Ultimo.

A volte arriva il momento di chiudere. A volte non basta sforzarsi per fare in modo che le cose funzionino. A volte bisogna rendersi conto che non c’è davvero più niente da fare. Che non si può avere più niente. Bisogna solo accontentarsi di quello che è stato e nulla di più. Perché ad essere sinceri e a dire le cose come stanno ci si rimette sempre. Anche quando l’altra persona ti dice che non è così.

Ma poi tutto grida il contrario. E così devo passare alla censura, a dire a me stesso che determinate cose non le posso neanche scrivere perché il suo unico problema è stare attento a non ferire il suo fidanzato. Che ha già ferito lui. Ma inevitabilmente la colpa è tutta mia. E così se stai al suo gioco va tutto bene. Se non dici le cose come stanno siamo i migliori amici. Se poco poco hai la necessità di dirgli che ti manca.

Che vorresti vederlo. Che quello che è stato ha avuto tutto un significa diverso per te. Allora no. Sei il cattivo. Ma lui fa di tutto per dimostrarti che non gliene frega niente. Non muove un dito. Anzi. Allunga le distanze. Alza i muri. Ed io che sono notoriamente instabile inizio a stare male. Mi manca l’aria. Ma lui non lo capisce. Si sente solo di dirmi che per me è diventato un ossessione. Che gli rompo le palle. Che la devo smettere. Che se voglio posso fargliela pagare. Che non devo fare la vittima.

samantha

Ecco. Altra nota dolente. Più che una vittima sono un coglione. Uno che non riesce neanche a fargliela pagare. Come se mi ci fossi messo da solo in questa situazione. Come se non avesse fatto niente lui. E quindi arrivo alla conclusione. La chiudo qui. La delusione è troppa. Non mi va di parlare. Stacco la spina e per il momento anche il blog. Tanto lo avrei fatto lo stesso. A breve vado fuori. Dall’altra parte del mondo per l’esattezza.

Spero solo di dimenticare tutto. Tutto questo dolore, che proprio non mi si addice per niente. Le persone non cambiano per i propri partner, figuriamoci se doveva cambiare qualcosa per me. L’ennesimo errore. L’ennesimo fallimento. L’ennesima situazione in cui devo sparire per leccarmi le ferite. Inflitti una appresso all’altra come coltellate. Questa volta è più dura. Questa volta io speravo davvero. E quando si annienta la speranza c’è ben poco altro da fare. Bisogna solo capire. Nonostante il cuore voglia altro.

L’unica cosa positiva per tutti voi, e che per un po’ vi siete tolti dalle palle il sottoscritto. Contenti voi. Contento tu, soprattutto.

Au revoir.

La fine di Spiderman.

Storicamente tutto quello che accade ad una persona nel corso della sua vita serve a creare, in qualche modo, il carattere, a formarsi e perché no a scappare davanti quelle situazioni in cui si mette in pericolo il cuore. Figuriamoci poi, se si tratta di me. Uno che nelle situazioni difficili ci si butta a capofitto. Senza mai pensare alle conseguenze. Senza mai pensare se quello che si sta facendo abbia senso o meno. Ritrovandosi poi male. Anzi come dici il mio amico Piergiorgio “Male male“. Perché rafforzare rende meglio l’idea. Così, dopo aver chiarito a tutti di essere uno zero, adesso penso di aver raggiunto un nuovo stato. Il niente.

Si perché se una settimana fa eravamo stretti a baciarci e a farne di ogni, oggi, invece è difficile comunicare. Oggi mi per me è rimasto un piccolo spazio che si consuma con qualche messaggio privo di ogni senso. Certo sono sicuramente io che pretendo da chi forse non c’è niente da pretendere, ci sono, ma è davvero difficile fare una telefonata? E’ davvero impossibile ritagliare uno spazio che sia solo mio. Per me? Evidentemente si. Evidentemente quelle quattro inutili cazzate scritte per messaggio, per lui hanno più senso scritte che dette. Per quanto sempre cazzate siano. Quando in realtà neanche mi interessano. E forse neanche a lui interessano dirle. Ma non so per quale vago motivo invece me le dice.

In realtà io sono in un punto di non ritorno totale. Non ho più interesse nel prossimo. Nessuno. Non mi va neanche più di parlare. Ed intorno a me mi guardano tutti come se fossi impazzito di colpo. Come se non fosse successo niente. Come se lui, andatosene via a 400 km da qui con il suo ragazzo abbia fatto la cosa più giusta del mondo. Forse è così. È il suo ragazzo è anche un altro aspetto importante. So cose di lui che a ripeterle mi vergogno. Ed io sono notoriamente uno che non si vergogna di niente. E mi sono state raccontate da un fidanzato stanco di tutto. Di certo non me le sono inventate.

Delle cose che non mi sognerei mai di ripetere. Dei dettagli di cui lui stesso mi ha messo a conoscenza, ovviamente. Dettagli che oggi sembrano avere un valore solo per me. Dettagli che in chiunque precluderebbero un futuro. In lui no. In lui addirittura sono stati utili a motivare un trasferimento. Perché lui di Roma si è rotto. Lui che di Roma non conosce niente. A lui è bastato solo parlarci con la sua dolce metà per sistemare tutto. Pensa quanto era semplice. Invece che finire sotto le lenzuola del mio letto bastava semplicemente parlare. A me ovviamente questa possibilità è stata negata. Per me non c’è stata alternativa. Io devo pensare ad altro. Io devo fare qualcosa. Come se non facessi niente dalla mattina alla sera.

Neanche l’ultima sera è stata come io la volevo. No. Perché lui aveva già deciso che avremmo fatto chiacchiere e ci saremmo divertiti, che nel suo idioma vuol dire vengo, ma non mi ti avvicino neanche se mi implori. E quindi arriviamo a venerdì sera. Quando se n’è andato via, dopo che mi ha dato l’ultimo contentino, un caffè dopo cena. Dopo una giornata pesantissima. Dopo una giornata che io non posso neanche immaginare. Io che mi alzo all’alba ogni giorno, che devo far filare tutto liscio finché non striscio il cartellino. Che devo riuscire a gestire tutto e far finta che vada tutto bene. Perché il mio tentennare seppur minimo crea tensioni, fraintendimenti e cose che neanche capisco più. E devo tenermi un messaggino di merda, che non sa di niente. Che non ha alcun valore.

Una fotina di lui che sorride che serve a sdrammatizzare quando io gli dico che per me è come se fosse morto, perché non posso sentirlo. Non posso telefonargli perché non mi risponde. Anzi risponde con un altro messaggio. “Non posso parlare, ci sentiamo dopo”. Il dopo non esiste naturalmente. Il mio dopo non c’è mai. E forse mi viene da dire solo che lo stupido sono io. Che non c’è altro da aggiungere a questa storia che non è storia, che è stata un po’ sesso, un po’ odio, e poi un po’ di niente. Che dovrebbe lasciarci amici. Amici che non si possono sentire per un motivo che non esiste tra gli amici veri. Io che, se avesse bisogno, sarei capace a stare da lui in un paio d’ore. Ma sarebbe comunque tutto inutile.

spiderman

Perché mi sono messo il giubbetto con la bomba e gli ho consegnato il telecomando con il detonatore. È così devo accettare anche la presa in giro. Lo sguardo di commiserazione di chi mi sta intorno perché non capisce quello che provo, e l’ironia di chi mi sente piangere e non se lo spiega. Mentre lui, ha accesso anche ai miei pensieri, perché li legge qui, su una zona franca. Che non consola più nessuno. Specialmente me. Sono rimasto come Carrie, quando va in chiesa pazzesca per sposarsi e Big non arriva. Big poi l’ha capita. Tutti lo hanno capito. Tranne io. Ma almeno Carrie gli ha sfracassato i fiori in faccia. Io non ho potuto.

