Deriva. E ritorno.

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Non ho mai detto a nessuno perché ho aperto questo blog. Nessuno. Neanche alle persone che mi sono più vicine. Tutto era nato per sdrammatizzare ed ironizzare sulle disavventure che spesso mi trovavo a vivere. E per un qualcosa di più personale, che mi ha spinto una mattina ad alzarmi ed iniziare a scrivere. Di quella motivazione, però, negli ultimi tempi me ne sono assolutamente dimenticato. Sarà stato il periodo difficile, la delusione e tutte gli stress che si sono accumulati insieme, ma tutto quello che avevo in testa era per una sola ed unica persona. L’unica che forse davvero a cui di me non frega niente. Ed è un fatto evidente ai più. Ma non a me. O per lo meno fino a quando non lo realizzato.

Ecco adesso aprire un pippone su questo mi sembra assolutamente inutile. Visto che di pipponi ultimamente ne ho fatti solo in via del tutto metaforica. In realtà quello che vorrei aprire è una chiara e semplice riflessione su cosa sono diventato. Primo fra tutti, sono diventato antipatico a me stesso. Una cosa poco gestibile, visto che se inizio ad avere problemi anche con me stesso, non credo di poter avere un futuro di coppia. Anzi. Inizialmente ero solo sfastidiato da me stesso. Poi il fastidio ha lasciato spazio all’odio. Ho odiato profondamente me stesso. Mi sono murato vivo. E inzerbinato all’infinito. Una situazione spinosa e di zero equilibri.

Io purtroppo resisto poco, e non sono affatto capace di distogliere l’attenzione quando qualcuno mi piace davvero. Anche se ci ho provato, e be, ecco, sono stati degli esperimenti fallimentari e per niente gratificanti. E trovavo sempre il modo per ritornare a chi invece doveva prendersi un bel calcio in culo. Ho provato, però: per la prima volta ho ho mandato un DM su twitter. Non lo avevo mai fatto prima perché ho sempre pensato che farlo voleva dire rompere una regola fondamentale che mi ero imposto, ovvero non trasformare il mio account in una succursale di grindr. Ho rotto il patto, con me stesso perché ero stanco di stare a letto a piangere per uno fidanzato. Che mi chiedeva di tornare con un messaggio tutto maiuscolo per di più. Ma vabbè, ho preso il telefono in mano e gli ho scritto. Un tizio carino, visto a una serata, e che sinceramente mi è piaciuto subito. Ma non ero abbastanza ubriaco per provarci. Così, nei giorni successivi, ho intavolato una conversazione su twitter. Che si è conclusa come segue.

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Dopo risposte arrivate dopo ogni otto ore circa, gli ho sbottato. E lui mi ha chiesto pure “In che senso?”. Forse avrei dovuto dirgli che volevo ficcargli la lingua in bocca. Ma non l’ho fatto. E non ho neanche risposto. Mi sono preso la briga di non dare spiegazioni. Avrei voluto scrivergli più semplicemente, che lo trovavo interessante, e che mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Seriamente. Ma no. Ho avuto il terrore di farlo per paura di finire in un manicomio questa volta. E ho lasciato cadere la cosa così.  Ed è in quel momento che mi sono rivisto. Non mi rivedevo da un bel po’. Il tempo ultimamente si era dilatato, le giornate stentavano a passare, ed io le vivevo solo perché non potevo fare diversamente. Senza un briciolo di coscienza. Senza capire il perché e il come di quello che pensavo.

Ed ho pensato qualsiasi cosa, anche la più estrema. Ma non ero ancora ravveduto pienamente. No. Dovevo far passare anche una decina di giorni per capire che in realtà avevo perso totalmente di vista perché ero qui. Perché avevo deciso di scrivere. Era tutto iniziato nel 2008, quando ho creduto di aver incontrato la persona giusta. Invece è stato un breve passaggio, un bagliore, che si era solo avvicinato per sparire subito dopo. Volevo che lui potesse aver la possibilità di capire davvero chi ero, leggendomi. Di avere un quadro veritiero su chi ero io. Perché di me non aveva visto niente. Volevo che sapesse quanto volevo averlo vicino. Ci ha pensato twitter, in qualche modo, a far sì che lui leggesse. Ecco, adesso non mi saluta.

