Smetto quando voglio

Ho sempre pensato che le cose accadono per un motivo. E credo che questa sia una costante della mia vita, e non penso riuscirò mai a togliermi dalla testa che non sia così. Quando ho iniziato a firmarmi come Annabelle Bronstein, mai avrei creduto di poter conoscere e incontrare così tante persone. Ma mio malgrado, seppur Annabelle è una parte ironica e spregiudicata di questa faccenda, Fabrizio, c’è. E Fabrizio, che poi sarei io, e si ironico e spregiudicato, ma anche pignolo, rompiballe e perennemente con la testa tra le nuvole a sognare ad occhi aperti.

Quando poi i sogni diventano castelli, eretti da pochissime certezze, basta poco che tutto vacilli e ci si ritrova con poco e niente tra le mani. E tanto dolore. Sono mesi (quattro all’incirca) che mi sento con questo ragazzo, che è fidanzato e convive. E se all’inizio tutto sembrava procedere per il meglio è bastato pretendere un tantino di più che appunto il castello è crollato. Adesso, non voglio di certo nascondermi dietro un dito, l’ho già detto più e più volte che io sono un rompiballe. Ma so anche essere razionale. E coerente.

E se neanche una settimana fa eravamo a cena fuori a chiarirci, per quanto ce ne fosse bisogno, il punto lo avevamo raggiunto. Di nuovo. Viviamocela scialla. Senza menate, senza problemi. E così avevo riequilibrato ancora me stesso. Tutto sembrava andare per il verso giusto, poi neanche qualche giorno dopo, di nuovo la sua assenza del tutto immotivata, ed io che faccio la pazza per telefono. Che volevo sentirmi delle scuse, perchè mi aveva fatto fare il giro di tutta Roma per prenderci un caffè e non mi aveva aspettato. Se n’era andato.

Niente. Nulla. Neanche una banale e coerente giustificazione. Lui non vuole ciò che io voglio. Lui voglio un amico, un diversivo per sfuggire alla sfiancante routine che lo distrugge col suo fidanzato, io voglio portarmelo a letto. Un alibi il mio utile a nascondere ben altri desideri. Desideri che non posso neanche sussurrare a me stesso, perché lo so che non è il caso di mettersi su un binario morto. Perché lo so che tanto lui non ci sarà mai come io voglio. Non ha cinque minuti per chiedermi come sto. Figuriamoci per qualcosa di più dignitoso.

Ma esiste un limite? Direi di si. Il giorno dopo lo abbiamo passato a discutere, al telefono, a più riprese perché eravamo a lavoro. Ma il punto? Nessuno. Non una risposta coerente, non una giustificazione, neanche “Scusami”. Niente.  Doveva tornare a casa, non aveva tempo da dedicarmi. Niente che mi ha dato sollievo e mi ha fatto tranquillizzare. Alle nove di sera con duecento chilometri sulle spalle me ne sono andato diretto in pronto soccorso con la pressione alle stelle e dolori sparsi sul tutto il torace.

immagine-cuore

Perché poi io faccio questo, crollo e crollo alla grande. Alla fine tutto bene. Niente di che. Il Dottore si è subito affrettato a dirmi che sono stressato, che fumo troppo e che non devo arrabbiarmi perché mi fa male. Ma io sapevo perché stavo in quel modo. Volevo chiamarlo, condividere tutta l’ansia, ovviamente sono una donnamerda, ma il limite dignitoso l’ho riconosco pure io. E non l’ho fatto. Ho avuto anche la fantastica idea di convidere su facebook la mia posizione, dal pronto soccorso, proprio per vedere se aveva un minimo di interesse ad alzare il telefono per chiedere “Come stai?”. Non lo ha fatto. Lo ha fatto chiunque, persone che non ti aspetti, ma lui no. Zero.

E credo non lo farà più. La sua vita scorre normale, il suo instagram continua a raccontare le sue giornate spensierate mentre io mi dispero e mi lacero alla ricerca di un senso a tutta questa storia. Ed un senso non c’è. Io sono diventato prima l’amico, (che poi amico de che, io i miei amici non li ho mai trattati a merda così senza un motivo), poi lo stalker psicopatico con qualche problema perché gli ho chiesto semplicemente una spiegazione. Infine la totale assenza.

Ecco. Torno alla domanda iniziale. Tutto questo è accaduto per un motivo. Sicuramente. Penso che non ci sia altro da dire o aggiungere, perché una dignità ce l’ho pure io, e me la merito e merito rispetto. Quel rispetto che lui non da me lo riprendo da solo. Sarei tentato dal vendicarmi, in maniera super bastarda. Ma so già che non lo farò.  Perché poi sono un buono. O un fallito. Dipende dai punti di vista. So solo che ciò nonostante, vorrei ancora sentirlo. Sono molto deciso si. E invece niente. Continuo a lavorare a dire che va tutto bene, a far finta di niente. Ma dentro muoio.  Non va bene niente. Ma forse è il caso di far fruttare questa ennesima lezione.  Perché c’ho pure una certa età, e le cose le devo far cambiare. IO, soprattutto.

