L’appuntamento perfetto… Finchè

– Toc toc
– Chi è?
-E’ l’inenarrabile voglia di cazzo. Che dobbiamo fare? Sono cinque mesi che non fai sesso!!!
-Lo so! Che dovrei fare?
-Esci. Vedi gente. Scopa

Potrebbe bastare questo a riassumere tutto. Si perché quando ti calpestano il cuore è difficile riprendere determinate routine. Avvicinarsi, toccare, baciare qualcun’altro. Gesti semplici che nella mia testa non avevano più una vera e propria realizzazione. Mi chiedevo ripetutamente, “ma come si fa?”. Come mio nipote, che ha scoperto da poco le mani, e ancora non ha visto i piedi, arriva a toccarsi fino al ginocchio, io dovevo riscoprire quei movimenti.

Non avevo affatto voglia. Il solo pensiero mi faceva rabbrividire. Così, dopo quasi tre mesi passati chiuso in casa sul letto a piangere e ad abbuffarmi della qualunque, ho deciso di dare una possibilità all’unico che mi sembrava valido. Il collega. Che per inciso vuol dire stessa età, stesso lavoro, stessa ironia ma di Roma. Una sorta di garanzia, visto che fino a quel momento ero inciampato sempre nelle persone più sbagliate sulla piazza. Dettaglio strettamente necessario: single!

Mi sono dovuto forzare e non poco a decidere, per questo, un sabato sera senza niente di meglio da fare ci siamo dati appuntamento all’Altare della Patria verso le 21:30. Un appuntamento senza doppi fini. In realtà alle 17 ho iniziato a realizzare il fatto che dovevo andarci per davvero. Ed ecco, non mi andava. Mi sono dovuto forzare, mettendo tutto sul piano “se non ci vai sei una sfigata orrenda”. Alle 19 ero già pronto. Con l’ansia che mi si mangiava.

Sono uscito. A piedi. Da Montesacro in centro. Nel tragitto ho pensato ad una marea di dettagli devastanti: stavo facendo il primo passo per uscire da quella maledetta storia? Stavo facendo qualcosa per me? Oppure stavo facendo qualcosa che gli altri si aspettassero facessi? Non  lo capivo. Me lo ripetevo in testa, ma non sapevo gestire le risposte. Sono arrivato alle 21. Ed ho passeggiato ancora un po’. Stavo per ripensarci, poi  IlCollega mi scrive: “Sto cercando parcheggio. Ottima scelta il centro, vero?”.

Ecco. Non potevo scappare più. Stava arrivando. Prima che potessi realizzare il da farsi me lo trovo davanti. Eccolo. Di fronte a me. Carino, molto carino. Belle mani. Unghie corte. Curate, e pulite. Bel culo. Porta un golfino di lana, nonostante l’umidità di fine marzo. Io sorrido. E mi lascio guidare. Il primo impatto è positivo. Iniziamo a passeggiare e a parlare. Di lavoro, di storie passate, di quello che si vorrebbe e di quello che non si ha.

Lui è molto misurato. Non si espone. Ma vedo che mi osserva. E’ simpatico però, mi mette a mio agio. Rimaniamo in una sorta di confort-zone, senza andare oltre, utile ad entrambi forse. Si ride, si gioca, ma tutto sul vago e sull’innocuo. Ci fermiamo in un wine bar a bere qualcosa. Io parlo dei gay, di Roma, di quanto mi sia stufato di correre dietro alle persone. Lui mi chiede di non dire gay ad alta voce.

I suoi non lo sanno. Di lui sa solo un suo caro amico. Ecco, c’era qualcosa che non andava. “Per piacere non usare certe parole. La gente ci guarda”. Bene. Voglio comprendere, in fondo non siamo tutti uguali. Beviamo, ridiamo. Parliamo di sesso. E’ lui a chiedermi che gusti ho. Cosa mi piace. Io rispondo in maniera molto dettagliata. In fondo siamo qui per giocare. Gioco. Lui ride. Mi dice i suoi gusti e quello che lo eccita. “Usciamo di qui. Devo fumare!” e mi schiaccia il piede per accelerare il tutto.

Mentre gli accendo la sigaretta guarda le mie mani. “Finalmente una persona con le mani a posto. Unghia corte. Pulite. Belle mani, mi piacciono”. Sorrido. Si vede che siamo infermieri. Ho pensato la stessa cosa, e mi piace pensare che sia un dettaglio positivo. Continuiamo a passeggiare, siamo più rilassati entrambi. L’alcool aiuta, sempre. Ci buttiamo sui Fori Imperiali, e finiamo davanti la Chiesa dei Santi Luca e Martina.

E’ bastato poco e ci siamo avvicinati. IlCollega sa il fatto suo, e bacia anche da Dio. Mi stringe. Mi tocca. Cerca i miei occhi. Io mi sento finalmente i polmoni pieni d’aria. Stiamo lì una mezz’ora buona, ci fermiamo solo quando arriva gente. Ci guardiamo intensamente, e lui, sorride. Sembra felice. “Sei bellissimo” mi dice a bassa voce. Esattamente quello di cui avevo bisogno. “Qual’è la casa più vicina, la mia o la tua?” mi chiede.

La mia. La mia è sempre la casa più vicina. Andiamo a prendere la sua macchina e ci andiamo. Quello che ne segue sono un paio d’ore di assoluto piacere. Lui mi dice delle cose che mi hanno sconvolto. Io non mi sbilancio. Se ho imparato qualcosa dal passato è meglio lasciare qualcosa all’immaginazione. Stiamo benissimo, non bene. Facciamo qualsiasi cosa e la facciamo guardandoci sempre dritto negli occhi. Mi risento i piedi a terra. Risento il battito del mio cuore. Sono felice.

Nelle due settimane successive…

Il mantra è stato NON PENSARCI, NON ESAGERARE, STAI SERENO. Mi sono mantenuto per tutta la settimana. Non ho esagerato con i messaggi. Non ho esagerato nell’esprimermi troppo. La Burina, la mia coinquilina, ha continuato a ripetermi di stare tranquillo e di farmi cercare. Lui mi ha cercato, ma qualcosa non mi tornava. Dovevamo vederci il martedì, ma non poteva. Facciamo venerdì, ha una cena. Aggiorniamoci. Vediamoci lunedì. Devo stare con i miei. Vediamoci mercoledì. Non posso, impegni con il lavoro. Domenica? Fuori per il weekend.