Non mi dispiace neanche granché. Il punto è che a lui non interesso. Lui era li, per giocare. Lo ha fatto ed è sparito. Una volta entrato in qhttp://www.tizianoferrofan.com/homepage/all-music-italia-annuncia-lalbum-di-tiziano-ferro-uscira-il-25-novembre-in-due-versioniuest’ottica, tutto il dolore, tutte le lacrime mi sembrano solo ed e soltanto una gran perdita di tempo. E forse è così. Ma come canta qualcuno, che ha molto più talento di me, “che ora sò, che il tempo non cancella niente“. Tutto resterà nella mia testa, e servirà per farmi riconoscere, finalmente, quello giusto. A tutti gli altri non dico niente, loro non lo sanno che si sono persi. Io, si. Ed è sufficiente. E mi spinge, inevitabilmente, a girare l’angolo e ad attendere quello giusto. Che tanto prima o poi il dramma finisce, si porta via tutto. E adesso si è portato via, te.

O almeno, ci spero vivamente.

Ringrazio Daniele per aver dato luce al nuovo header del blog. Thanks ❤

Smetto quando voglio. Uncensored Version

N.d.AB. – Nota di Annabelle Bronstein 

Per capirci. Il post precedente in realtà è la  versione riveduta e corretta di questo, che evidentemente avevo scritto prima. Avevo deciso di non pubblicarlo perché mi sembrava un po’ troppo crudo. E pesante. Poi oggi, preso dallo scazzo, me lo sono riletto e sinceramente l’ho trovato molto più viscerale del precedente. Molto più me. Per cui ho deciso che andava lo stesso pubblicato. Ed eccolo qui. Tanto peggio di così non penso possa andare. Per cui non pensate che sia una ripetizione delle cose già chiarite nel precedente. Sinceramente messe così, mi appartengono di più, per questo non mi va di non pubblicarlo. Moltobbene.

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Se Tiziano non se lo sapeva spiegare, mentre le intenzioni di Mina passavano attraverso un telefono, io, che notoriamente vengo sopraffatto da ciò che provo come pensate che potrei mai risolvere una situazione spinosa? Le parole amore, amante, sesso, amicizia, cena, pompino prima erano utilizzate in maniera impropria ed anche un tantino fuori luogo. Adesso invece c’è il gelo. Una lastra di ghiaccio di almeno 2 metri che limita ogni tipo di contatto. Persino rispondere al telefono sembra sia diventato difficile. E come una specie di maledizione, tutto quello che non volevo accadesse di nuovo, inevitabilmente, è accaduto. Mettete pure sulla bilancia il fatto che lui ha un ragazzo a casa che lo aspetta. Ed io, divento la Maleficient (anche un po’ Deficient volendo) della situazione.

La sfigata, donnamerda, senzaunavita che attende che lui lo degni di un minimo di considerazione. E no. Non ci siamo. Qui forse ho perso un attimo di vista chi sono io e chi è lui. Vedete piuttosto che elemosinare attenzione da uno che dice di volermi bene, e che evita di rivolgermi parola perché se no mi fa del male, e di chiedergli il perché siamo arrivati a questo punto senza sentirmi una sfigata orrenda che ripete la poesia davanti allo specchio prima del pranzo di Natale con i parenti ho deciso io di farla finita. Cosa dovrebbe darmi una persona del genere? Una persona alla quale chiedo di esserci perché passo un momento di merda, (ma merda seria), e il massimo della mia richiesta è esigere da lui una banale telefonata? Ecco, Clark Kent, che era anche un tantinello più impegnato, aveva tempo e modo e maniera di spupazzarsi la sua Lois.