L’Omeostasi

Mi sono accorto che il farmaco stava facendo effetto nel momento in cui inserito l’ago in vena una sensazione di sollievo si è palesata dentro di me. Il nostro corpo, più di ogni altra cosa, ha la capacità di raggiungere l’omeostasi, ovvero attraverso meccanismi chimico-fisici raggiunge la stabilità interiore. Rifletto su questo concetto da un paio di giorni. Dal giorno in cui con la coda fra le gambe e la dignità sotto le suole sono fuggito a casa dai miei. “Codardo” penso quando la mia immagine fa capolino in qualche specchio. Ed in casa dei miei gli specchi sono pressoché ovunque.
Ma ripenso all’omeostasi. Un concetto che durante i miei studi mi ha sempre affascinato. E’ l’unica cosa che mi sia stata chiara  quando preparavo il difficilissimo esame di Fisiologia. Assieme al ciclo cardiaco. Ovviamente. La tendenza naturale al raggiungere una stabilità interna delle proprietà chimico-fisiche comune a tutti gli organismi viventi, per i quali questo stato tende a mantenersi nel tempo, attraverso dei precisi meccanismi autoregolatori. Una cosa che detta così appare molto semplice. In realtà avviene per diverse e complicatissime reazioni. A me sconosciute.
Questo concetto non mi è mai appartenuto, nonostante io sia oramai da quasi trentuno anni vivente. Ora più che mai avverto il disagio della mancanza. Ecco, sarebbe semplice se ciò che non c’è,  attraverso la connessione ad un sistema di fleboclisi, possa essere inoculato in noi e renderci all’istante in totale equilibrio. Ma è stranoto che più una cosa sia voluta e più questa tarda ad arrivare. Non a caso il concetto di equilibrio è ancora più importante. Tempo fa avevo la fissa di chiedermi ripetutamente perché fossi qui. E quale fosse il mio obiettivo.
Mio malgrado ho sempre dovuto fare i conti col dover giustificare il perché delle cose. Prima ai miei. Poi per un difetto ho cominciato ad esagerare, ed ora faccio cose che poi devo giustificare a me stesso. Sprazzi di lucidità che si intervallano a momenti di pura follia. Un momento sei Annabelle e il momento dopo no. Con tutto ciò che ne compete. Faccio fatica a cambiare me stesso per paura. E’ sempre stata la paura che mi ha regolato il livello di sopravvivenza alle cose, di ogni genere. Dalle più brutte alle più belle. Una perenne pressione che si è tradotta nel tempo con sigarette, mal di stomaco ed emicranie devastante. E l’insonnia.
Un residuo di ciò che un essere umano può essere. E neanche la sua parte migliore. Così la mancanza mi ha distrutto. Mi ha lacerato dentro fino a quando non sono stato più capace di riconoscere il dolore. L’intensità del dolore è una variabile che ci permette di capire se quello che sta accadendo ci sta facendo male o meno. Se ci sta uccidendo.  Variabile che mi è sfuggita al controllo. Soprattutto quando di notte mi svegliavo sudato, o strano e senza voce perché avevo urlato come un pazzo fino a qualche secondo primo. E se nell’obnubilamento del sonno qualcuno mi stava uccidendo, appena sgranavo gli occhi mi preoccupavo del significato che potesse avere quello che avevo visto. Semmai fosse stato vero.
In realtà, poco dopo me ne scordavo, e per sopperire alla noia del silenzio della notte, intervallato dal preciso e sempre uguale ticchettio dell’orologio appoggiato sulla cassettiera della camera da letto, preferivo distrarmi con uno dei nove libri appoggiati sulla scrivania che ancora attendevano di essere letti. Invano. Quella tecnica, che molte altre volte prima mi aveva regalato un sonno tranquillo, in realtà aveva smesso di funzionare. La certezza di riaddormentarmi svaniva, e perso l’interesse per il libro passavo a contare i rintocchi che la lancetta dei secondi compiva durante la sua inarrestabile corsa.
Senza, ovviamente riuscire a trovare pace. Così di li a poco attendevo l’arrivo del giorno, e mi alzavo diretto verso il bagno e poco dopo verso la cucina, per la colazione. Niente però mi aveva tranquillizzato. Niente aveva ristabilito l’omeostasi. L’equilibrio. Ho interrogato anche un medico a riguardo, ma non siamo riusciti ad andare oltre la prescrizione di inutili fiori di Bach. Non dormivo. E il risultato più drammatico erano delle occhiaie nere sotto gli occhi che di giorno in giorno apparivano sempre più marcate.
Nel mio essere scostante in tutto ho iniziato a capire, poco a poco di quanto fosse importante avere una giornata il più stancante possibile, che mi avrebbe permesso così, di notte, di riposare. Invece nulla. Niente di tutto questo. La discontinuità dei miei intenti si era rivelata ancora, in maniera più sonora, una stupidaggine ed io non facevo altro che perdere tempo. Bighellonare tra un social e l’altro, o peggio, alla ricerca di qualcuno con cui passare qualche ora. Dando il sesso come soluzione a questo intrigato e complesso rompicapo di cui non venivo a capo. Di cui non vengo a capo.

Accettare l’eventualità di non dormire, in realtà, si stava rivelando molto più utile. Occuparmi dell’insonnia metteva tutto il resto  in secondo piano: i miei pensieri, i miei comportamenti e le mie mancanze. Ed i miei equilibri mai raggiunti. In perenne deficit. Contrasti forti che non si compensano mai. Uno stato di necessità che si alimenta, e che inevitabilmente mi rende in ogni momento inadeguato. Mai pensieri furono più lucidi. E soprattutto così facendo ho capito che l’omeostasi non la raggiungerò mai, o tutt’al più l’ho raggiunta, ma ancora non l’ho capito.  

Lo stato attuale delle cose

Lo avete tolto l’albero? Le lucine dal balcone? La ghirlanda dalla porta? Ecco, questo suggerisce che le feste sono finalmente finite. Che possiamo piantarla di fare i buoni. Di sorridere a chiunque. E di amare lo stare insieme solo perché si e parenti di non so quale grado. Io odio le feste, e in altre occasioni ho sempre chiarito la mia posizione in merito. Per questo mi sono scelto un lavoro che impone di lavorare alle feste. Anche se adesso, mio malgrado non mi fanno lavorare neanche più. Il buonismo che accumulo sotto il periodo natalizio, inevitabilmente lo butto fuori. Ora. In questo periodo.

E, contestualmente, butto giù gli obiettivi dell’anno. Si perché sinceramente i buoni propositi non mi sono mai piaciuti. Li trovo addirittura patetici. Che senso ha fare i buoni propositi a fine anno quando poi in realtà siamo noi a decidere come vogliamo comportarci. Ad inizio anno io preferisco chiarire quello che mi succede intorno. Per fare mente locale. E non c’è niente che mi fa pensare positivo.
#lavoro
Ogni giorno maledico di aver rifiutato un posto pubblico, oramai sei anni fa. Ogni giorno mi mangerei i gomiti. Ogni giorno mi ritrovo a dover contare fino a mille quando in realtà vorrei urlare e buttare via tutto quello che ho in mano (e chiunque mi capiti a tiro nel giro di un metro cubo) perché sono piena. Insoddisfatto. Mi ritrovo a lavorare con persone poco professionali e a cui del lavoro che fanno non importa un fico secco. Passano le loro giornate a sparlare di quello e di quell’altra per poi dimenticare il motivo per cui sono lì, ovvero, LAVORARE. #piena
#l’amore
Ecco. Cosa dovrei dire sull’amore? Quando mi frequento con qualcuno divento serio. Preciso. Non lascio nulla al caso e pretendo serietà e rispetto. Sono una Signora bacchettona della metà degli anni ’50 con una perenne voglia di cazzo. Divento sicuro e tranquillo. E questo diventa inevitabilmente motivo di fuga o di dovermi mettere le corna con chiunque passi di li a tiro (vedi post precedente). 
#ilsesso
Sono davvero sorpreso di doverlo pensare. Ma anche farsi una sana scopata sta diventando seriamente complicato. Ogni volta mi trovo davanti qualcuno che vuole fare il contrario di quello che voglio io. Se non posso ospitare lui non può ospitare sicuramente. Se non posso uscire lui vuole che io lo raggiunga. Quando ho casa libera, invece, nessuno che voglia venire. Nessuno poi che si prenda la briga di metterci un po’ di passione. Quella vera. Quella che fa volare le parrucche. Niente. Macchinosi e mezzi morti sono lì che aspettano che io faccia tutto. Ma datevi una cazzo di svegliata #SuperASAP