Ho aspettato il lunedì successivo per parlare. “Mi dici che problema c’è. Io sono stato benissimo. Ma ho l’impressione che non mi vuoi vedere. Che succede?” gli scrivo. “Scusami, hai ragione. Ma da venerdì mi vedo con un altro. Una cosa che non avevo previsto. E’ sbucato fuori dal nulla, non lo sentivo da mesi. Non ho premeditato niente, è solo successo e basta” mi scrive. Neanche mi telefona.

quote

Ecco. Mi spiegate quello che vuol dire? Niente, vero? Sono stato anche io questa volta? Non lo so. So solo, che non vale neanche la pena rammaricarcisi troppo. In fondo basta avere una buona giustificazione. Ed io dovrei ricominciare da zero? Come se tutto quello che è successo fino ad oggi non mi avesse minimamente cambiato. Come se tutte le cose che ho dovuto sopportare e digerire non mi avessero minimamente toccato.

Ovviamente non mi sono innamorato. Ma avrei potuto. Ma allora che ci sei venuto a fare? Che me le hai dette a fare. C’ero solo io che lo posso testimoniare. E Roma. Ma forse anche Roma direbbe che non è stato niente, e si farebbe una risata.

Si. Per non piange. PIENA. Ancora. Ah, dimenticavo. Ildrammaèsempredietrol’angolo. Sempre.

Otto anni.

Il tempo ha un valore inestimabile. Soprattutto quando sei assolutamente cosciente del suo scorrere. Lo senti che passa, ti scivola dalle mani e non torna più. Questi giorni per me sono sempre di riflessione, perché era il primo maggio quando mi sono trasferito a Roma. Il primo maggio di ben otto anni fa. E’ inevitabile, allora non riflettere su tutto questo tempo passato.

In principio Roma era sinonimo di felicità. Nel vero senso del termine. Solo cose belle, come si direbbe oggi tramite ashtag. Ci venivo spesso, per andare a ballare “la musica pop” o per frequentare i luoghi gay che, vivendo in Abruzzo potevo solo immaginare. Era tutto nuovo, irriverente e soprattutto mi avvicinavo a quel mondo con curiosità. Mi sorridevano gli occhi.

Ogni volta che tornavo a casa da Roma mi madre me lo diceva appena rimettevo piede in casa. “Ti sorridono gli occhi. Devi divertirti davvero quando vai a Roma”. Si, mi divertivo. Tanto. Naturalmente le cose cambiano quando poi ti ci trasferisci in un posto. Interviene la routine. Intervengono le delusioni. Interviene quel senso di apatia che davvero non ti aspetti da una città come Roma. Dove per me tutto ha un significato.

Ho sempre associato ogni persona ad un luogo. La mia prima casa in Via Ostiense, Piazza di Pietra, il Pantheon. Simboli, ricordi. Il mio lavoro. Il master. Ogni cosa che ho fatto me la sono goduta, vissuta con entusiasmo. Tutto. Ho raggiunto quasi tutti i miei obiettivi. Altri ancora ne devo raggiungere, ovviamente. Ma poi sono arrivato ad un punto che mi sono spento. Blackout.

Non mi sono rasato i capelli. Non ho avuto un breakdown esagerato. Non ancora. Ho solo capito e realizzato quello che volevo e come doveva essere. Applicare questa mia consapevolezza però alla realtà non è mai stato semplice. E se ha trent’anni si raggiunge una maturità, ti aspetti anche una sorta di concretezza da chi ti circonda, oltre che da te stesso. Ecco, questo non c’è stato. Non c’è stato nell’amore, così come nell’amicizia.

O almeno non come avrei voluto. Così, il primo maggio di otto anni dopo, mentre passeggiavo solo perché tutti avevano ben altro di meglio da fare, mi sono reso conto di quanto sia difficile dover ammettere di aver in qualche modo fallito. Di aver più ricordi tristi che ricordi felici. Di aver dato forse troppo a chi non lo ha mai meritato e dato troppo poco invece a chi meritava di più.

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Addirittura volevo cancellare tutto il blog ieri sera, preso da un raptus di nervi. Si perché chi legge, e sono sempre pochi ma buoni, si fanno un’idea alle volte troppo scontata di me. E questo ha iniziato ad infastidirmi. Ho pensato pure che il problema sia tutto mio, che sia chiaro. Forse sto diventando quello che ho sempre odiato. Un acido omosessuale sopra i trenta, che odia tutto e tutti in generale.

Poi però mi sono dovuto rendere conto anche di tutte le cose positive che ho. Perché se è scontato lamentarsi, non è altrettanto scontato apprezzare ciò che si ha. Ho tirato la mia solita riga, e quello che dico sempre, ovvero di essere la persona sbagliata al momento sbagliato, è si vero, ma è stato anche un bene per certi versi. Adesso so esattamente, in maniera molto chiara quello che mi serve per stare bene. L’ho visualizzato.

E l’ho capito nel momento in cui mi sono trovato a pensare all’anno scorso. Un anno difficile. Un anno triste. Un anno in cui ci ho rimesso tutto, senza avere niente in cambio. In cui ho capito quanto sia facile farsi del male, e di quanto invece sia difficile stare bene. Per questo il blog è ancora qui. Per questo oggi scrivo di come sia cambiato qualcosa, ancora una volta.

Lo devo a mia madre, che ieri per telefono ha tentato di nuovo di farmi fare coming out. Che mi ha sentito triste, e mi ha rassicurato ancora una volta. “Pensa a te. Fai quello che vuoi. Per me e tuo padre va bene tutto“. Ed è forse questo il momento di ritrovare la tranquillità di cui ho bisogno per essere me stesso al cento per cento. Non è facile, ne sono già pienamente cosciente. Ma adesso, voglio provarci. Davvero.

E poi levatevi, che ne ho ancora di ben donde da fare.

La foto dell’header è di Sam Cristoforetti.

Roma allo specchio.

Dopo quanto tempo è possibile ricominciare? Poco più di un mese, anche se forse potrebbero essere almeno cinque mesi. Lui era stato chiaro. Per te sono morto. E infatti lo è. Ha esattamente mantenuto la promessa. La beffa nell’ingiustizia. Privarmi di ogni contatto e farlo nella maniera più drastica possibile. Nel frattempo la mia vita si è fermata. Sono rimasto inerme guardarmela scivolare addosso, senza capire più niente. Senza più respirare a pieni polmoni.