E adesso ciò che resta di me è solo delusione e stanchezza. Lo scrivo oggi, perché pure oggi ha un significato, oggi sarebbero stati sette mesi dalla prima volta che siamo usciti. Perché per me queste sono le cose da ricordare: le date, gli abbracci e gli scazzi. Tutto. Sette mesi che ho vissuto intensamente, di cui non mi pento di niente e che soprattutto rifarei solo in maniera meno concitata è più rilassata. Ma le cose le capisci solo dopo. Solo quando tutto è finito. Per cui la pianto qui, con questo post. Ci metto un punto e vado a capo. Perché in fondo piangere non ha poi molto senso. Anche se non riesco a smettere. “D’altronde abbiamo giocato” mi sembra che dica. E devo vivere con la certezza che lui ci sarà e c’è. Ed è proprio questo che mi da fastidio, perché non è assolutamente vero. Resterà solo un altro di quei ragazzi carini che è passato e di cui non ricorderò il nome né il compleanno. O almeno tento di convincermene.

Io non riesco ad abituarmi a quest’idea. Per lui non è affatto un problema. Lui preferisce condividere uno status su facebook piuttosto che con me. Mi auguro non si stanchi mai della sua nuova vita, perché mi pare più che l’abbia fatto perché non sapeva che altro fare. E così finisce un altro ciclo. E anche se io non avrei mai voluto mi ritrovo ancora qui, senza altro di dire e con un mood nerissimo. Quel mood che tanto ci ho messo a ritrovare è svanito in un secondo. E forse mi viene da pensare che lo avevo ritrovato perché lui era entrato nella mia vita. E seppur in tutto ciò Spiderman non c’entra niente, fidatevi che ci sta tutto. Perchè Spiderman è uno che non si arrende mai, E’ uno che pure mezzo morente va avanti per il suo obiettivo. Fa l’eroe. E lui, era il mio eroe. Era venuto e mi aveva restituito il sorriso che avevo perso, per poi portarselo via di nuovo.

Sono certo che il finale è un po’ incomprensibile, ma credetemi, un senso ce l’ha. Molto più di me. E questo forse è l’ultimo regalo che gli ho fatto. E adesso non scriverò più di lui, perché posso essere scemo, ma non sono cretino. Non più per lo meno. E pure Spiderman non c’è l’ha fatta, davanti alla pochezza degli esseri umani.

Patrick Mulder ed una serata inaspettata – Part 2

N.d.A. – Nota di Annabelle. Con il nickname di Patrick Mulder si identifica un noto cantante italiano famoso in tutto il mondo. Conosciuto in una situazione particolare potete recuperare il nostro precedente incontro cliccando qui.

 adam

Marzo 2014

Era una serata fredda e, come tipica della capitale, molto umida. Un mercoledì come altri, in cui però io e le mie amiche avevamo deciso di abbuffarci come se non ci fosse un domani di schifezze di ogni genere e sparlare dei soliti ragazzi carini che ci fanno tanto imbestialire. Eravamo partiti per cenare all’Hamburgeseria, ma era tipo pieno da far paura per cui ci siamo ripiegati su un più banale Mc Donald’s, che comunque da le sue soddisfazioni.

Cena, kg di schifezze ed i soliti discorsivi noi single alle prese con questi ghey un po’ troppo insolenti che ogni giorni incontriamo. Ecco le schifezze servivano proprio a sedare tutti quei sentimenti catastrofici che loro sono in grado di scatenare. Dopo aver ridefinito per l’ennesima volta che le nostre vite sono orribili, e piene di insoddisfazioni, alle 22 circa eravamo già verso la via di casa, perché noi oltre a dover saper gestire una vita da single, dobbiamo portare anche la pagnotta a casa che vuol dire sveglia all’alba. E così, mentre camminavo per Piazza della Repubblica alla ricerca compulsiva di un autobus squilla il telefono.

Numero sconosciuto. “Pronto?” dico distratto con l’aria di quello che è stato appena disturbato. In fondo sono le dieci di sera, chi cazzarola mi chiama a quest’ora? “Hey, sono Patrick Mulder” dice una voce dall’altro lato. “Si, ed io sono Raffaella Carrà!”. E click. Chiudo la conversazione. Passano tre secondi e realizzo immediatamente. MERDACHENONSONOALTROHOAPPENARICHIUSOILTELEFONO A Patrick Mulder. Sono un idiota. E adesso come faccio? Non ho il suo numero e non mi richiamerà mai. Dramma.

Mentre penso a quale sia il modo più utile per mettere fine alla mia vita senza senso, il telefono squilla di nuovo. Numero sconosciuto. “Pronto!” dico attento, questa volta. “Ma che me stai a prende in giro? Io te chiamo e me butti giù?” dice Patrick evidentemente pieno. “Scusa, ma anche tu, secondo te io penso che tu sia il vero Patrick?!?” mi giustifico. “Bè, so Patrick. Che ti devo dire che sono Francesco?” dice adirato. “Si, lo so, hai ragione. Scusami…” Chegranfiguradimerda penso. “Senti a do stai? Io sto in giro magari ci beviamo qualcosa?” proprone. E che gli vuoi dire di no? “Guarda sono a Piazza della Repubblica, dimmi dove ci vogliamo vedere!” lo azzittisco! “Damme cinque minuti e sto lì. Ciao”. OHMIODDIO.

Sono entusiasta a tal punto che non so se pisciarmi sotto dall’emozione o cagarmi addosso per tutto quello che ho mangiato da Mac. Ma non ho il tempo di pensare ad altro che eccolo arrivare. Bello come il sole, addirittura scende e mi apre la portiera. Giriamo la piazza ed entriamo nel Boscolo Hotel di Piazza della Repubblica. Io basito. Alla reception lo riconoscono subito, e a me da una ventiquattrore e mi dice di assecondarlo. Figurati, sono il tuo schiavo. “Salve, avremmo bisogno della solita stanza, lui è un mio collaboratore, dobbiamo sbrigare delle faccende. Pago subito, perché non restiamo fino a domattina.” Io ancora più basito. “Certo” fa il concierge,  “sono 1570. Ecco il lettore” per strisciare la carta. Minchia.