#Gnoffolo
Niente Gnoffolo non ne vuole affatto sapere di me. Al momento sta postando foto in viaggio insieme ad un tipo molto carino. Non vuole affatto saperne di uscire con me. Fa il vago. E quando qualcuno fa il vago vuol dire semplicemente che non gliene può altamente fregare. Ma sto già elaborando un piano, e questa volta, non è stalking signori miei.

Questo post idealmente è la seconda parte di #2014. Ora che ho messo i punti (e gli hashtag) vi alletto con un’imperdibile e libidinoso, ed inaspettatamente sessuale post orgiastico. #staytuned 

Gli improbabili appuntamenti di Annabelle Bronstein #1 – Il giornalista triste

Bene, devo ammettere che negli ultimi mesi di castigo sessuale che mi sono auto imposto, tra peripezie di ogni genere, per riabilitare la mia immagine agli occhi di me stesso, in primis, ho deciso di cedere a gli appuntamenti. Ed ho deciso che per tutta l’estate mi darò da fare a conoscere nuove persone. Persone con le quali scambio qualche messaggio sui vari siti e social d’interesse. Facciamola finita con la balla che uno va in discoteca o a fare l’aperitivo e incontra l’uomo della sua vita. Visto soprattutto che ci pregiamo tutti di un’intelligenza. O qualcosa di molto simile.

Ecco perché il mio primo appuntamento della stagione me lo sono ritagliato un pomeriggio di due settimane fa, circa. Lui mi aveva abbordato su Grindr qualche sera prima. Per essere più open e friendly quando torno a casa la sera tengo accesa la maleficaapplicazione. Così girando in macchina e passando per più quartieri mi auto costringo ad inflazionare il mio profilo. E inevitabilmente almeno tre o quattro persone rimangono folgorate (si è proprio il caso di dirlo) dalla prestanza del mio profilo. (#credeghe). In ogni modo mi scrive questo tale che noi chiameremo Enrico Mentana, visto che fa il giornalista free-lance.
Devo ammettere che nonostante l’ora tarda, (erano le due circa) è stato molto carino ed abbiamo conversato sul perché eravamo lì, in quel momento connessi a Grindr. Io ovviamente ho la tattica di non rivelare mai i miei veri intenti. Attendo sempre che l’altro si sconfessi per primo, per poi dire la cosa più giusta che si incastri meglio. Ed anche in questo caso non mi sono smentito. Lui cercava una persona da conoscere. Era stufo delle dinamiche Ciao, piacere, scopiamo, Addio. Ovviamente anche io sono stufo di queste dinamiche. E gli ho detto che non mi sarebbe dispiaciuto incontrarlo.
Mentana ha 38 anni, alto 190 cm, fisico importante ma non grasso. Rosso. Barba e testa rossa. Un dettaglio che nell’ultimo periodo ha sempre stuzzicato, e non poco la mia fantasia. Insomma a me, nella mia testa, dove c’è quel piccolo e solitario neurone vagabondo, un sexy sollazzo con un bear rosso, vestito di camice a quadri e jeans attillati non sarebbe affatto dispiaciuto. Ma noi (cioè io e Mentana per capirci) volevamo qualcosa di più. Quella cosa che ti fa venir voglia di andare oltre e conoscere in maniera esclusiva qualcun altro. La passione. I fuochi d’artificio. Mi spiego?
Ed infatti cinque giorni dopo, eccomi aggirarmi in quel di Monteverde Vecchio, alla ricerca della sua via. Finalmente arrivo. Abita in un palazzo vecchio ma carino, al  piano terra, che in realtà è un piano alto. Appena entro dentro lo trovo affaccendato al pc che scrive. Naturale, penso è un giornalista d’assalto del la capitale. Ma vengo invaso da una svampa devastante che mi addenta al naso. Mentana deve aver letto il disgusto sul mio volto e si affretta a scusarsi “Mi dispiace, purtroppo sono stato fuori per lavoro, e ho ritrovato casa inondata. C’è stata una perdita dall’appartamento di sopra ed è saltato l’impianto elettrico e c’è muffa ovunque. E’ un disastro”. Che tristezza.
Porello, a saperlo mi portavo dell’ossigeno portatile, così evitavo di estinguermi. Decido di soprassedere questa devastante puzza ed inizio a parlare del più e del meno. Mi racconto parlando di me, del mio lavoro, dei miei interessi. Perdiamo anche dieci minuti a parlare de La Grande Bellezza di Sorrentino, film che lui ha già visto e che rivedrà ancora con i suoi amici. Gli racconto delle mie storie passate, della mia passione per la scrittura, e per l’innata e sempre stimata voglia di cazzo. In maniera molto naturale a dire il vero, perché in fondo a una certa età bisogna pure diminuire i filtri, ed essere sinceri.
Ma i gay si stufano subito. Si stufano a tal punto che ti viene voglia di buttarti dalla finestra, nonostante sia un piano alto, e sai che non ti farai assolutamente male. I suoi lunghi silenzi ed il suo annuire e basta mi hanno fatto venir voglia di leccare la muffa dai muri e morire in una maniera molto strana come se fossi in CSI New York. Mentana, il giornalista, non si è scucito né mosso. Seduto sull’estremo più lontano del suo divano a tre posti mentre io annaspavo chiacchiere inutili e soporifere su di me. Sono riuscito a scuoterlo un attimo quando gli ho chiesto delle innumerevoli stampe appese ai muri. Finalmente un guizzo. Un luccichio in quei occhi tristi ed annoiati.
Mi ha dettagliatamente raccontato la storia di ogni stampa, dove li ha comprati e per quale motivo. Addirittura di una mi ha detto che ha tirato il prezzo, con il venditore, pagandola una stronzata. Ma il suo valore è ovviamente inestimabile e prezioso. Tutto ciò mi sa irrimediabilmente di collezione di farfalle. E rido tra me e me. Ma forse ognuno ha le sue. Io colleziono cd dannatamente pop, biglietti dei concerti, stagioni di telefilm di Grey’s Anatomy  e flyer della Popslut Night. Insomma pure io posso sembrare un mezzo psichiatrico non vi pare?
Ma non è tanto questo. Io capisco che in periodi come questi il sesso ASAP e asettico è privo di ogni senso e raffredda le voglie. A tutti. Ma essere anche totalmente disinteressati e morti cerebralmente aiuta ugualmente? Insomma qualche tempo fa anche se dicevo CACCA o PIPI’ l’occhio del mio interlocutore era almeno vispo e presente. Mi sono arenato. E lì in quel salotto ho messo la parola fine a quella farsa bella e buona. Mi sono fumato una sigaretta, e mi sono defilato, ringraziando per il piacevole pomeriggio (???) e fuggendo come se non ci fosse un domani al limite della corsa.