Una soluzione eccessiva, per quanto la situazione lo richiedesse. Anche se col senno di poi mi sono reso conto che forse tutti i soggetti coinvolti sono solo marionette nelle sue mani sapienti. Voleva ottenere delle cose. E le ha ottenute. Da me. Dal suo fidanzato. Capricci mascherati da bisogni che hanno trovato soddisfazione. E poi mi vengono a dire che questo è amore. Mi chiedo pure io che cosa ho in mente. Quando pensi di aver visto il peggio di una persona, ma il peggio vero, quello che ti fa male, che cos’altro di lui possa piacere ancora? Non lo so.

Non so proprio più che pensare. Forse hanno ragione gli altri, hanno sempre avuto ragione. Dal primo giorno. Da quel novembre del 2012, freddo e umido allo stesso tempo. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ne sono successe di cose, e me le rivedo nella mia testa, tutte, e fanno male ogni volta. Più di prima. Aveva ragione Giulia, avevano ragione Guy, la Du Barry, Valerio e Giacomo. I miei coinquiliners. Rosaria e Marcella. La Fabry. Avevano ragione tutti loro a dire che avrei pagato da solo. E a caro prezzo. E’ così poco importa tutto il resto.

Dovrei far finta che niente sia accaduto, me lo ripeto ogni giorno. Cerco di dare un ordine per trovare un po’ di sollievo. Ma non c’è via di uscita. Cerco di pensare a me, ma quando lo faccio e mi fido di qualcun altro mi arriva un’altra batosta. E allora non posso fare altro che far finta che sia tutto frutto della mia immaginazione. Che poi è quello che è passato. E’ rimasto che io sono un matto, ossessionato senza un minimo di equilibrio. Ecco, questo è il risultato.

Conto più di un difetto… Lo dico come se fosse un alibi. Come se potesse aiutarmi nel dover giustificare come mai mi ritrovo sempre così. A dover soffrire per qualcuno che non se lo merita. Tra i miei difetti ho una sorta di memoria indelebile per quanto riguarda date ed orari. Che, come oggi, diventano un problema. Perché ti ricordi di quelle cose belle che ti hanno fatto bene, e che non puoi più stringere tra le mani. Mai più.

Sono diventato il carnefice e la vittima allo stesso tempo di tutta questa situazione. Ma brancolare nel buio non aiuta nessuno. Figuriamoci se può aiutare me che ho bisogno di gesti e di parole per esser sereno. Succede solo che metti il punto e vai a capo. A malincuore. Chiudi quella cosa lì che non è stato niente, perché niente è rimasto. E lui si è preso tutto. Si è preso la mia fiducia in me stesso e negli altri. Si è preso i miei sorrisi. Si è preso la speranza. Quella speranza che un anno fa sentivo viva. E invece mi ha preso in giro pure lei.

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Così, Roma allo specchio si ama. Mentre io allo specchio sparisco. Sempre di più. Aveva ragione Einstein che diceva che la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario, ma ha ragione anche mia nonna quando dice che a ca’ nisciun’ è fess, e pure la nonna di Tiziano Ferro ha ragione quando dice che chi cerca trova, ma chi cerca troppo a forza di cercare cade giù. E diamine se non sono caduto in basso. Sto ancora cercando una motivazione che mi faccia ritrovare la serenità. Anche se una risposta c’è sempre. E sta proprio tra quei sedici mi piace.

Perché in fondo le persone non cambiano mai. Nonostante andiamo a scomodare anche quelli più grandi e più saggi di noi,  quelli che cambiano poi, e se ne vantano come se avessero scoperto l’acqua calda, lo fanno solo per paura di rimanere da soli. Perché rimanere da soli fa più paura che portare le corna in fondo. Ecco, proprio come me. Che ho molta paura di rimanere da solo, perché conosco bene la solitudine e quanto sia difficile doverci fare i conti, ogni giorno. E chi può biasimare chi. D’altronde io dell’amore che ne so?

Ora, però davvero, basta. Per me. Per lui. Per tutti quanti.

N.B. Qui il link per scaricare direttamente “Ciao per sempre“. Merita. Grazie Levante ❤

A voce alta.

FullSizeRenderQuesta mattina ho ritwittato il tweet che vedete in foto. Ecco questa mattina questo tweet mi ha aperto una serie di file in testa che credevo di aver chiuso. Non è un periodo facile. Oramai è un anno quasi che do di matto. Ne sono pienamente cosciente. E sono cosciente anche del fatto che al mio fianco ho delle persone fantastiche che sopportano questi miei momenti. Però quando tutto non va come dovrebbe io devo sempre torturarmi per trovare una soluzione.

Una volta, quando per un fatto totalmente anagrafico ero portato a credere che bisognava fare qualsiasi cosa per dimostrare e per sistemare le cose, probabilmente avrei gestito in maniera totalmente diversa tutta questa situazione. Oggi no. Oggi mi sento inutile. Forse essere un po’ più grande vuol dire anche dover metabolizzare in maniera diversa le situazioni, e a volte non fare proprio niente.

Questa mattina cercavo di sforzarmi di capire fino a che punto io possa stare male per qualcuno. Quel qualcuno per il quale io avrei fatto davvero ogni cosa. Poi mi sono trovato a pensare che forse, quel qualcuno non merita proprio niente. Quel qualcuno ha volutamente scelto di non far parte più di questa barca, e come uno Schettino qualsiasi l’ha abbandonata proprio mentre la barca andava giù.

Ecco quella barca sono io. Mi sono lasciato sopraffare da quello che provavo io senza dare il minimo peso ai gesti e alle parole sue. Adesso, oltre al danno la beffa, ovviamente, sono anche preso per il culo. Come se io non avessi già pagato abbastanza. Perché chi è fidanzato ha l’idea in testa che chi è single in qualche modo non soffre, oppure zompa da un letto all’altro senza la minima cura. La storia è tutta diversa, naturalmente.

Ma esiste il pudore? Esiste il momento in cui si decide che forse può bastare? Che forse non è più giusto fare del male e basta?  Ecco, io quel limite lo conosco, e proprio quando l’ho superato ne ho pagato le conseguenze. Gli altri, per quanta ragione possano avere non si pongono questo problema.  Non si interrogano sulla possibilità che esiste chi magari soffre e cerca solo il modo da riuscire da questa situazione.

No. Allora mi viene in mente che sono un debole. Uno sfigato. Uno che non sa giocare più come una volta. Uno che non ha detto niente di tutte le cose importanti che sa, che farebbero finire tante cose. No, io sto zitto, proprio per quel pudore di cui sopra, che a me non viene concesso. No. Perché avere un blog,  dove si scrive tutto ciò che si pensa viene scambiato come voler fare la vittima davanti agli occhi di chi invece ha fatto solo e sempre il carnefice. Oppure la superstar.