Finite le operazioni di pagamento saliamo in ascensore. Ho la faccia che mi scotta per la vergogna. “Scusami. Ovviamente io non posso contribuire alla spese della stanza. Insomma, guadagno quasi la stessa cifra, e non potrei proprio permetterlo…” dico abbassando sempre di più lo sguardo pervaso da una vergogna che mai nella mia vita. “Ma stai scherzando, non devi minimamente preoccuparti. Anzi pensa a divertirti!” e mi lecca un orecchio. Ok. Mi pare giusto. Entriamo in quello che è in realtà un mini appartamento, corredato di ogni tipo di confort. Ogni. Incredibile ma vero. Addirittura una jacuzzi pazzesca. Patrick ha fame ed ordina subito panini e champagne. E fragole. Io nel minibar mi approprio subito della panna spray.

Insomma dobbiamo divertirci. Finiamo subito sotto la doccia, insieme. Ci baciamo. Lui però è stranamente accelerato, ho il sensore che sia strafatto di cocaina all’inverosimile. Anche se davanti a me non ha mai menzionato una cosa del genere. Di li ci spostiamo nella jacuzzi ed iniziamo a giocare con la fragole e la panna. Si nella jacuzzi. E poi ci raggiunge anche il nostro nuovo amico Champagne. E, come dire. Arrideverci a tutti. Iniziamo una straripante seduta di sesso interminabile. In tutti i pertugi. Lui, anzi, il suo enorme cazzo è insaziabile. Io sono in paradiso. E credetemi, il clou è stato farne di ben donde davanti le finestre che danno su Piazza della Repubblica. Uno spettacolo.

Alle tre io sono distrutto ed ubriaco. Anche Patrick, mica fischia. Ci siamo rifatti una doccia. E devo ammettere che Patrick oltre a saperci fare a letto bacia davvero alla grandissima. Ci facciamo una limonata devastante e ci rivestiamo. Lo accompagno a riprendere la macchina e sorridendo mi lascia lì, davanti l’albergo. Purtroppo deve scappare, ha un appuntamento al casello dell’autostrada, Ed io che pensavo di avere una vita piena. Mi dice anche che appena potrà ci rivedremo ancora, ed io ci spero. Rimango come un idiota però, per strada, col freddo di marzo che mi arriva alle ossa e la soddisfazione di aver segnato, finalmente 1000 punti. Me ne torno a casa con la convinzione che nessuno potrà mai credermi.

Einvece, improvvisamente, ricordo di essere Annabelle Bronstein, theoneandonly. Ed ecco. Levatevi!

Zero.

Preparatevi. E’ un post divertentissimo. (Non è vero, ma un preambolo più triste del post non mi è venuto in mente). 

Fin da piccolo ho sempre amato le sirene delle ambulanze. Per quanto significato di emergenza, mi hanno sempre affascinato. Le mie giornate sembrano essere scandite dalle sirene. Inevitabilmente ci sono finito in mezzo perché lavorando nella Sanità l’ambulanza me la sento riecheggiare praticamente dalla mattina alla sera. Questo per allacciarmi a come mi sento ultimamente. Ecco, avrei bisogno di un’ambulanza. Avrei bisogno che mi venissero a prendere e mi somministrassero qualcosa che mi faccia ritrovare la speranza. Qualcosa che mi faccia stare meglio.

Sono sempre stato molto positivo, nonostante la mia pienezza visualizzabile su ogni social, ho sempre trovato il sorriso nei momenti di più difficoltà. Ma adesso no. Non ci riesco. Non riesco a trovare pace. Non riesco a trovare la via per uscire da questo dramma. E i drammi, come di consueto, sono sempre dietro l’angolo. Anzi, io me lo sono trovato in piazza. Era una fredda serata di aprile, e lui mi stava aspettando. Era vestito benissimo, portava una giacca ed una camicia. Ricordo i colori, e ricordo le sue mani. E’ la prima cosa che guardo. Delle mani perfette.

Di li il tempo è volato. Ma lentamente. Prima ero l’amante, poi l’amico, poi di nuovo l’amante. Poi più niente. Di colpo. Poi sono stato il suo acerrimo nemico. Il capriccio di una sera. E di nuovo amici. Quando in realtà io ero su tutto un altro pianeta, e attendevo di risolvermi, e di stringerlo ancora tra le mie braccia, lui mi ha dato il colpo di grazia. “Me ne vado, ad inizio del mese prossimo mi trasferisco“. E li, in quel momento, il mio cuore che sanguinava si è spazzato. In milioni di microscopici pezzi. Ci siamo visti ancora, ci eravamo detti che saremmo andati a cena in un posto da tempo. Ci siamo andati. Eravamo lì, ma io ero assente. Completamente. Lo guardavo e vedevo che lui non c’era già più. Nei suoi occhi c’è ciò che lo aspetta a trecento chilometri da qui. E per me non c’è spazio.

cuore

Per me non c’è un dopo. Non c’è un futuro. Io sono qui, adesso, ed abbiamo scherzato. Abbiamo giocato. Niente è successo. Io mi sento ardere di desiderio. E lui si fa saltare i nervi perché uso appellativi inappropriati, secondo lui, per chiamare il suo fidanzato. Che ovviamente non ha tradito. Non è successo. Non era nel mio letto. Non era con me. No. Adesso ha capito che è stato tutto uno sbaglio. Tutto un errore. Ed io sono solo una che passava di lì. Chiunque sente questa storia mi fa pat pat sulle spalla e mi dice che devo dimenticarlo, che non vale neanche la pena.

Errore. Per me è valsa tutta la pena. Ogni gesto, anche se me lo ha fatto rimpiangere lui, l’ho fatto perché sentito. Quello che non capisco e non mando proprio giù, e il suo sguardo che trasalisce quando gli urlo per la strada che lo amo. In mezzo a San Lorenzo. Perché io me la vivo. Nel bene e nel male. E perché non c’è cosa peggiore che mentire a se stessi. E poi siamo stati tre ore a girare in macchina a cercare la strada per una gelateria. Ma il gelato non lo voleva nessuno. Ammutoliti. Come se fosse stata staccata la spina ad una malato terminale. L’onda è fissa, continua ed il bip è prolungato. Io sono morto, e nessuno se n’è accorto. Non mi do pace.

Lui è felice. Ha imparato la lezione. Adesso vuole impegnarsi per avere un rapporto corretto con il suo fidanzato. Basato sul rispetto. Lontano da me. Lontano da qui. Però va tutto bene. Mi scrive su what’s app, mi chiama , mi racconta le sue giornate. Va tutto benissimo. Io dovrei stare sereno. Dovrei stare tranquillo. Ma non lo sono. Mi sento svenire. E mi trascino da una parte all’altra della città alla ricerca di conforto. Non so dove andarlo a cercare, ma è così. E se guardo indietro, tutto mi parla di lui. E invece lui ha cancellato tutto da me. Ha fatto fuori i suoi social per non lasciare traccia di me.

E li ha riaperti da zero. Così che io, con ii miei like non ci fossi più. Non che fosse importante. E sono anche certo di non essere l’unico. Che ci sia sicuramente un Simone o un Alessandro che mi hanno sostituito. E un tarlo che mi punzecchia il cervello. Non lo posso dire con certezza, ma so che è così. Lui nega, ma non mi spiega. Perché neanche una spiegazione mi è concessa. Ed io guardo tutto dall’esterno, dopo aver finito le lacrime che ho in corpo, e mi sento solo uno zero. Un punto sbiadito della sua esistenza. Che non va da nessuna parte e vede sgretolarsi intorno tutto quello che di certo aveva.

