E’ sempre difficile riprendere le fila di un discorso così personale.

E’ da molto tempo che provavo a ritagliarmi uno spazio per poter scrivere di nuovo, ma non ci riuscivo. Più ci provavo e più ne usciva fuori una roba horror, senza un filo logico. Così ho lasciato perdere. Non riuscivo più a raccontarmi, ad essere divertente, a trovare una chiave di lettura, quel mood che per anni mi aveva contraddistinto, e mi aveva permesso di esprimermi al meglio. Dovevo cercare ispirazione altrove.
Non era affatto facile. Ho iniziato a ripensare a tutte le mie storie, a tutte le mie relazioni, vere o presunte. Non sto parlando solo di uomini, di sesso o di amore, ma anche di amicizia, di lavoro. Sentivo il bisogno di tirare le somme – in realtà lo faccio sempre, ma ogni scusa è buona. Ma stavolta era una vera e propria necessità, più impellente di quanto avessi calcolato.
Ero lì che mi guardavo allo specchio e quell’immagine così impietosa, così vera, non mi piaceva per niente. Era giunto il momento di cambiare, o forse solo di scoprirmi un po’, di essere finalmente me stesso. Forse questo non è il posto più adatto per farlo – non che quello che ho raccontato su queste pagine fino ad oggi non fosse vero per me stesso. Anzi. Tuttavia (purtroppo o per fortuna, non so dirlo) tutto quello che è successo nel frattempo non può passare inosservato.
Sono cambiato, molto, forse anche troppo.
Non è stato affatto facile arrivare qui, oggi, con questa consapevolezza.
Il mondo come ce lo ricordavamo pare non esistere più. Potrà sembrare una constatazione scontata, ma per me è una riflessione necessaria: noi, i figli degli anni Ottanta, che abbiamo assaporato le luci – o meglio, i lustrini – degli anni Novanta, che abbiamo creduto che il Nuovo Millennio ci avrebbe salvati, ci avrebbe aperto infinite possibilità, abbiamo capito – o forse ci siamo solo scontrati con la awful truth – che dovevamo salvarci da soli.
Le nostre vite si sono sincronizzate con i nostri smartphone (e con le vite di miliardi di altre persone), ma stiamo ancora cercando di capire come salvarci.
Il Duemilaventi ce l’ha fatta proprio sotto il nostro naso. Ci ha ricordato che in realtà siamo degli ospiti, che siamo qui per qualche motivo, certo – ma boh, vai a capire quale.
C’è una sola speranza: la condivisione. Non tanto la ricerca spasmodica di una persona che ci completi, che ci faccia sentire vivi, che ci ami così come siamo e che forse ci sia (e non ci sia) come e quando ci va. Ma una persona che ci regali un sorriso al mattino, quando siamo ancora senza armature, senza filtri.
Ecco, io ho cambiato idea. Ho deciso che non mi serve il pezzo mancante, che non mi manca proprio nulla, che, anzi, voglio prendermi del tempo da dedicare solo a me stesso. Quel me stesso che ho sempre lasciato nelle mani degli altri – dei più cattivi? – che irrimediabilmente, ogni volta, hanno finito per calpestare, o peggio ancora per ignorare.
Adesso riesco ad accettare anche un silenzio lungo sei mesi. Onestamente non mi interessa più, perché ho capito che devo essere io a prendermi cura di me stesso. È arrivato il momento – era ora, a 37 anni! – di prendermi per mano e magari coccolarmi un po’. Ecco: detto, fatto.
A giugno – che è sempre un mese di merda per me, perché compio gli anni e il mio cervello va sempre in pappa – ho iniziato ad ascoltarmi (e perché no, a viziarmi) e poco a poco ho smesso di soffrire per quelle cose e/o persone che non meritano nulla da parte mia.
Ho capito che se il Duemilaventi ci ha piazzati sui libri di storia per colpa di una fortuitissima pandemia, sul libro della mia Storia devo scrivere del grande cambiamento che nel frattempo è avvenuto dentro di me.
Ecco, ripartirò a raccontare da qui.
E siccome sapete quanto ami i claim…
Annabelle Bronstein is back in town, bitches!