Non mi esprimerò proprio più in merito. Come se poi, esprimermi, in questo contesto chissà a cosa porti. Ci sono quattro gatti che leggono questo blog e come potete ben vedere nessuno lo commenta. Forse domani mi sveglierò di umore positivo e soffrirò di meno. Forse no, e magari non mi alzerò più dal letto per una settimana. In entrambi i casi quello che è certo è che le cose non cambiano.

Le cose non vanno per il meglio. Bisogna solo sorridere, farsi fare una foto e far finta che vada tutto bene. Perché se sei triste tanto lo sai solo tu. E se lo dai a vedere c’è chi se ne approfitta. Se fai qualcosa di male lo sai solo tu. Se hai la voce rotta dall’angoscia ti salvi dicendo che sei raffreddato e via di seguito. Ma dentro lo so solo io. E forse mi sono illuso che poteva interessare anche a qualcun’altro. Che questa volta poteva essere diverso.

“Io sto bene. Tutto tranquillo. Nessuna novità”.

Un post mai pubblicato.

24 aprile 2014

“E’ venuto a prendermi una decina di minuti prima delle 21. La serata ha tutta l’aria di un primo appuntamento. Io sono eccitato. Per la prima volta nella mia vita sono felice. Mi sorride il volto. Gli occhi. Una cosa, che prima di oggi, è successa solo il giorno della mia laurea. Pensa te. Lui è tutto. E’ simpatico, fa battute, sorride. Parliamo di ogni cosa. La cena va veloce, tra chiacchiere e vino. Io sono contentissimo.

Di tanto in tanto mentre mangiamo mi accordo che mi guarda. Io ho davvero l’impressione che nel mio stomaco ci siano le farfalle. Sembra il blog di una quindicenne. Ma non sono mai stato così lucido nel descrivere ciò che provo. Mi sento strano. Per la prima volta ho l’impressione che finalmente qualcuno sia qui per me. Quello che ho sempre cercato, finalmente è qui. Davanti a me. E inaspettatamente mi stringe anche la mano.

Tra l’altro, le sue mani sono bellissime. Grandi, con le dita lunghe. Ma è tutto rapportato. Tra l’altro si è tagliato anche le unghie, perché qualche giorno fa gli ho detto che le aveva troppo lunghe per i miei gusti. D’un tratto mi viene da pensare che forse sono messo già male. Che alla fine ci sentiamo da due settimane, tutti i giorni, ed io sono già messo così. Poi però un vago pensiero mi si insinua nella testa. Lui non è roba tua. Lui è fidanzato. Non ti devi innamorare.

Usciamo dopo un oretta e mezza dal locale. Saliamo in macchina e mi bacia. Appassionatamente. Io ho già gli svarioni, e mentre gli dico la strada per tornare a casa mia mi tiene la mano. Le mie sinapsi, impazziscono subito. Arrivati nella via di casa lui va dritto senza indugiare, ma non ho neanche il tempo di chiedergli se vuole scendere. No. Parcheggia direttamente nel vialetto.

Io inizio a sentirmi in colpa. Questo pensiero mi ha colto per diverse volte durante la serata. Per qualche secondo. E poi è sparito. Ma si, un po’ mi sono vergognato. Insomma quello che mi sono ripromesso di non fare mai, e che ho già subito in passato adesso lo stavo facendo a qualcun’altro. Che non conoscevo e che sicuramente non se lo merita. Ma ero in balia della situazione. E di quella persona, che col suo calore mi stava riscaldando il cuore. Come mai nessuno in passato.

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Salgo in casa e prendo due birre, le sue preferite. Ci sediamo e accendo la tv. Decidiamo di guardare un film. Metto Sex And The City 2. Manco fosse un caso. Ci accocoliamo sul letto e ci stringiamo. Guardiamo 5 minuti di film, ma i nostri corpi non reggono. Siamo talmente vicini che non ha alcun senso continuare a guardare il film. Lui è talmente eccitato che provo un leggero imbarazzo. Lo sento e non mi va affatto di resistere. Non lo faccio. E non lo fa neanche lui.

Facciamo l’amore. Nel momento in cui lo stavamo facendo ho capito che era diverso dal solito sesso. Ogni suo gesto, ogni suo sguardo o movimento era fatto con cura. Ed è stato tutto perfetto. Non c’è stata una nota stonata in niente. Due corpi che si sono incastrati perfettamente. Senza ostacoli. Un’armonia quasi incredibile. E quando è finito tutto io avrei ricominciato ancora. All’infinito. Ma il tempo è tiranno, è arcinoto.

E lui, purtroppo, doveva tornarsene a casa. Abbiamo avuto il tempo di una doccia, con le stesse attenzioni di cui sopra. Qualche altro bacio e poi di corsa verso casa. Ho atteso il suo messaggio per sapere che era tornato dal suo fidanzato. E mi sono addormentato, per la prima volta, senza ansie nè angosce. Ero solo felice. Una felicità che ha preso ogni cm del mio cuore. Nel momento in cui ho realizzato tutta questa mia felicità, però, lo spettro del suo fidanzato, che uno spettro non è, anzi, mi ha fatto ricordare di non dover correre troppo.

Per oggi basta così. Un passo alla volta, senza pretese. Notte blog.”

 L’avresti mai detto che sarebbe finita così? Io no.

La fine di Spiderman.

Storicamente tutto quello che accade ad una persona nel corso della sua vita serve a creare, in qualche modo, il carattere, a formarsi e perché no a scappare davanti quelle situazioni in cui si mette in pericolo il cuore. Figuriamoci poi, se si tratta di me. Uno che nelle situazioni difficili ci si butta a capofitto. Senza mai pensare alle conseguenze. Senza mai pensare se quello che si sta facendo abbia senso o meno. Ritrovandosi poi male. Anzi come dici il mio amico Piergiorgio “Male male“. Perché rafforzare rende meglio l’idea. Così, dopo aver chiarito a tutti di essere uno zero, adesso penso di aver raggiunto un nuovo stato. Il niente.

Si perché se una settimana fa eravamo stretti a baciarci e a farne di ogni, oggi, invece è difficile comunicare. Oggi mi per me è rimasto un piccolo spazio che si consuma con qualche messaggio privo di ogni senso. Certo sono sicuramente io che pretendo da chi forse non c’è niente da pretendere, ci sono, ma è davvero difficile fare una telefonata? E’ davvero impossibile ritagliare uno spazio che sia solo mio. Per me? Evidentemente si. Evidentemente quelle quattro inutili cazzate scritte per messaggio, per lui hanno più senso scritte che dette. Per quanto sempre cazzate siano. Quando in realtà neanche mi interessano. E forse neanche a lui interessano dirle. Ma non so per quale vago motivo invece me le dice.