Vorrei una carezza. Un bacio. Un abbraccio. Anche del sesso d’addio, volendo. Un emozione reale. Senza controllo. Ma so già che non ci sarà. E una volta lontano da qui, potrà finalmente ignorarmi. Per sempre. Come se non fossi mai esistito. Come se fossi proprio il niente. Come uno zero. Perché questo è quello che valgo. E il valore me lo ha dato lui. Al limite degli urli mi ha anche detto di dire tutto al suo ragazzo. Così, almeno sarei stato contento. Un altro errore. Sa benissimo che sono talmente sfigato che non lo farei mai, e non sarei mai capace di fargli del male. Non potrei mai.

Lui ride, scherza e prepara le valigie. Io ho la testa vuota e penso solo al giorno in cui definitivamente se ne andrà, e lo perderò per sempre. Ma devo stare tranquillo. Non cambierà niente. Me lo ripete come quando si parla ad una persona psichiatrica che non vuole prendere le medicine. E’ tutto ok, dice. Ma lo sa anche lui che non è così. Io non mi esprimo più di tanto e vivo questi ultimi giorni come un condannato a morte. Ma sono già morto. L’ho già detto, vero? Ripenso incessantemente a quel giorno al parco, quando il suo cane è scappato e lui si è scapicollato per andarlo a riprendere. Dovevo andarmene lì, e mettermi in salvo. Lì avrei potuto ancora salvarmi. Forse.

Patrick Mulder, ed una serata inaspettata – Part 1

Era una notte buia e tempestosa. No. Era un sabato sera pieno di noiah e senza un cazzo da fare, di circa un anno fa. Giacevo nel mio letto mentre anestetizzavo le mie membra con la vuotezza della tv italiana. E a tratti la vuotezza di Grindr. Annoiato e senza valide alternative il programma della serata era quello di rimanere in casa. E’ già pensavo, al lunedì, quando nel tragitto casa-lavoro mi sarei detto quanto sarebbe stato rigenerante uscire nel week-end. Einvece, verso l’una di notte, un trillo mi ha destato dal nulla cosmico.

“Ciao. Siamo in tre. Stiamo organizzando un’orgia in centro. A Barberini. Ti va di raggiungerci. Dovremmo essere anche qualcuno in più”. TROMBOLA. Rispondo interessato. D’altronde era un chiaro e diretto invito a farne di bendonde. No? Dopo aver visto le foto dei partecipanti ho avuto due tipi di reazioni. 1 Un mega durello devastante. 2 Questi sono pazzi (o èdavverounagranbottadiculo). Uno più Bono dell’altro. Alti. Muscolosi. Ben dotati, e maiali al punto giusto. Insomma ci ho messo un nano secondo a confermare la mia partecipazione.

Un’ora dopo, arrivo fresco e profumato a piazza Barberini. Incredibile come sia strano partecipare ad eventi simili in pieno centro. Suono all’appartamento numero 3, e raggiungo il terzo piano. Mi apre una domestica filippina. “Avanti avanti” dice sussurrando. BASITO. Mi accomodo su una poltrona in un disimpegno finemente arredato. Poco dopo arriva una checca, pelata, bassa. Dall’aspetto minaccioso ed acido al punto giusto. “Ciao, puoi dirmi come ti chiami?”. “Marco” dico d’impeto. “Ok. Marco puoi accomodarti. Dillà cè un tavolo con qualcosa da mangiare e da bere.”

Il paradiso. Il mondo dei balocchi. Soldi. Il profumo inequivocabile della ricchezza. Davanti agli occhi. Un’altro domestico, sempre filippino, sistemava tramezzini, cornetti salati e quant’altro, e avvicinandomi mi ha subito chiesto cosa gradivo da bere. “Prosecco. Un calice di prosecco.” dico sicuro. La scelta era tra vino, champagne e anche soft drinks. Nella stanza un letto enorme, circolare, con le lenzuola bianche ed una chez long anch’essa bianca. Inaspettatamente i Super Boni della chattata. Più un quarto. Meno Bono, ma comunque scopabile.

Ci presentiamo e facciamo quattro chiacchiere vaghe. Loro sono già in mutande, io no. Io sono lì che bevo e faccio fuori il buffet. Veniamo interrotti dal pelato di prima. “Allora: prima di tutto vi prego di consegnarmi i vostri telefoni cellulari. Vanno spenti e riposti su questo vassoio sul tavolo. Se ne avete più di uno anche quello lo dovete lasciare. Vi prego a questo punto di non raccontare a nessuno quello che accadrà stasera qui, e soprattutto vi auguro buon divertimento“, dice solenne. Ma che davero? Penso tra me e me.

Gli altri fanno esattamente quello che lui ha comandato. Io faccio lo gnorri. Avevo messo il silenzioso, e non temevo alcun che. E poi perché dovuto dargli mai il mio telefono? “Hey tu con la maglietta di Topolino” dice guardandomi. Si avevo una maglietta a maniche corto di Mickey Mouse. Ma nella versione di Andy Wharol. Che fa sempre più cool. “Tu non lo consegni il tuo telefono..?” mi chiede acidissimo. “Si, anche se non capisco il perchè… Però vabbè, eccolo!” lo spengo e glielo consegno, prima che decida di buttarmi fuori. “E mi raccomando, tra poco niente domande” dice uscendo dalla stanza.

Bene. Finalmente se ne va. I tizi muscolosi iniziano subito a toccarsi e a darci giù di limoni. Io decido di terminare il mio prosecco, e mi avvicino alla finestra. Enorme, che da su piazza Barberini, e un po’ mi emoziono pure davanti alla piazza. Ma lo spettacolo, non era ancora cominciato. Mi giro, mando giù l’ultimo sorso e poggio il bicchiere vuoto sul tavolo. Addento un cornetto salato con salame ed insalata e il mio sguardo cade su una persona, che entra e fa per raggiungerci. E nel giro di tre secondi netti mi sento morire. Dentro.

adam

Davanti ai miei occhi c’è una delle più grandi star internazionali che l’Italia abbia mai avuto. Un cantante famosissimo. Che per ovvi motivo d’ora in poi verrà identificato con il nome di Patrick Murder. Evito le descrizioni. Vi dico solo che è uno dei miei sogni erotici da sempre. Ed ora torniamo a me. Con un cornetto salato in bocca e un’altro bicchieri di prosecco fra le mani. “A Michi Maus, te stai a rifocillà?!?” esordisce sorridendo. IO BASITO. “Ehm… Be ecco, si… Sai per scaldare un po’ la situazione…” rispondo profondamente imbarazzato. Ricordarsi in futuro di non indossare più la t-shirt di Mickey Mouse. In nessuna occasione che non sia in casa. Nessuno capisce che è di Andy Wharol.

Sorrido incredulo per quanto mi è possibile, mentre anche lui prende da bere. “Come ti chiami..?” mi chiede. Mentre sul letto circolare i quattro ne facevano già di ogni, noi eravamo lì che ce la chiacchieravamo. “Annabelle Bronstein… Piacere. Una volta mi sono imbucato a un tuo concerto lo sai?” dico entusiasta. “Come te sei imbucato? E come hai fatto?”. “Be, ecco la mia amica si faceva uno della sicurezza ed ecco… Siamo entrati!” sorrido felice. “Ammazza pure in due ve siete imbucati. Che cotiche!”. Bene. Una perla appresso all’altra proprio.

