auguro, almeno.

La cura.


Diciamoci la verità. Quando un periodo è no. E’ no. E non parlo che me la tiro da solo. E forse non dovrei neanche scrivere un post del genere. Ma, come sempre, non riesco a non essere sincero anche nella peggiori delle sorti. Se da una parte ho davvero tutto quello che una persona vorrebbe, in realtà non ne riesco ad essere entusiasta. O comunque soddisfatto. Ci sono stati tempi, in cui effettivamente avevo molto meno, e sinceramente ero molto più felice. Ma in fondo la felicità, quella di cui siamo alla ricerca perennemente e costantemente secondo me è solo una bufala. Una grande enorme bufala.
Eppure, a mio fratello è bastata incontrare la sua metà. Quella vera. Quella che basta uno sguardo per sorridere. Quella a cui non hai paura di dire le cose come stanno, perché sai che le capirà. Quella che accetta la tua famiglia, e comprende il carattere di tutti. Quella che ti ama così come sei. E con la sua metà, mio fratello accetta i compromessi. Accetta di risparmiare, accetta di abbassare il volume del pc e di mangiare meno per far scendere la pancetta. Lo fa. E’ deciso a privarsi di qualcosa per un bene comune. E lo fa col sorriso. E senza troppa fatica.
Adesso. Dopo questa lucida considerazione mi viene da pensare che forse io non ho davvero una collocazione senza una mia metà. Ed è una cosa davvero orribile da pensare. E che forse davvero ho sbagliato tutto. E che forse non era neanche troppo necessario fuggire dal paesello per venire a Roma e scoprire che in realtà sono solo qui tanto quanto lo ero lì. Insomma, chiarimenti del genere, tanto semplici e lampanti mi vengono anche in maniera del tutto spontanea. E naturale. E me lo conferma la mia amica Giulia in maniera ancora più diretta. La pensiamo alla stessa maniera a riguardo. E lei, ha 33 anni ed è ancora single.  E non si accontenta. E mi viene da dire.
Ma è possibile vivere il fatto di essere single in maniera così drammaticamente devastante? Lo devo ammettere? Si. E’ una cosa davvero molto triste. Talmente triste che è paragonabile soltanto a quando ti finisce il ketchup e hai già cucinato una marea di patatine fritte. Come si fa? Mangi le patatine senza ketchup? Già è difficile mangiar patatine. Figuriamoci senza ketchup. Anche se io so già dove sta il problema. Almeno per quanto mi riguarda. Bè un primo enorme problema è avere la testa da tutt’altra parte. Che non aiuta proprio.

Soprattutto quando ti devi risollevare da solo. E poi, dopo la testa viene il cuore. Che sta lì. Ma è gelato.  E mi si è congelato del tutto. E poi arriva la chiusura. Totale. E lo sto facendo anche in maniera più decisa verso alcuni amici. Sapete si arriva a un punto che forse ti cominci a chiedere soltanto “ma io qui cosa stracazzo di sto a fare?”, tutto diventa difficile da fare e da dire e vorresti solo correre a gambe levate. E invece? Invece niente. Non lo si fa, perché non hai più la voglia di parlare e perché ti chiedi soltanto cosa è cambiato rispetto ad un paio di anni fa. E ti rendi conto, che le cose belle, sono tutte irrimediabilmente finite.
E parlo di cose serie, e meno serie. Per questo, ho deciso di iniziare ad organizzare la mia esistenza con priorità diverse. Perché in un momento di totale sconforto, che sto vivendo, e dal quale mio malgrado, ancora non riesco a uscire, voglio riemergere ed essere vincitore. Per questo, in qualche modo ho deciso che dopo il lavoro mi dedicherò alla palestra, alla scrittura, allo studio e ai miei altri interessi, come il cinema e il teatro. Stop. Lascio un punto interrogativo per il sesso. Voglio riservarmi la possibilità di scegliere se fare o non fare sesso al momento. D’altronde anche quella è una cosa che va fatta.
Certo, questo perché al momento non posso permettermi una psicologa. Perché in fondo lo so che molti di quelli che mi sono molto vicino, ma anche voi che leggete, pensate che io ne abbia bisogno. Ma non posso mettermi a spendere per la psicologa. Non ora almeno. Trovo giusto interrogarmi su le cose concrete. E una cosa concreta adesso è sicuramente capire la cura migliore per farmi ritrovare lo smalto e la verve di una volta. Che credetemi, è davvero complicato da far riapparire, da soli. Io ci contavo, ma niente. Questi non tornano più.
Anche se nell’incertezza in cui verso, mi pare logico ricominciare prima di tutto da me. Non voglio angosciarmi con troppe paranoie (mi sembra di averne anche fin troppe), voglio solo vivere, e capire la cosa migliore da fare. Sorridere. E lo farò da subito, ed ignorare tutto quello che mi arreca noia e fastidio. E poi non ditemi che non scrivo cose belle e positive. Forse ho iniziato già da ora la cura, e ancora non lo so.  Intanto se volete, potete farmi sorridere tutta la sera cliccando qui. O qui. Sarebbe già un inizio. No?

Luglio, grigio.






Rompo il silenzio. Nonostante il giovedì random sia una delle rubriche più criticate del mese, e nonostante le visite siano triplicate, mi urge aprirmi a voi. Come se non ci fosse un domani. E mai espressione fu più azzeccata per descrivere questo periodo. Chi mi conosce bene lo sa che io d’estate rinasco. Ma saranno i miei 29 anni, che non ho ancora accettato totalmente, e sarà anche il caldo devastante degli ultimi tempi, io mi sento davvero morire. Dentro, soprattutto. E non è affatto un bene.