Adesso oltre a metterci in nomination per i #MIA2013 seguendo questo link, mi è venuto in mente se ho davvero bisogno di questo. Di questo vuoto assoluto, impacchettato e privo di ogni sentimento? Privo di un qualche respiro spontaneo? No. No. E ancora no. Non si rianimano le storie finite, figuriamoci se posso perde tempo a rianimare i morti in partenza. E’ evidente che Mentana non è il mio lui. Ma non mi fermo, non mi arrendo e vado avanti. Perché l’improbabile appuntamento numero 2 è già alle porte e ve ne renderò conto ASAP. As usual.

Lost in Translation Amici Edition

Dove sono finito? Non lo nemmeno io. Ad essere sincero forse mi era passata la voglia. O forse ero solo troppo depresso perché dovevo rendermi conto che avrei dovuto festeggiare trent’anni. Lo so che uno è giovane ancora a trent’anniMa ne ho lette talmente tante sui trenta che l’ansia mi è venuta per davvero. Ho letto che ti si riduce il pisello, che i capelli si fanno più radi e che inizia a mancare addirittura il desiderio sessuale. Tutte cose che poi in realtà, per quanto mi riguarda non sono avvenute. Anzi. Ma non bisogna mai sottovalutare le situazioni. Perché i drammi, sono sempre dietro l’angolo.

Aprile e maggio sono stati mesi strani, non mi sono reso conto bene di quello che avevo in testa e di come mi sentivo. In realtà sono andato in giro, con mio cugino dell’Australia. Mi sono ritagliato spazio nei week end e lo portato in Toscana, a Venezia e dai parenti in Abruzzo. Mi rendo conto che ve ne importa tantissimo, ma quello che voglio raccontarvi è accaduto qualche giorno prima che lui ripartisse. Per tutta la sua permanenza qui a Roma il suo Grindr ha trillato più del mio telefono. E tra gli altri un’ex amico di Maria lo ha pesantemente tampinato. Fino a che un venerdì mattina, mentre io ero a lavoro ne hanno fatto di ben donde.
La mia devastante voglia di cazzo ha superato le barriere linguistiche e quelle delle decenza. Perché intorno alle 14 mio cugino mi manda questo messaggio:  “What time are u home? Can we make it 3?”. Adesso io parlo un discreto inglese. Neanche ve lo sto a dire che cosa sia successo nel mio cervello. Quel piccolo, inutile e dannatamente arrapato di un neurone che mi ritrovo non ci ha pensato due volte ed è partito lo stachetto di “3”di Britney. E tutto ciò che ne consegue. Che volevate capirci in questo messaggio se non vieni che ne facciamo di bendonde a tre?
Io ero ancora a lavoro. Nel giro di dieci minuti dieci ho sbrigato tutto quello che non avevo fatto in una mattinata intera, ho preso le mie cose, strisciato il budge e sono fuggito verso casa. Erano appena le 14:30, ed avevo ufficiosamente intuito che qualcosa non andava. Insomma mio cugino si era chiuso dentro e nessuno mi apriva. Rileggo il messaggio. Insomma magari ho capito male io. No. Mi ha chiaramente detto che lo vogliono fare a tre. Figuriamoci se io mi lascio scappare un threesome con incesto familiare annesso.

Passano dieci minuti. E’ evidente che c’è qualcosa che non va. Deduco coscienzioso. Telefono a mio cugino. Risponde e gli intimo di aprire la porta ASAP. Lui viene, visibilmente imbarazzato e in inglese mi sottolinea stizzito che mi aveva chiesto di tornare dopo le tre. Bè anche meno. Eppure a casa mia “We can make it 3” significa che lo avremmo fatto a tre. Ma nessuno mi ha ancora detto il contrario, per cui entro e faccio la gnorri fino alla fine. Insomma mi trovo già nel bel mezzo di una mega figura di merda, tanto vale che la concludo degnamente. No?
L’Amico di Maria, piuttosto che di Maria mi sembra amico di un qualche CIM. Leggermente imbarazzato anche lui, è disorientato spazio tempo al punto che biascica qualche incomprensibile vocabolo. A questo punto prendo mio cugino e gli dico chiaramente che cosa dobbiamo fare, insomma io non sono mica una locandiera affitta camera ad ore. Ho gli ormoni in subbuglio e sono piena da morire. Lui mi guarda come se avessi deciso di portarlo alla benedizione domenicale del Papa e sorridendo dice che io non ho capito una beneamata ceppa.
Ottimo. Sorrido ed invito l’amico di Maria a prendere un caffè con noi altre paze dell’entroterra abruzzese e australiano. Di lì, a poco l’Amico di Maria è praticamente diventato anche Amico mio. Pensa che culo. Mio cugino lo aveva abbondantemente ragguagliato su tutti i cazzi miei: cioè che ho un blog, che scrivo, che faccio questo e quell’altro. Ma il dramma è sempre dietro l’angolo. E dopo aver fatto le amiche del sabato pomeriggio lui esce e manda un sms a mio cugino chiedendogli di raggiungerlo al bar di fronte casa per parlare altri cinque minuti.
I minuti diventano venti, e quando mio cugino torna mi racconta che l’Amico di Maria lo ha implorato di rimanere in Italia. Di trasferirsi e di andare a vivere insieme. Di essere profondamente innamorato e non riuscire già a vivere senza di lui. Figuriamoci se potrà mai vivere col pensiero di lui a 16000 km di distanza. Ovviamente mio cugino non ci ha pensato neanche trenta secondi e lo ha invitato ad andarlo a trovare a Sidney. Ma si #credegheagliufoeaicangurivolanti. Detto ciò sapete qual è la morale di questa simpatica avventura?
1. Devo ridefinire il mio concetto di buona comprensione della lingua inglese che ho scritto sul Curriculum Vitae
2. Il dramma è sempre dietro l’angolo.
3. Mai fidarsi di ciò che dice mio cugino.
Ma non è finita qui. Perché l’epilogo drammatico di questa serie di eventi incomprensibili si conclude il lunedì successivo. Dopo aver accompagnato mio cugino in aeroporto, rientro in casa e prendo possesso della mia residenza rimettendo in ordine e facendo centordici lavatrici e sbram, davanti a me si palesa un asciugamano smerdaterrimo. E qui adesso si apre il dubbio amletico: Chi vuoi che sia stato??? Non lo sapremo mai. M.A.I. Oppure si, io già lo so, ma non ve lo dico.