Decido di cambiare discorso mentre lui mi poggia una mano sul culo. “Devo dedurre che la storia che ho sentito a proposito di te ed un noto attore italiano, quindi, sia tutta vera?”. “Non parlo della mia vita privata, mi spiace!”. E mi fulmina con gli occhi. Mentre con la mano fa cose che non vi racconto. Ho la vaga sensazione che devo essere più vago. Insomma. Sto facendo la pettegola impicciona. Decido di passare all’azione, e lo azzittisco con un limone supersonico. Detto fatto. Di li a poco raggiungiamo gli altri. E be. Vi lascio vagamente immaginare.

Evito i dettagli. Quelli li conoscete tutti. Se che lui è un gran maialone. E non solo. Anche dolcissimo. Si è dedicato un bel po’ a me, per poi, cedere al richiamo dei muscoli. Ma ci sta. D’altronde era stato studiato tutto. Tra l’incredulità della situazione e l’alcool, mi sembrava che quello che stava accadendo davanti i miei occhi era solo frutto della mia immaginazione. Einvece. Non era affatto così. Dopo circa tre ore, la situazione iniziava a scemare, e Patrick, ha invitato me ed uno dei manzi ad andare con lui a fare una doccia. Ho adorato.

Dopo un’altra oretta, con il giorno dietro l’angolo, abbiamo raggiunto gli altri sul letto ma Patrick ci stava salutando. “A regà so stato benissimo. Voi restate ancora fino a quanto volete. Stanno arrivando cornetti per tutti. Divertitevi, e se ricapito ce risentimo. Ok?” chiude, e si allontana verso il corridoio. Ci siamo guardati tutti negli occhi, ancora increduli. Ancora un po’ storditi dalla situazione. I filippini hanno portato cornetti caldi e cappuccini per tutti, e fuori Roma si stava svegliando.

Mi rivesto e raggiungo l’uscita per recuperare il telefono. “Maglietta di Mickey Mouse, mi lasceresti il tuo numero di telefono?” mi chiede la pelata acida di prima. “Certo.”. Lascio il mio numero, recupero il telefono e me ne torno dritto a casa. Con in tasca la speranza di rivederlo, e con una delle serate più fighe che mai avrei creduto di vivere. Che solo a Roma, qualche volta, possono davvero accadere.

Deriva. E ritorno.

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Non ho mai detto a nessuno perché ho aperto questo blog. Nessuno. Neanche alle persone che mi sono più vicine. Tutto era nato per sdrammatizzare ed ironizzare sulle disavventure che spesso mi trovavo a vivere. E per un qualcosa di più personale, che mi ha spinto una mattina ad alzarmi ed iniziare a scrivere. Di quella motivazione, però, negli ultimi tempi me ne sono assolutamente dimenticato. Sarà stato il periodo difficile, la delusione e tutte gli stress che si sono accumulati insieme, ma tutto quello che avevo in testa era per una sola ed unica persona. L’unica che forse davvero a cui di me non frega niente. Ed è un fatto evidente ai più. Ma non a me. O per lo meno fino a quando non lo realizzato.

Ecco adesso aprire un pippone su questo mi sembra assolutamente inutile. Visto che di pipponi ultimamente ne ho fatti solo in via del tutto metaforica. In realtà quello che vorrei aprire è una chiara e semplice riflessione su cosa sono diventato. Primo fra tutti, sono diventato antipatico a me stesso. Una cosa poco gestibile, visto che se inizio ad avere problemi anche con me stesso, non credo di poter avere un futuro di coppia. Anzi. Inizialmente ero solo sfastidiato da me stesso. Poi il fastidio ha lasciato spazio all’odio. Ho odiato profondamente me stesso. Mi sono murato vivo. E inzerbinato all’infinito. Una situazione spinosa e di zero equilibri.

Io purtroppo resisto poco, e non sono affatto capace di distogliere l’attenzione quando qualcuno mi piace davvero. Anche se ci ho provato, e be, ecco, sono stati degli esperimenti fallimentari e per niente gratificanti. E trovavo sempre il modo per ritornare a chi invece doveva prendersi un bel calcio in culo. Ho provato, però: per la prima volta ho ho mandato un DM su twitter. Non lo avevo mai fatto prima perché ho sempre pensato che farlo voleva dire rompere una regola fondamentale che mi ero imposto, ovvero non trasformare il mio account in una succursale di grindr. Ho rotto il patto, con me stesso perché ero stanco di stare a letto a piangere per uno fidanzato. Che mi chiedeva di tornare con un messaggio tutto maiuscolo per di più. Ma vabbè, ho preso il telefono in mano e gli ho scritto. Un tizio carino, visto a una serata, e che sinceramente mi è piaciuto subito. Ma non ero abbastanza ubriaco per provarci. Così, nei giorni successivi, ho intavolato una conversazione su twitter. Che si è conclusa come segue.

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Dopo risposte arrivate dopo ogni otto ore circa, gli ho sbottato. E lui mi ha chiesto pure “In che senso?”. Forse avrei dovuto dirgli che volevo ficcargli la lingua in bocca. Ma non l’ho fatto. E non ho neanche risposto. Mi sono preso la briga di non dare spiegazioni. Avrei voluto scrivergli più semplicemente, che lo trovavo interessante, e che mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Seriamente. Ma no. Ho avuto il terrore di farlo per paura di finire in un manicomio questa volta. E ho lasciato cadere la cosa così.  Ed è in quel momento che mi sono rivisto. Non mi rivedevo da un bel po’. Il tempo ultimamente si era dilatato, le giornate stentavano a passare, ed io le vivevo solo perché non potevo fare diversamente. Senza un briciolo di coscienza. Senza capire il perché e il come di quello che pensavo.

Ed ho pensato qualsiasi cosa, anche la più estrema. Ma non ero ancora ravveduto pienamente. No. Dovevo far passare anche una decina di giorni per capire che in realtà avevo perso totalmente di vista perché ero qui. Perché avevo deciso di scrivere. Era tutto iniziato nel 2008, quando ho creduto di aver incontrato la persona giusta. Invece è stato un breve passaggio, un bagliore, che si era solo avvicinato per sparire subito dopo. Volevo che lui potesse aver la possibilità di capire davvero chi ero, leggendomi. Di avere un quadro veritiero su chi ero io. Perché di me non aveva visto niente. Volevo che sapesse quanto volevo averlo vicino. Ci ha pensato twitter, in qualche modo, a far sì che lui leggesse. Ecco, adesso non mi saluta.