Ma il punto è questo. Io chi sono? Non sono certo Lois per lui. E non sono forse neanche un amico, come dice lui, perché io gli amici non sognerei di trattarli a merda. Io sono stato un passatempo estivo. Una fuga temporanea dalla sua noiosissima storia d’amore che ha il massimo della sua espressione quando torna a casa e giocano insieme alla Play Station. Eh si. E ciò nonostante devo sorbirmi anche un trattato di psicologia su di me, ovvero che io altamente ossessionato da lui, perché ha dimenticato di rispondere ad un messaggio. Peccato che prima di quella risposta mi ha tipo inondato di duemila messaggi come se non avesse davvero null’altro da fare. Ecco, quando poi provo a spiegargli queste cose, quando provo a parlare in maniera pacata senza cercare di urtarlo, e fargli capire che io in qualche modo tengo a lui e che non capisco cosa stracazzo sia cambiato da quando anche lui provava piacere a sentirmi, bè, la risposta è alquanto eloquente. (Segue foto).

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Una risposta, non c’è. E così io, a trentuno anni, devo farmi bastare di essere stato per quattro mesi il diversivo di una persona che usa e sfrutta le persone come meglio crede, perché il solo fatto di avere una storia ed una convivenza che fanno acqua da tutte le parti, ed una sua innata predisposizione a ficcare l’uccello nel culo degli altri (e non solo del suo fidanzato ufficiale) lo facciano sentire autorizzato a trattare le persone senza un minimo di rispetto. Minimo intendo alzare il telefono e dire “Hey tu, coglione, sei vivo? Stai bene?”. No. Non è possibile. Sottolineo, non è possibile che io glielo abbia permesso. Eh si. Per l’ennesima volta ho sbagliato su tutta la linea. Mi sono convinto che quella era una persona che meritava la mia stima.

Ecco. Machittisincula. Sono arrivato addirittura a cancellare il mio profilo facebook, perché lui si è sentito autorizzato a dirmi che io lo stalkeravo, e che ero ossessionato da quello che faceva lui. Vedete, ho km di messaggi che attestano che tutto quello che è successo non è frutto della mia fantasia. Ho anche km di prove che se solo il suo ragazzo vedrebbe credo che durerebbe come un gatto in tangenziale. Ma avrebbe senso? No. Per niente. Sono arrivato alla conclusione che sono troppo buono, e questo forse lo avrei dovuto capire da almeno cinque o sei anni. Ma non sono mai arrivato primo. Anzi il paradosso vuole che io sia sempre ultimo. Soprattutto nel capire le cose. Ma poi, quando le capisco, cambio. Ed ora, sono cambiato.

Mi dispiace solo per alcuni dettagli. Lui mi piace davvero. Non a caso uso il presente. Ecco, dopo diverse delusioni, troppe a dire il vero, per la prima volta sono riuscito ad avvicinarmi ad una persona come volevo io. Probabilmente se non ci fosse stato di mezzo il suo +1, le cose sarebbero state totalmente diverse. Per la prima volta avevo l’impressione che lui mi vedesse. Un concetto che mi viene difficile da spiegare. In qualche modo eravamo lì, l’uno per l’altro. Ed è quello che io ho sempre ricercato in un possibile partner. Fino ad un certo punto. Perché poi ha smesso di vedermi. I fiori si sono appassiti ed io ho iniziato a chiedergli perché. Forse crede che se mi risponde poi mi presento sotto casa sua con una squadra di majorette per chiedergli la mano.

EINVECE. Niente di tutto ciò. Resta la mia amarezza. Questo dovevo dire. Ed ora non ne parlerò più. Non ho smosso una sua reazione con cose molto più serie, figuriamoci se adesso alza il telefono e mi chiede se va tutto bene. Non va tutto bene. Dentro di me è un marasma, e tutto è sottosopra nel posto sbagliato. Lui è scomparso. Salvo poi invece trovarmelo sorridente col suo ragazzo, su ogni cazzo di social. Probabilmente è così che bisogna fare per essere felici per davvero. Ripetersi allo sfinimento che va tutto bene, fino a che ci si crede per davvero. Per carità, preferisco essere triste e godermi i miei stati d’animo depressivi-piena-angoscianti. Che almeno sono una persona vera. Con tutte le contraddizioni del caso. Perché si, se non riesco a dirti che ti voglio bene, si io sto male. Ma come una merda.