N.B. La foto del Manzo in alto è puramente casuale, e non riguarda l’Amico di Maria di cui sopra. 

Serena Ferretti.



Ieri sera il tweet di cui sopra mi ha lanciato nello sconforto più assoluto. Si perché basta guardarsi intorno per capire che tutti si sposano. Chiunque fa il grande passo. Ed io, e a questo punto non solo io, sono arrivato alla conclusione, che si forse il matrimonio, inteso più come due individui che si uniscono, non è poi così male. No. Sono sincero. Ho sempre odiato l’idea di doversi giurare amore eterno. Per me si è sempre trattato di una sorta di contrattualizzazione nero su bianco dei sentimenti. E i sentimenti, seppur sinceri possono cambiare.
Ma quest’anno, un po’ forse perché mio fratello si sposa, un po’ perché sono in una fase no alternata e prolungata (Tracey Ullman mi leggi?), mi sento di rivalutare tutto. Nella maniera più positiva ed inaspettata che posso. Si perché in fondo io ho cambiato idea a riguardo. Insomma sono arrivato a pensare che sia più un impegno reciproco che ogni giorno va onorato. Costruire mattoncino dopo mattoncino la quotidianità, dividere le sofferenze e gioire dei successi. E bè, poi amarsi, ovviamente. Fare l’amore. Ci sta tutto dentro. In ogni senso anche. Ma non solo, essere responsabile di un qualcosa.
Ovviamente, come tutti sappiamo, mentre il mondo, lentamente si sta aprendo alle unioni omosessuali, qui in Italia il discorso è ancora difficile e poco considerato dai più. Anzi. Più semplicemente non esiste. Ma voi, single vi sposereste mai? Ecco, il mio tarlo si è bloccato esattamente qui. Io, conoscendo il gay medio (capitolino), non mi sognerei di sposarmi mai e poi mai. Ma non perché voglio fare la figa di legno o quella che ha un’eccessiva considerazione di se. Niente affatto. Io so semplicemente che non c’è ne, almeno per me.
Oramai penso davvero di averne provate di ogni. Mi manca giusto di vendermi all’asta al migliore offerente. E penso che alla fine non mi si comprerebbe nessuno. Ma facendo delle accurate riflessioni tra me e me ho concluso che io sono sempre la persona sbagliata, al momento sbagliato, nella vita di qualcun’altro. E questo, non puo’ che non darmi il sensore che non avrò mai la mia relazione equilibrata, sdolcinata, sincera e paritaria che per me sogno. Lo so, volete degli esempi. Ne avrei a bizzeffe, ed anche se non vorrei, tocca generalizzare.
Quando decido di fare solo del sesso senza complicazione alcuna incappo in quello che vuole un fidanzato che gli faccia i grattini sul divano. Quando decido di fare io quello che vuole una relazione incontro quello che è nella fase che si vuole solo divertire. Quando decido che devo allargare gli orizzonti e voglio solo un appuntamento, inciampo in chi invece ha una vita talmente esageratamente fitta di impegni che Barack Obama Levati ASAP.
Quando decido di ignorare il mondo intero perché ne ho abbastanza di tutte le tipologie di uomini finora citati, sbuca un qualche demone dal passato che modifica il suo status da single a ufficialmente fidanzato su facebook e perdo la parola per almeno due settimane. Quando mi viene in mente l’unico che forse potrei amare follemente sopra ogni cosa, bè, non fatico a ricordare che in realtà, ecco. Mi odia. Ma potrei andare avanti per ore. E potrei fare esempi sempre più precisi e calzanti.
Mi trovo davanti un bivio. A destra la Singletudine e a sinistra un burrone. E nonostante il sesso, quello fatto bene, adesso siamo nella fase che non ti incontri neanche più per scopare. Perché ci sono troppi km di distanza. Mi chiedo ma io che male ho fatto? Che problema ho che alla fine della giornata appaio ai più come uno spostato? Oppure sono gli altri che sono spostati? Non lo so. Io mi riservo solo di avvertire un senso leggero di amarezza. Profonda desolazione. E voglia di fare le valigie e sparire sul primo treno come se non ci fosse una destinazione nota. E basta.
Per piacere pero’, non scambiate questo mio sfogo personale per una mal sana invidia verso la qual si voglia. Niente affatto. A questo proposito vorrei dire che io amo le coppie e quelli che stanno insieme. Li ritengo dei pionieri, delle entità speciali che non hanno nulla a che vedere col sottoscritto. Delle persone che hanno la forza di condividere sempre, qualsiasi cosa con il proprio partner. Gente davvero che meriterebbe un premio perché non solo amano, ma sono anche amati. Incondizionatamente.
Ed è questo il punto esaustivo di tutta questa drammatica faccenda. E visto che il dramma è sempre dietro l’angolo, sono certo che tutti o quasi vi state chiedendo chi cazzarola sia Serena Ferretti. Non lo so neanche io a dire il vero. O meglio, so che è una ragazza che sta per sposarsi, e che per il suo addio al nubilato è andata in giro per Roma per tre giorni a vendere magliette come da foto. Ed una l’ho comprata anche io, addirittura con un’offerta super generosa (a suo dire) di cinque euro.
Perché in fondo io sono solo una sfigata orrenda che crede davvero all’amore. E spero che ci creda anche lei. Perché in fondo aiuta sicuramente di più vivere in attesa della persona giusta, che vivere con quella sbagliata per tutta la vita. Anche se ecco, in giornate come queste mi verrebbe solo la voglia di prendere spaccare tutto ed urlare fino a consumare le corde vocali. Che pure quello, aiuterebbe un tantino, invece di passare tutta la serata a vedere gli album fotografici dei matrimoni di quelle cretine che venivano all’università con me. 