Non mi dispiace neanche granché. Il punto è che a lui non interesso. Lui era li, per giocare. Lo ha fatto ed è sparito. Una volta entrato in qhttp://www.tizianoferrofan.com/homepage/all-music-italia-annuncia-lalbum-di-tiziano-ferro-uscira-il-25-novembre-in-due-versioniuest’ottica, tutto il dolore, tutte le lacrime mi sembrano solo ed e soltanto una gran perdita di tempo. E forse è così. Ma come canta qualcuno, che ha molto più talento di me, “che ora sò, che il tempo non cancella niente“. Tutto resterà nella mia testa, e servirà per farmi riconoscere, finalmente, quello giusto. A tutti gli altri non dico niente, loro non lo sanno che si sono persi. Io, si. Ed è sufficiente. E mi spinge, inevitabilmente, a girare l’angolo e ad attendere quello giusto. Che tanto prima o poi il dramma finisce, si porta via tutto. E adesso si è portato via, te.

O almeno, ci spero vivamente.

Ringrazio Daniele per aver dato luce al nuovo header del blog. Thanks ❤

Smetto quando voglio. Uncensored Version

N.d.AB. – Nota di Annabelle Bronstein 

Per capirci. Il post precedente in realtà è la  versione riveduta e corretta di questo, che evidentemente avevo scritto prima. Avevo deciso di non pubblicarlo perché mi sembrava un po’ troppo crudo. E pesante. Poi oggi, preso dallo scazzo, me lo sono riletto e sinceramente l’ho trovato molto più viscerale del precedente. Molto più me. Per cui ho deciso che andava lo stesso pubblicato. Ed eccolo qui. Tanto peggio di così non penso possa andare. Per cui non pensate che sia una ripetizione delle cose già chiarite nel precedente. Sinceramente messe così, mi appartengono di più, per questo non mi va di non pubblicarlo. Moltobbene.

mina

Se Tiziano non se lo sapeva spiegare, mentre le intenzioni di Mina passavano attraverso un telefono, io, che notoriamente vengo sopraffatto da ciò che provo come pensate che potrei mai risolvere una situazione spinosa? Le parole amore, amante, sesso, amicizia, cena, pompino prima erano utilizzate in maniera impropria ed anche un tantino fuori luogo. Adesso invece c’è il gelo. Una lastra di ghiaccio di almeno 2 metri che limita ogni tipo di contatto. Persino rispondere al telefono sembra sia diventato difficile. E come una specie di maledizione, tutto quello che non volevo accadesse di nuovo, inevitabilmente, è accaduto. Mettete pure sulla bilancia il fatto che lui ha un ragazzo a casa che lo aspetta. Ed io, divento la Maleficient (anche un po’ Deficient volendo) della situazione.

La sfigata, donnamerda, senzaunavita che attende che lui lo degni di un minimo di considerazione. E no. Non ci siamo. Qui forse ho perso un attimo di vista chi sono io e chi è lui. Vedete piuttosto che elemosinare attenzione da uno che dice di volermi bene, e che evita di rivolgermi parola perché se no mi fa del male, e di chiedergli il perché siamo arrivati a questo punto senza sentirmi una sfigata orrenda che ripete la poesia davanti allo specchio prima del pranzo di Natale con i parenti ho deciso io di farla finita. Cosa dovrebbe darmi una persona del genere? Una persona alla quale chiedo di esserci perché passo un momento di merda, (ma merda seria), e il massimo della mia richiesta è esigere da lui una banale telefonata? Ecco, Clark Kent, che era anche un tantinello più impegnato, aveva tempo e modo e maniera di spupazzarsi la sua Lois.

Ma il punto è questo. Io chi sono? Non sono certo Lois per lui. E non sono forse neanche un amico, come dice lui, perché io gli amici non sognerei di trattarli a merda. Io sono stato un passatempo estivo. Una fuga temporanea dalla sua noiosissima storia d’amore che ha il massimo della sua espressione quando torna a casa e giocano insieme alla Play Station. Eh si. E ciò nonostante devo sorbirmi anche un trattato di psicologia su di me, ovvero che io altamente ossessionato da lui, perché ha dimenticato di rispondere ad un messaggio. Peccato che prima di quella risposta mi ha tipo inondato di duemila messaggi come se non avesse davvero null’altro da fare. Ecco, quando poi provo a spiegargli queste cose, quando provo a parlare in maniera pacata senza cercare di urtarlo, e fargli capire che io in qualche modo tengo a lui e che non capisco cosa stracazzo sia cambiato da quando anche lui provava piacere a sentirmi, bè, la risposta è alquanto eloquente. (Segue foto).

foto (1)

Una risposta, non c’è. E così io, a trentuno anni, devo farmi bastare di essere stato per quattro mesi il diversivo di una persona che usa e sfrutta le persone come meglio crede, perché il solo fatto di avere una storia ed una convivenza che fanno acqua da tutte le parti, ed una sua innata predisposizione a ficcare l’uccello nel culo degli altri (e non solo del suo fidanzato ufficiale) lo facciano sentire autorizzato a trattare le persone senza un minimo di rispetto. Minimo intendo alzare il telefono e dire “Hey tu, coglione, sei vivo? Stai bene?”. No. Non è possibile. Sottolineo, non è possibile che io glielo abbia permesso. Eh si. Per l’ennesima volta ho sbagliato su tutta la linea. Mi sono convinto che quella era una persona che meritava la mia stima.

Ecco. Machittisincula. Sono arrivato addirittura a cancellare il mio profilo facebook, perché lui si è sentito autorizzato a dirmi che io lo stalkeravo, e che ero ossessionato da quello che faceva lui. Vedete, ho km di messaggi che attestano che tutto quello che è successo non è frutto della mia fantasia. Ho anche km di prove che se solo il suo ragazzo vedrebbe credo che durerebbe come un gatto in tangenziale. Ma avrebbe senso? No. Per niente. Sono arrivato alla conclusione che sono troppo buono, e questo forse lo avrei dovuto capire da almeno cinque o sei anni. Ma non sono mai arrivato primo. Anzi il paradosso vuole che io sia sempre ultimo. Soprattutto nel capire le cose. Ma poi, quando le capisco, cambio. Ed ora, sono cambiato.

Mi dispiace solo per alcuni dettagli. Lui mi piace davvero. Non a caso uso il presente. Ecco, dopo diverse delusioni, troppe a dire il vero, per la prima volta sono riuscito ad avvicinarmi ad una persona come volevo io. Probabilmente se non ci fosse stato di mezzo il suo +1, le cose sarebbero state totalmente diverse. Per la prima volta avevo l’impressione che lui mi vedesse. Un concetto che mi viene difficile da spiegare. In qualche modo eravamo lì, l’uno per l’altro. Ed è quello che io ho sempre ricercato in un possibile partner. Fino ad un certo punto. Perché poi ha smesso di vedermi. I fiori si sono appassiti ed io ho iniziato a chiedergli perché. Forse crede che se mi risponde poi mi presento sotto casa sua con una squadra di majorette per chiedergli la mano.

EINVECE. Niente di tutto ciò. Resta la mia amarezza. Questo dovevo dire. Ed ora non ne parlerò più. Non ho smosso una sua reazione con cose molto più serie, figuriamoci se adesso alza il telefono e mi chiede se va tutto bene. Non va tutto bene. Dentro di me è un marasma, e tutto è sottosopra nel posto sbagliato. Lui è scomparso. Salvo poi invece trovarmelo sorridente col suo ragazzo, su ogni cazzo di social. Probabilmente è così che bisogna fare per essere felici per davvero. Ripetersi allo sfinimento che va tutto bene, fino a che ci si crede per davvero. Per carità, preferisco essere triste e godermi i miei stati d’animo depressivi-piena-angoscianti. Che almeno sono una persona vera. Con tutte le contraddizioni del caso. Perché si, se non riesco a dirti che ti voglio bene, si io sto male. Ma come una merda.