Detto questo, farò finta di non aver detto niente. Riattiverò la mia pagina facebook tra cinque minuti, e la farò finita di perdere tempo. Mi farò scivolare addosso questa ennesima delusione, e proverò a ritrovare il mood. Perché io, per fortuna, lo so chi sono e quello che voglio. E tu, non hai capito proprio niente di me. Niente. Sayonara.

Smetto quando voglio

Ho sempre pensato che le cose accadono per un motivo. E credo che questa sia una costante della mia vita, e non penso riuscirò mai a togliermi dalla testa che non sia così. Quando ho iniziato a firmarmi come Annabelle Bronstein, mai avrei creduto di poter conoscere e incontrare così tante persone. Ma mio malgrado, seppur Annabelle è una parte ironica e spregiudicata di questa faccenda, Fabrizio, c’è. E Fabrizio, che poi sarei io, e si ironico e spregiudicato, ma anche pignolo, rompiballe e perennemente con la testa tra le nuvole a sognare ad occhi aperti.

Quando poi i sogni diventano castelli, eretti da pochissime certezze, basta poco che tutto vacilli e ci si ritrova con poco e niente tra le mani. E tanto dolore. Sono mesi (quattro all’incirca) che mi sento con questo ragazzo, che è fidanzato e convive. E se all’inizio tutto sembrava procedere per il meglio è bastato pretendere un tantino di più che appunto il castello è crollato. Adesso, non voglio di certo nascondermi dietro un dito, l’ho già detto più e più volte che io sono un rompiballe. Ma so anche essere razionale. E coerente.

E se neanche una settimana fa eravamo a cena fuori a chiarirci, per quanto ce ne fosse bisogno, il punto lo avevamo raggiunto. Di nuovo. Viviamocela scialla. Senza menate, senza problemi. E così avevo riequilibrato ancora me stesso. Tutto sembrava andare per il verso giusto, poi neanche qualche giorno dopo, di nuovo la sua assenza del tutto immotivata, ed io che faccio la pazza per telefono. Che volevo sentirmi delle scuse, perchè mi aveva fatto fare il giro di tutta Roma per prenderci un caffè e non mi aveva aspettato. Se n’era andato.

Niente. Nulla. Neanche una banale e coerente giustificazione. Lui non vuole ciò che io voglio. Lui voglio un amico, un diversivo per sfuggire alla sfiancante routine che lo distrugge col suo fidanzato, io voglio portarmelo a letto. Un alibi il mio utile a nascondere ben altri desideri. Desideri che non posso neanche sussurrare a me stesso, perché lo so che non è il caso di mettersi su un binario morto. Perché lo so che tanto lui non ci sarà mai come io voglio. Non ha cinque minuti per chiedermi come sto. Figuriamoci per qualcosa di più dignitoso.

Ma esiste un limite? Direi di si. Il giorno dopo lo abbiamo passato a discutere, al telefono, a più riprese perché eravamo a lavoro. Ma il punto? Nessuno. Non una risposta coerente, non una giustificazione, neanche “Scusami”. Niente.  Doveva tornare a casa, non aveva tempo da dedicarmi. Niente che mi ha dato sollievo e mi ha fatto tranquillizzare. Alle nove di sera con duecento chilometri sulle spalle me ne sono andato diretto in pronto soccorso con la pressione alle stelle e dolori sparsi sul tutto il torace.

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Perché poi io faccio questo, crollo e crollo alla grande. Alla fine tutto bene. Niente di che. Il Dottore si è subito affrettato a dirmi che sono stressato, che fumo troppo e che non devo arrabbiarmi perché mi fa male. Ma io sapevo perché stavo in quel modo. Volevo chiamarlo, condividere tutta l’ansia, ovviamente sono una donnamerda, ma il limite dignitoso l’ho riconosco pure io. E non l’ho fatto. Ho avuto anche la fantastica idea di convidere su facebook la mia posizione, dal pronto soccorso, proprio per vedere se aveva un minimo di interesse ad alzare il telefono per chiedere “Come stai?”. Non lo ha fatto. Lo ha fatto chiunque, persone che non ti aspetti, ma lui no. Zero.