In realtà io sono in un punto di non ritorno totale. Non ho più interesse nel prossimo. Nessuno. Non mi va neanche più di parlare. Ed intorno a me mi guardano tutti come se fossi impazzito di colpo. Come se non fosse successo niente. Come se lui, andatosene via a 400 km da qui con il suo ragazzo abbia fatto la cosa più giusta del mondo. Forse è così. È il suo ragazzo è anche un altro aspetto importante. So cose di lui che a ripeterle mi vergogno. Ed io sono notoriamente uno che non si vergogna di niente. E mi sono state raccontate da un fidanzato stanco di tutto. Di certo non me le sono inventate.

Delle cose che non mi sognerei mai di ripetere. Dei dettagli di cui lui stesso mi ha messo a conoscenza, ovviamente. Dettagli che oggi sembrano avere un valore solo per me. Dettagli che in chiunque precluderebbero un futuro. In lui no. In lui addirittura sono stati utili a motivare un trasferimento. Perché lui di Roma si è rotto. Lui che di Roma non conosce niente. A lui è bastato solo parlarci con la sua dolce metà per sistemare tutto. Pensa quanto era semplice. Invece che finire sotto le lenzuola del mio letto bastava semplicemente parlare. A me ovviamente questa possibilità è stata negata. Per me non c’è stata alternativa. Io devo pensare ad altro. Io devo fare qualcosa. Come se non facessi niente dalla mattina alla sera.

Neanche l’ultima sera è stata come io la volevo. No. Perché lui aveva già deciso che avremmo fatto chiacchiere e ci saremmo divertiti, che nel suo idioma vuol dire vengo, ma non mi ti avvicino neanche se mi implori. E quindi arriviamo a venerdì sera. Quando se n’è andato via, dopo che mi ha dato l’ultimo contentino, un caffè dopo cena. Dopo una giornata pesantissima. Dopo una giornata che io non posso neanche immaginare. Io che mi alzo all’alba ogni giorno, che devo far filare tutto liscio finché non striscio il cartellino. Che devo riuscire a gestire tutto e far finta che vada tutto bene. Perché il mio tentennare seppur minimo crea tensioni, fraintendimenti e cose che neanche capisco più. E devo tenermi un messaggino di merda, che non sa di niente. Che non ha alcun valore.

Una fotina di lui che sorride che serve a sdrammatizzare quando io gli dico che per me è come se fosse morto, perché non posso sentirlo. Non posso telefonargli perché non mi risponde. Anzi risponde con un altro messaggio. “Non posso parlare, ci sentiamo dopo”. Il dopo non esiste naturalmente. Il mio dopo non c’è mai. E forse mi viene da dire solo che lo stupido sono io. Che non c’è altro da aggiungere a questa storia che non è storia, che è stata un po’ sesso, un po’ odio, e poi un po’ di niente. Che dovrebbe lasciarci amici. Amici che non si possono sentire per un motivo che non esiste tra gli amici veri. Io che, se avesse bisogno, sarei capace a stare da lui in un paio d’ore. Ma sarebbe comunque tutto inutile.

spiderman

Perché mi sono messo il giubbetto con la bomba e gli ho consegnato il telecomando con il detonatore. È così devo accettare anche la presa in giro. Lo sguardo di commiserazione di chi mi sta intorno perché non capisce quello che provo, e l’ironia di chi mi sente piangere e non se lo spiega. Mentre lui, ha accesso anche ai miei pensieri, perché li legge qui, su una zona franca. Che non consola più nessuno. Specialmente me. Sono rimasto come Carrie, quando va in chiesa pazzesca per sposarsi e Big non arriva. Big poi l’ha capita. Tutti lo hanno capito. Tranne io. Ma almeno Carrie gli ha sfracassato i fiori in faccia. Io non ho potuto.

E adesso ciò che resta di me è solo delusione e stanchezza. Lo scrivo oggi, perché pure oggi ha un significato, oggi sarebbero stati sette mesi dalla prima volta che siamo usciti. Perché per me queste sono le cose da ricordare: le date, gli abbracci e gli scazzi. Tutto. Sette mesi che ho vissuto intensamente, di cui non mi pento di niente e che soprattutto rifarei solo in maniera meno concitata è più rilassata. Ma le cose le capisci solo dopo. Solo quando tutto è finito. Per cui la pianto qui, con questo post. Ci metto un punto e vado a capo. Perché in fondo piangere non ha poi molto senso. Anche se non riesco a smettere. “D’altronde abbiamo giocato” mi sembra che dica. E devo vivere con la certezza che lui ci sarà e c’è. Ed è proprio questo che mi da fastidio, perché non è assolutamente vero. Resterà solo un altro di quei ragazzi carini che è passato e di cui non ricorderò il nome né il compleanno. O almeno tento di convincermene.

Io non riesco ad abituarmi a quest’idea. Per lui non è affatto un problema. Lui preferisce condividere uno status su facebook piuttosto che con me. Mi auguro non si stanchi mai della sua nuova vita, perché mi pare più che l’abbia fatto perché non sapeva che altro fare. E così finisce un altro ciclo. E anche se io non avrei mai voluto mi ritrovo ancora qui, senza altro di dire e con un mood nerissimo. Quel mood che tanto ci ho messo a ritrovare è svanito in un secondo. E forse mi viene da pensare che lo avevo ritrovato perché lui era entrato nella mia vita. E seppur in tutto ciò Spiderman non c’entra niente, fidatevi che ci sta tutto. Perchè Spiderman è uno che non si arrende mai, E’ uno che pure mezzo morente va avanti per il suo obiettivo. Fa l’eroe. E lui, era il mio eroe. Era venuto e mi aveva restituito il sorriso che avevo perso, per poi portarselo via di nuovo.

Sono certo che il finale è un po’ incomprensibile, ma credetemi, un senso ce l’ha. Molto più di me. E questo forse è l’ultimo regalo che gli ho fatto. E adesso non scriverò più di lui, perché posso essere scemo, ma non sono cretino. Non più per lo meno. E pure Spiderman non c’è l’ha fatta, davanti alla pochezza degli esseri umani.

Zero.

Preparatevi. E’ un post divertentissimo. (Non è vero, ma un preambolo più triste del post non mi è venuto in mente). 