Detto questo, farò finta di non aver detto niente. Riattiverò la mia pagina facebook tra cinque minuti, e la farò finita di perdere tempo. Mi farò scivolare addosso questa ennesima delusione, e proverò a ritrovare il mood. Perché io, per fortuna, lo so chi sono e quello che voglio. E tu, non hai capito proprio niente di me. Niente. Sayonara.

Smetto quando voglio

Ho sempre pensato che le cose accadono per un motivo. E credo che questa sia una costante della mia vita, e non penso riuscirò mai a togliermi dalla testa che non sia così. Quando ho iniziato a firmarmi come Annabelle Bronstein, mai avrei creduto di poter conoscere e incontrare così tante persone. Ma mio malgrado, seppur Annabelle è una parte ironica e spregiudicata di questa faccenda, Fabrizio, c’è. E Fabrizio, che poi sarei io, e si ironico e spregiudicato, ma anche pignolo, rompiballe e perennemente con la testa tra le nuvole a sognare ad occhi aperti.

Quando poi i sogni diventano castelli, eretti da pochissime certezze, basta poco che tutto vacilli e ci si ritrova con poco e niente tra le mani. E tanto dolore. Sono mesi (quattro all’incirca) che mi sento con questo ragazzo, che è fidanzato e convive. E se all’inizio tutto sembrava procedere per il meglio è bastato pretendere un tantino di più che appunto il castello è crollato. Adesso, non voglio di certo nascondermi dietro un dito, l’ho già detto più e più volte che io sono un rompiballe. Ma so anche essere razionale. E coerente.

E se neanche una settimana fa eravamo a cena fuori a chiarirci, per quanto ce ne fosse bisogno, il punto lo avevamo raggiunto. Di nuovo. Viviamocela scialla. Senza menate, senza problemi. E così avevo riequilibrato ancora me stesso. Tutto sembrava andare per il verso giusto, poi neanche qualche giorno dopo, di nuovo la sua assenza del tutto immotivata, ed io che faccio la pazza per telefono. Che volevo sentirmi delle scuse, perchè mi aveva fatto fare il giro di tutta Roma per prenderci un caffè e non mi aveva aspettato. Se n’era andato.

Niente. Nulla. Neanche una banale e coerente giustificazione. Lui non vuole ciò che io voglio. Lui voglio un amico, un diversivo per sfuggire alla sfiancante routine che lo distrugge col suo fidanzato, io voglio portarmelo a letto. Un alibi il mio utile a nascondere ben altri desideri. Desideri che non posso neanche sussurrare a me stesso, perché lo so che non è il caso di mettersi su un binario morto. Perché lo so che tanto lui non ci sarà mai come io voglio. Non ha cinque minuti per chiedermi come sto. Figuriamoci per qualcosa di più dignitoso.

Ma esiste un limite? Direi di si. Il giorno dopo lo abbiamo passato a discutere, al telefono, a più riprese perché eravamo a lavoro. Ma il punto? Nessuno. Non una risposta coerente, non una giustificazione, neanche “Scusami”. Niente.  Doveva tornare a casa, non aveva tempo da dedicarmi. Niente che mi ha dato sollievo e mi ha fatto tranquillizzare. Alle nove di sera con duecento chilometri sulle spalle me ne sono andato diretto in pronto soccorso con la pressione alle stelle e dolori sparsi sul tutto il torace.

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Perché poi io faccio questo, crollo e crollo alla grande. Alla fine tutto bene. Niente di che. Il Dottore si è subito affrettato a dirmi che sono stressato, che fumo troppo e che non devo arrabbiarmi perché mi fa male. Ma io sapevo perché stavo in quel modo. Volevo chiamarlo, condividere tutta l’ansia, ovviamente sono una donnamerda, ma il limite dignitoso l’ho riconosco pure io. E non l’ho fatto. Ho avuto anche la fantastica idea di convidere su facebook la mia posizione, dal pronto soccorso, proprio per vedere se aveva un minimo di interesse ad alzare il telefono per chiedere “Come stai?”. Non lo ha fatto. Lo ha fatto chiunque, persone che non ti aspetti, ma lui no. Zero.

E credo non lo farà più. La sua vita scorre normale, il suo instagram continua a raccontare le sue giornate spensierate mentre io mi dispero e mi lacero alla ricerca di un senso a tutta questa storia. Ed un senso non c’è. Io sono diventato prima l’amico, (che poi amico de che, io i miei amici non li ho mai trattati a merda così senza un motivo), poi lo stalker psicopatico con qualche problema perché gli ho chiesto semplicemente una spiegazione. Infine la totale assenza.

Ecco. Torno alla domanda iniziale. Tutto questo è accaduto per un motivo. Sicuramente. Penso che non ci sia altro da dire o aggiungere, perché una dignità ce l’ho pure io, e me la merito e merito rispetto. Quel rispetto che lui non da me lo riprendo da solo. Sarei tentato dal vendicarmi, in maniera super bastarda. Ma so già che non lo farò.  Perché poi sono un buono. O un fallito. Dipende dai punti di vista. So solo che ciò nonostante, vorrei ancora sentirlo. Sono molto deciso si. E invece niente. Continuo a lavorare a dire che va tutto bene, a far finta di niente. Ma dentro muoio.  Non va bene niente. Ma forse è il caso di far fruttare questa ennesima lezione.  Perché c’ho pure una certa età, e le cose le devo far cambiare. IO, soprattutto.

Il Silenzio

Come dire. Il periodo è stato difficile. Molto. Sapete come si fa a dimenticare qualcuno? Ditemelo. Perché in media ci metto qualcosa come cinque o sei anni. E invece adesso non posso proprio permettermelo. No. Diciamo che sono sempre più convinto di quanto io sia la persona sbagliata nel posto sbagliato. Questo potrebbe essere il nuovo mantra che potrei ripetere all’infinito, perché il dramma è sempre dietro l’angolo non rende più come una volta.

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Avere uno spiccato senso dell’umorismo non aiuta ugualmente. Tempo fa forse, quando ancora credevo di contare qualcosa, avrei riso della mia stupidità a fidarmi di chiunque. Del mio volermi ficcare a tutti i costi in situazioni già predestinate a non avere alcun futuro. In fondo sognare ad occhi aperti è sempre stata una mia peculiare caratteristica. Però non proprio tutto me lo sono sognato. Ma questo non si deve dire. Di questo non si puo’ parlare. Bisogna far finta che sia solo colpa mia. Che sia solo io lo stupido.

Comodo. Comodissimo. Sono sincero, aver messo dei punti con una persona, ultimamente, non solo mi è costato fatica, ma in pratica mi ha messo letteralmente in mezzo ad una strada. Mi ha introdotto in un circolo vizioso in cui sono diventato vittima e carnefice di me stesso, ma da parte di me stesso prima di tutto. Non so se mi spiego. Sono talmente amareggiato che non riesco a non prendermela se non con me stesso. Ed è davvero una brutta cosa.