E credo non lo farà più. La sua vita scorre normale, il suo instagram continua a raccontare le sue giornate spensierate mentre io mi dispero e mi lacero alla ricerca di un senso a tutta questa storia. Ed un senso non c’è. Io sono diventato prima l’amico, (che poi amico de che, io i miei amici non li ho mai trattati a merda così senza un motivo), poi lo stalker psicopatico con qualche problema perché gli ho chiesto semplicemente una spiegazione. Infine la totale assenza.

Ecco. Torno alla domanda iniziale. Tutto questo è accaduto per un motivo. Sicuramente. Penso che non ci sia altro da dire o aggiungere, perché una dignità ce l’ho pure io, e me la merito e merito rispetto. Quel rispetto che lui non da me lo riprendo da solo. Sarei tentato dal vendicarmi, in maniera super bastarda. Ma so già che non lo farò.  Perché poi sono un buono. O un fallito. Dipende dai punti di vista. So solo che ciò nonostante, vorrei ancora sentirlo. Sono molto deciso si. E invece niente. Continuo a lavorare a dire che va tutto bene, a far finta di niente. Ma dentro muoio.  Non va bene niente. Ma forse è il caso di far fruttare questa ennesima lezione.  Perché c’ho pure una certa età, e le cose le devo far cambiare. IO, soprattutto.

Il Silenzio

Come dire. Il periodo è stato difficile. Molto. Sapete come si fa a dimenticare qualcuno? Ditemelo. Perché in media ci metto qualcosa come cinque o sei anni. E invece adesso non posso proprio permettermelo. No. Diciamo che sono sempre più convinto di quanto io sia la persona sbagliata nel posto sbagliato. Questo potrebbe essere il nuovo mantra che potrei ripetere all’infinito, perché il dramma è sempre dietro l’angolo non rende più come una volta.

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Avere uno spiccato senso dell’umorismo non aiuta ugualmente. Tempo fa forse, quando ancora credevo di contare qualcosa, avrei riso della mia stupidità a fidarmi di chiunque. Del mio volermi ficcare a tutti i costi in situazioni già predestinate a non avere alcun futuro. In fondo sognare ad occhi aperti è sempre stata una mia peculiare caratteristica. Però non proprio tutto me lo sono sognato. Ma questo non si deve dire. Di questo non si puo’ parlare. Bisogna far finta che sia solo colpa mia. Che sia solo io lo stupido.

Comodo. Comodissimo. Sono sincero, aver messo dei punti con una persona, ultimamente, non solo mi è costato fatica, ma in pratica mi ha messo letteralmente in mezzo ad una strada. Mi ha introdotto in un circolo vizioso in cui sono diventato vittima e carnefice di me stesso, ma da parte di me stesso prima di tutto. Non so se mi spiego. Sono talmente amareggiato che non riesco a non prendermela se non con me stesso. Ed è davvero una brutta cosa.

Non ho nessuno da incolpare per le mie paturnie, anche perché volendo in tutta risposta mi è stato elargito un muro di cinta alto qualcosa come cinque metri. E secondo voi è giusto? No. Non lo è. Per nessuno. Non lo è perché parlare, in qualche modo, almeno per me serve a chiarire. Serve a sollevare noi stessi, e a risolvere quello che si può, anche se è una magra consolazione. Parlare mi servirebbe per non ripetere più gli errori, che da oramai forse da tutta la vita continuamente ripeto. Parlare, è un dettaglio che aiuterebbe a far passare l’astio che in tre mesi e mezzo si è creato. Per tutti e due.

Si alzerebbe la bandiera bianca e tutto potrebbe riprendere il corso delle cose. Almeno le mie. Riuscirei ad orientarmi, e a riprendere lentamente a capire il da farsi, perché lo smarrimento è tangibile. Reale. Ecco, solo questo. Le armi sono chiuse nei cassetti, sono stanco di urlare e piangere. Non aiuta. Non aiuta niente in un momento del genere. Neanche il silenzio. E in fondo io sono sempre quello che calcola le cose buone. Di cose buone ne sono uscite fuori, naturalmente, ma solo ed esclusivamente per gli altri. Perché a me non ci penso neanche più io.