Fin da piccolo ho sempre amato le sirene delle ambulanze. Per quanto significato di emergenza, mi hanno sempre affascinato. Le mie giornate sembrano essere scandite dalle sirene. Inevitabilmente ci sono finito in mezzo perché lavorando nella Sanità l’ambulanza me la sento riecheggiare praticamente dalla mattina alla sera. Questo per allacciarmi a come mi sento ultimamente. Ecco, avrei bisogno di un’ambulanza. Avrei bisogno che mi venissero a prendere e mi somministrassero qualcosa che mi faccia ritrovare la speranza. Qualcosa che mi faccia stare meglio.

Sono sempre stato molto positivo, nonostante la mia pienezza visualizzabile su ogni social, ho sempre trovato il sorriso nei momenti di più difficoltà. Ma adesso no. Non ci riesco. Non riesco a trovare pace. Non riesco a trovare la via per uscire da questo dramma. E i drammi, come di consueto, sono sempre dietro l’angolo. Anzi, io me lo sono trovato in piazza. Era una fredda serata di aprile, e lui mi stava aspettando. Era vestito benissimo, portava una giacca ed una camicia. Ricordo i colori, e ricordo le sue mani. E’ la prima cosa che guardo. Delle mani perfette.

Di li il tempo è volato. Ma lentamente. Prima ero l’amante, poi l’amico, poi di nuovo l’amante. Poi più niente. Di colpo. Poi sono stato il suo acerrimo nemico. Il capriccio di una sera. E di nuovo amici. Quando in realtà io ero su tutto un altro pianeta, e attendevo di risolvermi, e di stringerlo ancora tra le mie braccia, lui mi ha dato il colpo di grazia. “Me ne vado, ad inizio del mese prossimo mi trasferisco“. E li, in quel momento, il mio cuore che sanguinava si è spazzato. In milioni di microscopici pezzi. Ci siamo visti ancora, ci eravamo detti che saremmo andati a cena in un posto da tempo. Ci siamo andati. Eravamo lì, ma io ero assente. Completamente. Lo guardavo e vedevo che lui non c’era già più. Nei suoi occhi c’è ciò che lo aspetta a trecento chilometri da qui. E per me non c’è spazio.

cuore

Per me non c’è un dopo. Non c’è un futuro. Io sono qui, adesso, ed abbiamo scherzato. Abbiamo giocato. Niente è successo. Io mi sento ardere di desiderio. E lui si fa saltare i nervi perché uso appellativi inappropriati, secondo lui, per chiamare il suo fidanzato. Che ovviamente non ha tradito. Non è successo. Non era nel mio letto. Non era con me. No. Adesso ha capito che è stato tutto uno sbaglio. Tutto un errore. Ed io sono solo una che passava di lì. Chiunque sente questa storia mi fa pat pat sulle spalla e mi dice che devo dimenticarlo, che non vale neanche la pena.

Errore. Per me è valsa tutta la pena. Ogni gesto, anche se me lo ha fatto rimpiangere lui, l’ho fatto perché sentito. Quello che non capisco e non mando proprio giù, e il suo sguardo che trasalisce quando gli urlo per la strada che lo amo. In mezzo a San Lorenzo. Perché io me la vivo. Nel bene e nel male. E perché non c’è cosa peggiore che mentire a se stessi. E poi siamo stati tre ore a girare in macchina a cercare la strada per una gelateria. Ma il gelato non lo voleva nessuno. Ammutoliti. Come se fosse stata staccata la spina ad una malato terminale. L’onda è fissa, continua ed il bip è prolungato. Io sono morto, e nessuno se n’è accorto. Non mi do pace.

Lui è felice. Ha imparato la lezione. Adesso vuole impegnarsi per avere un rapporto corretto con il suo fidanzato. Basato sul rispetto. Lontano da me. Lontano da qui. Però va tutto bene. Mi scrive su what’s app, mi chiama , mi racconta le sue giornate. Va tutto benissimo. Io dovrei stare sereno. Dovrei stare tranquillo. Ma non lo sono. Mi sento svenire. E mi trascino da una parte all’altra della città alla ricerca di conforto. Non so dove andarlo a cercare, ma è così. E se guardo indietro, tutto mi parla di lui. E invece lui ha cancellato tutto da me. Ha fatto fuori i suoi social per non lasciare traccia di me.

E li ha riaperti da zero. Così che io, con ii miei like non ci fossi più. Non che fosse importante. E sono anche certo di non essere l’unico. Che ci sia sicuramente un Simone o un Alessandro che mi hanno sostituito. E un tarlo che mi punzecchia il cervello. Non lo posso dire con certezza, ma so che è così. Lui nega, ma non mi spiega. Perché neanche una spiegazione mi è concessa. Ed io guardo tutto dall’esterno, dopo aver finito le lacrime che ho in corpo, e mi sento solo uno zero. Un punto sbiadito della sua esistenza. Che non va da nessuna parte e vede sgretolarsi intorno tutto quello che di certo aveva.

Vorrei una carezza. Un bacio. Un abbraccio. Anche del sesso d’addio, volendo. Un emozione reale. Senza controllo. Ma so già che non ci sarà. E una volta lontano da qui, potrà finalmente ignorarmi. Per sempre. Come se non fossi mai esistito. Come se fossi proprio il niente. Come uno zero. Perché questo è quello che valgo. E il valore me lo ha dato lui. Al limite degli urli mi ha anche detto di dire tutto al suo ragazzo. Così, almeno sarei stato contento. Un altro errore. Sa benissimo che sono talmente sfigato che non lo farei mai, e non sarei mai capace di fargli del male. Non potrei mai.

Lui ride, scherza e prepara le valigie. Io ho la testa vuota e penso solo al giorno in cui definitivamente se ne andrà, e lo perderò per sempre. Ma devo stare tranquillo. Non cambierà niente. Me lo ripete come quando si parla ad una persona psichiatrica che non vuole prendere le medicine. E’ tutto ok, dice. Ma lo sa anche lui che non è così. Io non mi esprimo più di tanto e vivo questi ultimi giorni come un condannato a morte. Ma sono già morto. L’ho già detto, vero? Ripenso incessantemente a quel giorno al parco, quando il suo cane è scappato e lui si è scapicollato per andarlo a riprendere. Dovevo andarmene lì, e mettermi in salvo. Lì avrei potuto ancora salvarmi. Forse.

Deriva. E ritorno.