Quando si dice il karma

Come dire… A volte la vita è davvero molto strana. Anche se il sottotitolo per questo post potrebbe essere tranquillamente “il dramma è sempre dietro l’angolo”. Ma essendo una costante della mia esistenza, sinceramente rischio che di sto passo ogni post si chiami così. E invece no. Perché questa volta sono rimasto davvero molto basito. Diciamo che negli ultimi sette – otto mesi, visto che non sono andato oltre una pomiciata con la qualsivoglia in realtà ho intrattenuto un intenso scambio di messaggi con un tipo. Architetto, trentenne, castano, occhio azzurro. Insomma un bel tipo.
In principio le nostre conversazioni erano molto vaghe, ovvero parlavamo di quello che ci succedeva il giorno prima, dei nostri interessi vari, amici e via discorrendo. Conversazioni anche piacevoli. Ma poi, ad un certo punto, l’ormone si è insinuato tra di noi. Adesso, che sia chiaro, sono sempre stato scettico ai rapporti che iniziano così. Un po’ per esperienze passate che non hanno portato nulla di buono, anzi. Un po’ perché io sarò antico, ma preferisco sempre il contatto fisico. Che sia anche uno sguardo, dal vivo, ha tutto un altro peso. Non nascondiamoci.
E proprio perché il mio presupposto è questo, per otto mesi non ci siamo mai riusciti a vedere. Strano ma vero. Ma il giorno di pasquetta, finalmente i tempi erano maturi. Ci siamo dati appuntamento alla metro Garbatella, subito dopo aver passato la giornata con i nostri rispettivi amici. Intorno alle 20 mi avrebbe aspettato lì, per poi andare a mangiare un boccone insieme. E chissà che altro. “Aspettami vicino il ponte direzione Ostiense”. Il suo ultimo messaggio. Ed io lì ero. Sotto la pioggia. Mentre lentamente mi si fracicava un cm in più del mio corpo. E lui?
Lui non so davvero che fine abbia fatto. Dopo una ventina di minuti, mentre pensavo a come potermi mettere in contatto con lui, poco più avanti un rumoraccio mi distrae. Una botta violenta. Mi sono anche spaventato perché ero sovrappensiero. Una macchina inchioda, e quella dietro gli va contro senza rendersene conto. “Tutta colpa dei cellulari” penso tra me e me. Ed evidentemente io avevo un problema simile, ma al contrario, poiché non avevo il suo numero. Avevo solo il suo contatto su Planet Romeo. Che insomma, la dice lunga.
Tornato ai miei pensieri, nonostante il trambusto post incidente, mi chiedo come al solito quando organizzo queste robe a cosa stracazzo penso. La prima cosa è chiedere un cellulare. E fare sempre una telefonata anonima almeno un giorno prima per vedere se qualcuno rispondo. Incazzato con me stesso in primis, e passati altri venti minuti, sento cocente la vergogna di un bidone addosso. Penso che forse è imbottigliato nel traffico e che sta arrivando. Poi penso che sono una sfigata orrenda, una poveraccia delle peggiori, e che mi fumo un’ultima sigaretta e fuggo via.
Detto fatto. Mentre torno a casa gli avrò mandato qualcosa come una trentina di messaggi. Messaggi ai quali nessuno mi ha mai risposto. Cioè ci pensate ad otto mesi a mandarsi i messaggi tutti i giorni. A qualsiasi cosa? Appena mi vedeva in linea mi mandava una faccina carina con una frase super simpatica che mi faceva sorridere all’istante. La parola giusta al momento giusto. Il buongiorno, la buona notte. Addirittura il messaggino con foto annessa mentre si abbuffava di nutella alle tre di notte. Insomma oltre che carino anche dolcissimo.
Tornato a casa mi sono arreso alla stanchezza, ed anche a tutti i miei preconcetti su di lui. Dovevo ammetterlo a me stesso e basta. L’ennesima, evitabile sola che potevo risparmiarmi. E si, ci sono rimasto male. Tanto male. Intanto gli avevo mandato anche un messaggio, che mi ero ripromesso essere l’ultimo: “Ti lascio il mio numero, così quando ritrovi le palle, almeno puoi chiamarmi”. Mi viene da pensare che sono doppiamente sfigata orrenda. Perché oltre al danno la beffa. Ovvero io che gli mando il mio numero di telefono. Ma tanto.
DUE GIORNI DOPO
Rientro al lavoro. Un po’ triste ma almeno senza più pesi. Ricontrollo Planet Romeo, e lui dal giorno di pasquetta non si è più collegato. Scomparso. Disperso. Probabilmente sulla Colombo, chissà a fare che e con chi soprattutto. Quando, il telefono squilla. “Hey, scusami, ho visto ora tutti i tuoi messaggi. Volevo spiegarti cosa mi è successo. Ho tamponato una macchina proprio davanti la metro. Ti stavo scrivendo un messaggio, ed il tipo davanti a me si è fermato. Io ovviamente non l’ho visto in tempo. E niente ho passato gli ultimi due giorni in ospedale con un trauma cervicale. Mi spiace, ma mica ci sei rimasto male. Ovviamente dopo non ho avuto modo di avvertirti. Mi spiace se sei rimasto male. Davvero…
Ecco. Adesso posso scriverlo. Il dramma è sempre dietro l’angolo. Sono una sfigata orrenda. E credetemi non ho davvero più le forze per gestire la mia esistenza. 