Non ho nessuno da incolpare per le mie paturnie, anche perché volendo in tutta risposta mi è stato elargito un muro di cinta alto qualcosa come cinque metri. E secondo voi è giusto? No. Non lo è. Per nessuno. Non lo è perché parlare, in qualche modo, almeno per me serve a chiarire. Serve a sollevare noi stessi, e a risolvere quello che si può, anche se è una magra consolazione. Parlare mi servirebbe per non ripetere più gli errori, che da oramai forse da tutta la vita continuamente ripeto. Parlare, è un dettaglio che aiuterebbe a far passare l’astio che in tre mesi e mezzo si è creato. Per tutti e due.

Si alzerebbe la bandiera bianca e tutto potrebbe riprendere il corso delle cose. Almeno le mie. Riuscirei ad orientarmi, e a riprendere lentamente a capire il da farsi, perché lo smarrimento è tangibile. Reale. Ecco, solo questo. Le armi sono chiuse nei cassetti, sono stanco di urlare e piangere. Non aiuta. Non aiuta niente in un momento del genere. Neanche il silenzio. E in fondo io sono sempre quello che calcola le cose buone. Di cose buone ne sono uscite fuori, naturalmente, ma solo ed esclusivamente per gli altri. Perché a me non ci penso neanche più io.

Perché sono fesso. E adesso lo sapete anche voi. Perché io la mia vita la immaginavo diversa. E invece è arrivato l’inverno. E invece dovrebbe essere estate.

L’Architetto premuroso

Venerdì 27/06

Lui mi guarda e sorride sotto i baffi. Io inizio a pensare che cosa mai scatena la sua ironia a tal punto. Non lo capisco. Sarebbe ora di cena, ma stiamo facendo un aperitivo. Ha portato un bottiglia di prosecco, ed io ho preparato degli stuzzichini. Gallette di riso con Philadelphia e rucola. Continua a guardarmi e a ridere. Ma che cazzo si ride? Lo ignoro e sorseggio lentamente il mio prosecco. Era da tanto che non lo bevevo. Decido di essere sincero e gli chiedo come mai si sta scompisciando. “No scusa, è che hai tutta la rucola in mezzo hai denti… Mi faceva ridere!”. OTTIMO. Avere lo specchio in camera da pranzo evidentemente non è sufficiente.

Certo quando apro la bocca lo spettacolo è indecente. Sembro una cariatide di 175 anni, ed ho tutti i denti sporchi di rucola. Merda. Questa è una cosa tipica alla Bridget Jones più che alla Samanta Jones. Poco male. Sorrido e fingo sicurezza nonostante ho le guance fucsia. Con la scusa di lavare le mani, mi apparto in bagno, e mi lavo anche i denti. Sono talmente genio, che dopo 5 minuti che ero li a lustrarli, giustamente, l’Architetto richiama la mia attenzione: “Non starai mica lavandoti i denti? Su che sei buffo!”. Merda, stra merda. Sputo il dentifricio e fingo un tono sicuro “Ma no, è che sto controllando delle pellicine!”.

Ecco penso che non dicevo pellicine dagli anni 90, forse. Vabbè mi risciacquo la bocca e nel frattempo suonano alla porta. E’ il ragazzo delle consegne. Puntualissimo. Lascia due supplì, una capricciosa per me, ed una rucola e bresaola per lui. Patatine per entrambi. L’Architetto non mi da neanche il tempo di aprire il portafogli che paga lui. Tutto. Che carino. Spera che io dopo glielo dia. #Einvece. In realtà adesso rido io, apro il cartone e gli metto la pizza sotto il naso. “Adesso voglio vedere come ti combini!!! Se sapevo non me li lavavo i denti AUHAAHAUHUAHHUAH!” dico sghignazzando.

La cena scorre velocemente, tra chiacchiere e risatine varie. L’Architetto ed io siamo usciti tre volte fino ad ora. Questo è il primo appuntamento ad ora di cena, ci siamo visti solo per caffè in  orari in cui il sole era sempre troppo in alto per intentare qualche approccio. Ad ogni modo, tutto va per il verso giusto. Finita la pizza preparo il caffè con la cremina, e gli servo anche un amaro (niente male) al cioccolato. Ottimo. Ci spostiamo però in camera mia e ci accomodiamo sul divano con le luci soffuse. Tutto urla scopami ASAP, anche se io sono ancora indeciso se farci roba o meno.

Si. Lo so che non ci credete manco per il cazzo, ma per la prima volta è proprio questo che mi balena nella testa. Mi sento totalmente inadeguato, e anche sessualmente ho l’ansia di non riuscire a dare il massimo. Decido comunque di non pensarci troppo, e di far condurre la situazione anche a lui. D’altronde potrebbe anche essere che a lui non vada. Ad ogni modo ci pensa il discorso lavoro a distrarci ulteriormente. A me rode il culo perché non mi hanno pagato tutto lo stipendio. Lui, è un po’ demoralizzato perché lavora in uno studio noioso e non si sente soddisfatto in niente.

Per di più conveniamo entrambi che il periodo storico non è dei migliori per licenziarsi e provare a cercare altro. Non c’è assolutamente niente in giro. Coscienti delle nostre situazioni precarie il discorso si spegne poco a poco. “Scusa, devo darti una cosa: (va verso il corridoio e prende una busta, che io non avevo notato fino a quel momento). L’altra volta ho visto che cercavi questo su Amazon e te l’ho preso. Spero che tu non lo abbia già ordinato…” Apro il pacchetto e trovo il peluche di uno dei Mignon di Cattivissimo Me.  Ecco, in quel preciso istante ho avuto un momento di panico. In realtà non lo avevo ordinato per me. Lo stavo ordinando per #ilRagazzoColSuv. Con il quale non mi pare le cose vadano molto bene. Ma questo lui non lo saprà mai.

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E sono quasi, per un pelo, riuscito a scordarmene. Invece, il destino, che a quanto pare lavora molto più di quello che pensiamo, me lo aveva rimesso lì. Tra le scatole. Ovviamente ho dribblato, e ringraziato, come si conviene. E dopo altre chiacchiere, non siamo andati alla fase sesso, così come tutti avrebbero creduto. Non so bene neanche perché a essere sincero. So solo che quel regalino, così random quanto inutile mi aveva un attimo devastato. Con la scusa che il giorno dopo sarei andato a lavoro, poco prima della mezzanotte l’Architetto se n’è andato. Accontentandosi di un lungo bacio sull’uscio di casa.

Ecco, un limone così non me lo ricordavo da tempo. Almeno. E comunque, il dramma è sempre dietro l’angolo. Sempre. Non finirò mai di dirvelo. Ho dormito poco e male venerdì notte, al pensiero di quanto lui sia stato carino, e di quanto quell’altro sia un mostro in confronto. Ma i confronti non aiutano mai, e rimuginarci troppo sopra anche. Per questo, alle 4 passate mi sono addormentato. Peccato che la sveglia ha suonato alle 7. Peccato.