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Non ho mai detto a nessuno perché ho aperto questo blog. Nessuno. Neanche alle persone che mi sono più vicine. Tutto era nato per sdrammatizzare ed ironizzare sulle disavventure che spesso mi trovavo a vivere. E per un qualcosa di più personale, che mi ha spinto una mattina ad alzarmi ed iniziare a scrivere. Di quella motivazione, però, negli ultimi tempi me ne sono assolutamente dimenticato. Sarà stato il periodo difficile, la delusione e tutte gli stress che si sono accumulati insieme, ma tutto quello che avevo in testa era per una sola ed unica persona. L’unica che forse davvero a cui di me non frega niente. Ed è un fatto evidente ai più. Ma non a me. O per lo meno fino a quando non lo realizzato.

Ecco adesso aprire un pippone su questo mi sembra assolutamente inutile. Visto che di pipponi ultimamente ne ho fatti solo in via del tutto metaforica. In realtà quello che vorrei aprire è una chiara e semplice riflessione su cosa sono diventato. Primo fra tutti, sono diventato antipatico a me stesso. Una cosa poco gestibile, visto che se inizio ad avere problemi anche con me stesso, non credo di poter avere un futuro di coppia. Anzi. Inizialmente ero solo sfastidiato da me stesso. Poi il fastidio ha lasciato spazio all’odio. Ho odiato profondamente me stesso. Mi sono murato vivo. E inzerbinato all’infinito. Una situazione spinosa e di zero equilibri.

Io purtroppo resisto poco, e non sono affatto capace di distogliere l’attenzione quando qualcuno mi piace davvero. Anche se ci ho provato, e be, ecco, sono stati degli esperimenti fallimentari e per niente gratificanti. E trovavo sempre il modo per ritornare a chi invece doveva prendersi un bel calcio in culo. Ho provato, però: per la prima volta ho ho mandato un DM su twitter. Non lo avevo mai fatto prima perché ho sempre pensato che farlo voleva dire rompere una regola fondamentale che mi ero imposto, ovvero non trasformare il mio account in una succursale di grindr. Ho rotto il patto, con me stesso perché ero stanco di stare a letto a piangere per uno fidanzato. Che mi chiedeva di tornare con un messaggio tutto maiuscolo per di più. Ma vabbè, ho preso il telefono in mano e gli ho scritto. Un tizio carino, visto a una serata, e che sinceramente mi è piaciuto subito. Ma non ero abbastanza ubriaco per provarci. Così, nei giorni successivi, ho intavolato una conversazione su twitter. Che si è conclusa come segue.

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Dopo risposte arrivate dopo ogni otto ore circa, gli ho sbottato. E lui mi ha chiesto pure “In che senso?”. Forse avrei dovuto dirgli che volevo ficcargli la lingua in bocca. Ma non l’ho fatto. E non ho neanche risposto. Mi sono preso la briga di non dare spiegazioni. Avrei voluto scrivergli più semplicemente, che lo trovavo interessante, e che mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Seriamente. Ma no. Ho avuto il terrore di farlo per paura di finire in un manicomio questa volta. E ho lasciato cadere la cosa così.  Ed è in quel momento che mi sono rivisto. Non mi rivedevo da un bel po’. Il tempo ultimamente si era dilatato, le giornate stentavano a passare, ed io le vivevo solo perché non potevo fare diversamente. Senza un briciolo di coscienza. Senza capire il perché e il come di quello che pensavo.

Ed ho pensato qualsiasi cosa, anche la più estrema. Ma non ero ancora ravveduto pienamente. No. Dovevo far passare anche una decina di giorni per capire che in realtà avevo perso totalmente di vista perché ero qui. Perché avevo deciso di scrivere. Era tutto iniziato nel 2008, quando ho creduto di aver incontrato la persona giusta. Invece è stato un breve passaggio, un bagliore, che si era solo avvicinato per sparire subito dopo. Volevo che lui potesse aver la possibilità di capire davvero chi ero, leggendomi. Di avere un quadro veritiero su chi ero io. Perché di me non aveva visto niente. Volevo che sapesse quanto volevo averlo vicino. Ci ha pensato twitter, in qualche modo, a far sì che lui leggesse. Ecco, adesso non mi saluta.

Non mi dispiace neanche granché. Il punto è che a lui non interesso. Lui era li, per giocare. Lo ha fatto ed è sparito. Una volta entrato in qhttp://www.tizianoferrofan.com/homepage/all-music-italia-annuncia-lalbum-di-tiziano-ferro-uscira-il-25-novembre-in-due-versioniuest’ottica, tutto il dolore, tutte le lacrime mi sembrano solo ed e soltanto una gran perdita di tempo. E forse è così. Ma come canta qualcuno, che ha molto più talento di me, “che ora sò, che il tempo non cancella niente“. Tutto resterà nella mia testa, e servirà per farmi riconoscere, finalmente, quello giusto. A tutti gli altri non dico niente, loro non lo sanno che si sono persi. Io, si. Ed è sufficiente. E mi spinge, inevitabilmente, a girare l’angolo e ad attendere quello giusto. Che tanto prima o poi il dramma finisce, si porta via tutto. E adesso si è portato via, te.

O almeno, ci spero vivamente.

Ringrazio Daniele per aver dato luce al nuovo header del blog. Thanks ❤

Smetto quando voglio

Ho sempre pensato che le cose accadono per un motivo. E credo che questa sia una costante della mia vita, e non penso riuscirò mai a togliermi dalla testa che non sia così. Quando ho iniziato a firmarmi come Annabelle Bronstein, mai avrei creduto di poter conoscere e incontrare così tante persone. Ma mio malgrado, seppur Annabelle è una parte ironica e spregiudicata di questa faccenda, Fabrizio, c’è. E Fabrizio, che poi sarei io, e si ironico e spregiudicato, ma anche pignolo, rompiballe e perennemente con la testa tra le nuvole a sognare ad occhi aperti.

Quando poi i sogni diventano castelli, eretti da pochissime certezze, basta poco che tutto vacilli e ci si ritrova con poco e niente tra le mani. E tanto dolore. Sono mesi (quattro all’incirca) che mi sento con questo ragazzo, che è fidanzato e convive. E se all’inizio tutto sembrava procedere per il meglio è bastato pretendere un tantino di più che appunto il castello è crollato. Adesso, non voglio di certo nascondermi dietro un dito, l’ho già detto più e più volte che io sono un rompiballe. Ma so anche essere razionale. E coerente.

E se neanche una settimana fa eravamo a cena fuori a chiarirci, per quanto ce ne fosse bisogno, il punto lo avevamo raggiunto. Di nuovo. Viviamocela scialla. Senza menate, senza problemi. E così avevo riequilibrato ancora me stesso. Tutto sembrava andare per il verso giusto, poi neanche qualche giorno dopo, di nuovo la sua assenza del tutto immotivata, ed io che faccio la pazza per telefono. Che volevo sentirmi delle scuse, perchè mi aveva fatto fare il giro di tutta Roma per prenderci un caffè e non mi aveva aspettato. Se n’era andato.