Perché sono fesso. E adesso lo sapete anche voi. Perché io la mia vita la immaginavo diversa. E invece è arrivato l’inverno. E invece dovrebbe essere estate.

La mela avvelenata

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E’ martedì. Che però sa di lunedì. mi sono svegliato all’alba come sempre, anche se ho fatto dei brutti sogni che non  mi hanno affatto reso la notte tranquilla, anzi. Dicono che i sogni in realtà durano non più di un minuto. A me è sembrato che sia durato almeno un paio d’ore. E l’angoscia mi ha devastato, neanche a dirlo. Neanche fosse poi una novità.  Sono andato a lavoro sfatto. Con una faccia che neanche la mia supercremaperleocchiaie ha avuto successo.

Il mood è proprio questo. Mi sento una cacca ambulante, e mi trascino da una parte all’altra della città senza capire esattamente la mia utilità. Ho deciso che devo farmela prendere bene. In ogni caso ho una giornata pesante da dover gestire. E gestire sta diventando il mio cruccio ultimamente. Soprattutto quando devi iniziare a gestire le cose che uno prova. E che in realtà non dovresti provare, ma che cavolo, poi ti ci ritrovi in mezzo e non sai che fare.

Per fortuna vivo ancora una fase abbastanza primitiva di questa situazione indicibile di cui parlo strettamente e necessariamente per trovare sollievo. Il sollievo, comunque, non esiste. Giusto per chiarirvelo. Così mentre io mi arrovello su come gestire ciò che mi frulla nel cervello, perchè amo scomporre le mie azioni all’infinitesimale, ed ancor prima di provare qualcosa, ho la necessità di focalizzare la sua esatta posizione. A che serve? Serve a non star male. Perchè io non posso permettermelo di stare male. Non più almeno.

Perchè se sto male, di colpo ed inevitabilmente, inizio a fare la matta. Allora calmo, e sangue freddo, e lasciamo diluire i pensieri da soli. Via. Lontani chissà dove, ma soprattutto lontani da me. Oggi è il primo giorno in cui non mi fa male la testa. Decido di partire da quello. Ma mentre io gioisco per il mio scampato mal di testa che da giorni mi infastidiva, dall’altro lato della città sono stato sonoramente ignorato. Da tipo 24 h. E sapete come funziona. Fino al giorno prima mi dici pure quante volte vai al cesso, oggi neanche un buongiorno.

Io non sono capace di guardare le situazioni spegnersi e non far nulla. Se proprio si deve spegnere qualcosa ne voglio essere il solo ed unico responsabile. Per questo ci vado giù di messaggio:. “Che fine hai fatto? Buondì… Auguri“. Ancora niente. Mi chiedo se abbia inserito il silenzioso senza accorgermene, e in realtà ci siano dei messaggi non letti. Nulla di tutto ciò. Lui non risponde. Lo farà più tardi. Vagamente. Ma non sono soddisfatto. Improvvisamente lo sento lontano anni luce. Sento che non è più qui.

Allora inizio a torturarmi, come faccio sempre in questi casi, a chiedermi il perchè di questa e quell’altra cosa. A rileggere al microscopio le conversazioni. Sono alla ricerca disperata di indizi, che confermino questa o quella teoria. Non ne trovo. Niente mi soddisfa. Niente mi da tranquillità. Non c’è una sola cosa che mi faccia stare sereno e tranquillo. Quando finalmente risponde, non sono comunque contento. Anzi.

Ha un’insana vaghezza, che non mi convince. La mia sensazione è quella di affogare. E di non poter più respirare, ma non riesco a fare niente per tornare a galla. Mi vedo da fuori che non respiro. E mi sento solamente impotente. Un bip bip mi fa tornare in me. E’ la Du Barry. Prendiamo accordi per la serata, e decidiamo i dettagli. Ma con la testa penso ad altro. Penso di aver morso una mela avvelenata.  E penso di averla mandata giù in un sol boccone. E non mi porterà a niente di buono.

O per lo meno, spero di sbagliarmi vivamente.