Le motivazioni sono troppe. E diverse. Sono insoddisfatto per quanto riguarda il mio lavoro. E malgrado questo so che non è affatto periodo di lamentarsi per il lavoro. Insomma con sta crisi. Sono insoddisfatto per le mie amicizie. Riesco solo a litigare ed eruttare acido verso chiunque. Sono insoddisfatto per quanto riguarda la mia vita sentimentale. Anzi. Fate conto che non esiste. E non mi interessa davvero nessuno. Sono insoddisfatto della mia casa, e del mio coinquilino. E non riesco a trovare nessuno che mi dica “Ok, prendiamo casa insieme”. Nessuno.

E inaspettatamente sono insoddisfatto del sesso. E nonostante come mi sento, i miei oroscopi sono pazzeschi. Gli oroscopi che chiunque vorrebbe leggere la mattina. Io mi sento solo apatico. Triste. Spento. Morto. A tal punto che mi sembra di vivere la mia vita come se qualcun altro la stesse vivendo per me. E io sia intrappolato in una merda di avatar orrendo. E non mi riesco a liberare. Né dell’avatar né di quello che mi circonda. Vorrei scappare, davvero e non tornare più. Per almeno sei mesi. Ma sono un vigliacco.

E quando uno è un  vigliacco, e ne è cosciente, non è capace neanche di scappare. Non volevo scrivere robe simili, sinceramente. Ma devo un post nuovo a questo blog. E mi sono lasciato andare senza filtri. Perché prima o poi dovrò eruttare. E siccome mi capita di eruttare con le persone sbagliate, forse è il caso che io lo faccia qui, dove potete cliccare in alto a destra la croce e liberarvi di questo sfogo. Perché nel bene e nel male sono questo. E non posso non essere sincero. Almeno qui.

Se guardo indietro nel tempo ho sempre avuto una vita abbastanza altalenante. Non sono mai stato pienamente felice, e se forse lo sono stato in realtà c’era sempre un tassello che non era al suo posto. Forse è vero che io mi fisso. E forse è anche vero che chiedo affetto a chi in realtà non ha alcuna voglia di dimostrarmelo. Però se fosse per me mi chiuderei in casa dalla mattina alla sera senza mettere il naso fuori. E questo non mi piace. Sono spie insidiose di qualcosa che può trasformarsi in un qualche dramma, vero.

E si sa, che i drammi sono sempre dietro l’angolo. Ma dovrò pur ricominciare da qualche parte. Eppure non ci riesco. Sono insicuro. Talmente tanto insicuro che sto lentamente cominciandomi ad odiare. Odio la mia immagine, e la mia faccia. E i miei atteggiamenti. E sento crescere solo ansia. Un’ansia che mi sta consumando. Nelle ultime tre settimane ho passato il pomeriggio sul letto. A pensare. A pensare cosa scrivere. E non mi è venuto in mente niente. Quando in realtà potevo cominciare a chiarire innanzitutto a me stesso chi sono.

Perché in fondo è questo il mio problema maggiore. Chi sono? Sembra che tutti sappiano chi io sia. Lo sa mia madre, mio padre. Mio fratello. E addirittura la sua ragazza che mi conosce da meno di due anni. Lo sa mio zio, che sfrontato fa battute come se ci fosse una confidenza. Lo sanno i miei amici. Anche se poi mi incavolo per un nonnulla. Lo sanno i miei colleghi di lavoro. Che credono che il mondo finisce al di fuori del timbro marcatempo. E lo sanno i miei numerosi, e diversi amanti. Che pensano che mettere un cazzo in culo sia la soddisfazione più alta alla quale possano aspirare. O possa aspirare io.

Potrebbe anche essere così, per loro. Non lo metto in dubbio. Ma per me? Cosa è davvero importante per me? Questo non lo so. O faccio finta di non saperlo. Perché forse è meglio così. Fa meno male. In fondo quanti di voi vogliono soffrire in maniera cosciente. Nessuno penso. Io lo faccio, costantemente. E mi illudo che il domani sia meno grigio, quando poi il giorno dopo è sempre peggio di quello prima. E non ci sono movenze pop che tengano. Perché non mi va. Non mi va davvero di fare niente.

Lo psicologo, dirà sicuramente che devo capire da solo. Ma io non gliela faccio a capire niente. Riesco a malapena a capire dove mi trovo ultimamente, figuariamoci se posso capire qualcosa di così profondo e impercettibile. Almeno agli occhi miei. E mi dilungo in cattivi pensieri che non mi danno risultati anzi, insinuano ancora più dubbi. E perplessità. La mia unica mossa, ed è quello che farò, perché insomma, smerdarmi così in maniera chiara dovrà pur servire a qualcosa, sarà pensare a cose piccoli e facili da realizzare.

Cose con un obiettivo chiaro, raggiungibile  e misurabile. Senza aspettarmi troppo dagli altri, e da me stesso soprattutto. Ricominciare, poco a poco a riprendere confidenza con me stesso, e con i miei simili. Perché neanche più quelli capisco poi tanto bene. E sperare, che in fondo, tutto questo prima o poi finisca. O si esaurisca da solo. E pensare, per la prima volta, solo ed esclusivamente a me. Sperando che il caldo soffochi anche questo luglio grigio e triste.