Rifocalizzare. 2013

Avevo intenzione di iniziare il 2013 sul blog con una serie di buoni propositi. Ecco i buoni propositi mi servono sempre per iniziare bene l’anno. Ma devo ammettere che i miei buoni propositi sono andati a farsi fottere nel momento esatto in cui ho deciso di metterli nero su bianco. Nella fattispecie vertevano su alcuni punti principali. Prima di tutto cercare una casa nuova. Vivere con un coinquilino etero, calabrese, con la mania della cattiva igiene e simpatico come una diarrea estiva mi hanno convito totalmente a prendere questa decisione. E poi voglio riavvicinarmi ai miei amici. Mi sembra di essere in punizione quassù.

Lontano da tutto e da tutti con troppe difficoltà per parcheggiare. Che sembra una stronzata, ma condizionano inevitabilmente la vita quotidiana. E poi diciamoci la verità, sono stufo di abitare così vicino al lavoro. Non posso mai invitarmi che non mi è suonata la sveglia. Perché qualora fosse anche possibile, in realtà ci metterei comunque cinque minuti ad andare a lavoro. Ecco, necessità anche fondamentale è che devo essere sincero: nonostante io sia in una zona universitaria la media gay è davvero bassa ed orribile. Insomma gay improbabili, nessuno che abbia fatto lo Ied o che prenda lezioni di danza. Anzi a dire il vero  non mi sembra neanche Roma (e in effetti).
Ma se fossero i primi di gennaio parlerei principalmente di una cosa. (Lo so che in realtà è quasi febbraio, ma il tema era questo, non mi angosciate). Ovvero parlerei di come ricominciare da zero. Di come farsela passare (la volpe che non arriva all’uva e dice che è acerba), di come accontentarsi dello stipendio diminuito perché hanno cambiato il contratto (si sa c’è crisi), di come far finta di essere soddisfatti di una vita da single priva di ogni stimolo (no sex in the city vi dice niente?). Insomma di come riuscire a sorridere nonostante tutto. Soprattutto quando sei nell’ultima parte dei venti. Gli ultimi sei mesi per intenderci, prima di passare a trenta.
Ecco, potrete tranquillamente affermare che sono una chiavica e che mi fascio la testa prima del tempo. Ma io vivo di somme, pensieri e riflessioni. Parole, che si infrangono nella mia testa e riverberanofino a sparire. Parole che immagino di dire e che spero mi vengano dette. Parole che mi piacerebbe sentire, che vengano dette proprio a me. E con le quali riuscire ad emozionarmi,  veramente. Così come vorrei. Senza troppe maschere. Ma in realtà a parte Antonio Capitani e Paolo Fox che vedono amori come se non ci fosse un domani, io sono  l’unico a pensare che l’amore così come lo voglio non esiste. Non c’è. E non c’è neanche più nessuno che sia interessato.
Ecco io mi metterei a correre sulla Tuscolana urlando e andando a sbattere contro chiunque. Anche solo per farmi notare. E invece no. Guardo il tempo che sparisce nel tic tac noioso e ripetitivo di un orologio da parete Ikea sperando che qualcuno mi dica semplicemente “Hey come stai?”. Parole semplici. Passi facili e precisi. In realtà mentre io mi rattristo per la poca attenzione intorno a me il mondo va avanti. Ed è proprio questo il punto cruciale e drammatico. Io sono ancora in una stanzetta di cinque metri quadri di Via Giuseppe Acerbi a sognare di diventare qualcuno, mentre gli altri sono già diventati qualcuno. Sono diventati grandi. Si sono fidanzati.  Chiunque si fidanza. Gli improbabili. Gli inaspettati. I meno espressivi. I mostri.
Giudicatemi male. Ditemi soltanto che sono un egocentrico del cazzo. Si. Lo sono. E ne vado anche fiero. Ma non posso resistere a me stesso, non posso far finta che non sia importante perché forse il tempo degli aperitivi e delle single a caccia nell’Upper East Side del cazzo è davvero finito. E forse adesso inizia il momento della sostanza. E per fortuna che ci sono i miei amici. Che davvero senza di loro sarei meno di quello che sono oggi. E non sarei sicuramente felice. Perché nonostante tutto questo marasma riesco ancora a sorridere. Ma non preoccupatevi, tutto ciò serviva solo per rompere il ghiaccio. Il mood è tornato. Ed ora levatevi. 

Ottobre.