Niente. Nulla. Neanche una banale e coerente giustificazione. Lui non vuole ciò che io voglio. Lui voglio un amico, un diversivo per sfuggire alla sfiancante routine che lo distrugge col suo fidanzato, io voglio portarmelo a letto. Un alibi il mio utile a nascondere ben altri desideri. Desideri che non posso neanche sussurrare a me stesso, perché lo so che non è il caso di mettersi su un binario morto. Perché lo so che tanto lui non ci sarà mai come io voglio. Non ha cinque minuti per chiedermi come sto. Figuriamoci per qualcosa di più dignitoso.

Ma esiste un limite? Direi di si. Il giorno dopo lo abbiamo passato a discutere, al telefono, a più riprese perché eravamo a lavoro. Ma il punto? Nessuno. Non una risposta coerente, non una giustificazione, neanche “Scusami”. Niente.  Doveva tornare a casa, non aveva tempo da dedicarmi. Niente che mi ha dato sollievo e mi ha fatto tranquillizzare. Alle nove di sera con duecento chilometri sulle spalle me ne sono andato diretto in pronto soccorso con la pressione alle stelle e dolori sparsi sul tutto il torace.

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Perché poi io faccio questo, crollo e crollo alla grande. Alla fine tutto bene. Niente di che. Il Dottore si è subito affrettato a dirmi che sono stressato, che fumo troppo e che non devo arrabbiarmi perché mi fa male. Ma io sapevo perché stavo in quel modo. Volevo chiamarlo, condividere tutta l’ansia, ovviamente sono una donnamerda, ma il limite dignitoso l’ho riconosco pure io. E non l’ho fatto. Ho avuto anche la fantastica idea di convidere su facebook la mia posizione, dal pronto soccorso, proprio per vedere se aveva un minimo di interesse ad alzare il telefono per chiedere “Come stai?”. Non lo ha fatto. Lo ha fatto chiunque, persone che non ti aspetti, ma lui no. Zero.

E credo non lo farà più. La sua vita scorre normale, il suo instagram continua a raccontare le sue giornate spensierate mentre io mi dispero e mi lacero alla ricerca di un senso a tutta questa storia. Ed un senso non c’è. Io sono diventato prima l’amico, (che poi amico de che, io i miei amici non li ho mai trattati a merda così senza un motivo), poi lo stalker psicopatico con qualche problema perché gli ho chiesto semplicemente una spiegazione. Infine la totale assenza.

Ecco. Torno alla domanda iniziale. Tutto questo è accaduto per un motivo. Sicuramente. Penso che non ci sia altro da dire o aggiungere, perché una dignità ce l’ho pure io, e me la merito e merito rispetto. Quel rispetto che lui non da me lo riprendo da solo. Sarei tentato dal vendicarmi, in maniera super bastarda. Ma so già che non lo farò.  Perché poi sono un buono. O un fallito. Dipende dai punti di vista. So solo che ciò nonostante, vorrei ancora sentirlo. Sono molto deciso si. E invece niente. Continuo a lavorare a dire che va tutto bene, a far finta di niente. Ma dentro muoio.  Non va bene niente. Ma forse è il caso di far fruttare questa ennesima lezione.  Perché c’ho pure una certa età, e le cose le devo far cambiare. IO, soprattutto.

Il Silenzio

Come dire. Il periodo è stato difficile. Molto. Sapete come si fa a dimenticare qualcuno? Ditemelo. Perché in media ci metto qualcosa come cinque o sei anni. E invece adesso non posso proprio permettermelo. No. Diciamo che sono sempre più convinto di quanto io sia la persona sbagliata nel posto sbagliato. Questo potrebbe essere il nuovo mantra che potrei ripetere all’infinito, perché il dramma è sempre dietro l’angolo non rende più come una volta.

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Avere uno spiccato senso dell’umorismo non aiuta ugualmente. Tempo fa forse, quando ancora credevo di contare qualcosa, avrei riso della mia stupidità a fidarmi di chiunque. Del mio volermi ficcare a tutti i costi in situazioni già predestinate a non avere alcun futuro. In fondo sognare ad occhi aperti è sempre stata una mia peculiare caratteristica. Però non proprio tutto me lo sono sognato. Ma questo non si deve dire. Di questo non si puo’ parlare. Bisogna far finta che sia solo colpa mia. Che sia solo io lo stupido.

Comodo. Comodissimo. Sono sincero, aver messo dei punti con una persona, ultimamente, non solo mi è costato fatica, ma in pratica mi ha messo letteralmente in mezzo ad una strada. Mi ha introdotto in un circolo vizioso in cui sono diventato vittima e carnefice di me stesso, ma da parte di me stesso prima di tutto. Non so se mi spiego. Sono talmente amareggiato che non riesco a non prendermela se non con me stesso. Ed è davvero una brutta cosa.

Non ho nessuno da incolpare per le mie paturnie, anche perché volendo in tutta risposta mi è stato elargito un muro di cinta alto qualcosa come cinque metri. E secondo voi è giusto? No. Non lo è. Per nessuno. Non lo è perché parlare, in qualche modo, almeno per me serve a chiarire. Serve a sollevare noi stessi, e a risolvere quello che si può, anche se è una magra consolazione. Parlare mi servirebbe per non ripetere più gli errori, che da oramai forse da tutta la vita continuamente ripeto. Parlare, è un dettaglio che aiuterebbe a far passare l’astio che in tre mesi e mezzo si è creato. Per tutti e due.

Si alzerebbe la bandiera bianca e tutto potrebbe riprendere il corso delle cose. Almeno le mie. Riuscirei ad orientarmi, e a riprendere lentamente a capire il da farsi, perché lo smarrimento è tangibile. Reale. Ecco, solo questo. Le armi sono chiuse nei cassetti, sono stanco di urlare e piangere. Non aiuta. Non aiuta niente in un momento del genere. Neanche il silenzio. E in fondo io sono sempre quello che calcola le cose buone. Di cose buone ne sono uscite fuori, naturalmente, ma solo ed esclusivamente per gli altri. Perché a me non ci penso neanche più io.

Perché sono fesso. E adesso lo sapete anche voi. Perché io la mia vita la immaginavo diversa. E invece è arrivato l’inverno. E invece dovrebbe essere estate.