La mia famigerata amica Du Barry, era famosa su queste pagine per il suo stendere gli uomini con uno sguardo. In senso positivo, ovviamente. E siccome il tempo passa per tutti, anche la mia amica è diventata saggia. Merito anche della sua psicologa che è una stra quotata nella Roma bene, inevitabilmente parlarci diventa terapeutico, visto che capisce tutto, adesso. E mentre sabato attendevo in trepidante attesa i risultati dei MIA2012 (dove Così è (se vi pare) si è guadagnato un rispettabilissimo, ma ancora non sufficiente, terzo posto – grazie a tutti comunque per i voti!!!), eravamo lì a ciarlare e a giocare alla malata di mente e alla psicologa.
Ovviamente la malata di mente sono io. Ma forse esagero come al mio solito. Sapete parlare con la Du Barry di questo strano periodo che sto vivendo mi ha dato un qualche stimolo. E’ innegabile che siamo sempre più fragili. E quando la fragilità lascia spazio alla totale insoddisfazione in ogni cosa, la necessità di parlarne si fa pressoché necessaria per sopravvivere. Ma sopravvivere a chi? O a cosa? La Du Barry è sicura e certa quando afferma che prima di tutto devo smetterla e provare ad essere felice e soddisfatto anche da solo.
In effetti, chiunque, conoscendomi potrebbe pensare che il mio stato attuale sia dovuto soltanto alla mancanza di una persona in particolare. Non è così. Non è lui il problema. Lui è lontano, fidanzato, felice e spero anche realizzato. Per quanto possa torturare me stesso sul fatto che lui mi ignori, in qualche modo, lo comprendo benissimo. Ognuno ha le proprio responsabilità. E in qualche modo non gli dò neanche tutti i torti. Certo se venisse qui a dirmi che ne vuole da me forse non saprei proprio come poter reagire, ma sono certo che ciò non accadrà mai. Ciò nonostante non è lui il problema.
Non sto soffrendo per lui. E’ possibile che il problema debba per forza ruotare intorno alla mancanza di un fidanzato. E’ davvero così importante? O meglio, deve esserlo? Insomma perché per me lo è almeno. Lo stimolo è arrivato soprattutto su questo punto. Perché senza uno stramaledetto +1 mi sento perso e inutile al genere umano? Badate bene, quando questo blog faceva sorridere perché scrivevo cose allegre ero comunque single. Ma avevo la speranza. E gli amici, che forse l’avevano più di me. Poi però le cose cambiano. Per cui mi viene a mente che forse gli amici tocca pure sceglierseli bene. E forse io questo non l’ho mai fatto in maniera oculata. E’ verità.
Anche se l’aspetto terapeutico dell’aver parlato con la Du Barry sta principalmente in una frase che mi ha detto: “Tocca tirarsi su le maniche. E finirla di dire e fare cazzate. Abbiamo trent’anni, cazzo. E a trent’anni ci si aspetta che almeno uno sia realizzato. E dobbiamo essere felici. Per cui se qualcosa non va, tocca conquistarselo. Ora. Adesso. Poi non ha più senso, e il tempo passa e ci mette davvero poco a volare. Capisci?” Si. Lo capisco. E quindi? Tocca davvero tirarsi su le maniche e ricominciare a vivere perseguendo degli obiettivi. Che poi sarebbe normale. E invece.
Certo è che mi viene da pensare soltanto che si, in qualche modo siamo davvero cresciuti. E che forse, il tempo per certe cose è davvero finito. Insomma io non mi ci immagino a quarant’anni in giro per locali a rimorchiarmi la qual si voglia. E forse sarà davvero quello il mio triste e inaspettato (!) destino. Ma io tendo sempre ad esagerare, o forse no. Forse in questo mio riflettere su queste cose sono in qualche modo oculato. Ma chi lo sa. Sento soltanto, per la prima volta, di essere la persona sbagliata, nel posto sbagliato. E di vedere poche uscite di sicurezza.
E che in qualche modo sia davvero arrivato il momento di reagire in maniera decisa. E prendere una posizione. Questo me lo devo. E lo devo a chi tiene alla mia felicità. E saranno anche un numero di persone che non superano una mano, ma non me ne voglio affatto lamentare. Anzi. Forse il problema mio è che non riesco a sopravvivere a me stesso. Nel senso che dovrei finirla di tormentarmi ed iniziare a vivere. Davvero. E questo in soldoni è stato quello che la Du Barry mi ha detto. Ma tra il dire e il fare, ce ne vuole, ed intanto un altro week end è passato, ed io sono rimasto a casa a fare la muffa.

Ma è già ottobre. Ed è tutta un’altra storia. Me lo  auguro, almeno.

Riflessioni contorte.















Bene bene. Sono ufficialmente il miglior nemico di me stesso. E scusate se lo ammetto candidamente. Questo di certo non allieva la pena. Affatto. Anzi. La consapevolezza in un caso del genere, peggiora soltanto le cose. Ed è peggio perché essere consapevoli di dire una cosa, e fare l’esatto contrario vuol dire prima di tutto non volersi bene. E non volersi bene, bè, non è una cosa per niente salutare. Insomma si può essere coscienti di non volersi bene, e continuare a non volersi bene? Con quali presupposti posso rincollare i pezzi? Ecco, a proposito di questo, non sono neanche troppo d’accordo nel rincollare i pezzi. Insomma è una cosa un po’ da sfigati.
O almeno, questo è quello che ho sempre pensato. Ma devo ammettere che rincollare i pezzi è coraggioso. E visto che non faccio neanche questo, forse sono doppiamente codardo. Ecco, c’è chi passa il tempo a far finta di ascoltarmi. Di capire. Di comprendere. E forse neanche a me va più di spiegarmi. Perché poi lo faccia qui, bè è di fatti un mistero anche per me. Ma forse, millanto una difficoltà a comprendermi spacciando addirittura a me stesso di essere contorto, quando in fondo sono come tutti. In crisi. E le persone in crisi fanno cazzate. Ebbene io sono inutile anche in questo. Perché non faccio proprio niente. Anzi no. Mangio. Qualsiasi cosa. Adesso non voglio fare la parte della bulimica. Che è una roba serissima.
Però essere aumentato vertiginosamente di 10 kg in un paio di mesi per me è indice di qualcosa che non va. A volte mi chiedo se tutto questo essere da un’altra parte sia effettivamente colpa di qualcuno. Oppure, sia semplicemente colpa mia. Mi trovo a scagionare chi so io, e ad incolpare me stesso di tutto. E a dover subire questo processo a me stesso completamente da solo. Vittima e carnefice. E poi di persone che ascoltano, ce ne sono pochissime. Ci sono quelle che sentono. Ma per quelle che sentono deve andare tutto bene. Allora sorrido, e fingo che vada tutto bene. Che è un’altra cosa di cui non vado affatto fiero.
Mi chiedo, spesso, se c’è qualcuno che farebbe come me se io avessi un mio amico nella mia stessa situazione. Periodo semplice. Ma penso abbiate capito. Io farei davvero qualsiasi cosa. Ma se quell’amico sono io, perdo interesse. A volte penso di essere troppo pesante. O forse troppo superficiale. Altre volte ancora credo fermamente di essere io quello rompiballe. Non è possibile che ogni giorno che io mi sveglio sia una fottuta giornata no. Ogni singolo giorno non vedo l’ora di uscire dal lavoro perché nel tempo del tragitto fino a casa io mi approprio lentamente di una sorta di pace, che svanisce appena rimetto piede in casa. Si, non ho pace.
Mi tormento. Mi chiedo ripetutamente se le scelte fatte fino ad oggi siano state frutto di mie reali decisioni, o semplicemente dettate dal momento che vivevo. E questo mi fa pensare che ipoteticamente, forse, che in realtà non ho mairiflettuto davvero. Altrimenti ora non sarei qui a fare questo discorso. Non vi sembra? Insomma di colpo è possibile che la mia vita mi faccia talmente schifo e in ventinove anni io non ci abbia capito mai un cazzo di niente? Ebbene la risposta è si. Adesso che, per l’ennesimo post vi ho frantumato le palle, e che per l’ennesima volta, non trovo un finale degno, chiudo semplicemente chiedendomi se in fondo non sono come tante altre persone in giro. Ma non sono convinto ancora.
E prima o poi, ci sarà qualcosa per cui valga la pena sorridere. Lo so. Comunque l’obiettivo era???… ricominciare. Si.