La rivincita delle bionde

Esistono situazioni delle quali non sappiamo mai l’evoluzione. Soprattutto mentre le stiamo vivendo. Vorremo magari che andassero in un modo specifico. Ma a volte accadono cose inaspettate. Esattamente ciò che mi è successo qualche giorno prima della fine dell’anno. Ero in Abruzzo, in terra natia per le vacanze, e sopraffatto dalla noia mi facevo passare il pomeriggio girando su Gay Romeo. Adesso, permettetemi l’excursus: non ricordo quando mi ci sono iscritto, ma ero ancora a casa, ed ero forse l’unico che aveva messo la foto vera. Infatti online trovavo solo mezzi busti e dettagli di corpi umani.

Così quando, nel 2012, ricevo un messaggio da una testa mozzata quasi trasalisco, e penso “Come cazzo è che dopo dieci anni quasi esiste ancora gente che non mette la foto sul profilo?”. Decido di dare una chance a quella testa mozzata. Insomma, il corpo che mi si presentava non era niente male. Cominciamo una conversazione sul chi sei, che fai, dove vivi. Pratica e insignificante allo stesso tempo. Ma ero già molto annoiato. Insomma, non penso potesse peggiorare. Poi mi sono deciso. “Mi mandi una foto?”. Lui, senza neanche darmi il tempo di finire di pensare la domanda mi invia la sua foto. In costume. Splendido. Bono.

Ma non era un volto sconosciuto. Sapevo chi era. Lo avevo già visto. Anche se non avevo la più pallida idea di come si chiamasse, né me lo riuscivo a contestualizzare. Deciso a non morire di noia a tutti i costi, ho ceduto al suo invito. Un caffè (#credeghe). Detto, fatto. Lo raggiungo a casa e mi accomodo. Lui gentilissimo mi parla di questa casa che ha ristrutturato un anno prima, e me la mostra. Mi dice che ha speso un botto, anche se è contento di viverci perché gli piace e gli piace la sua indipendenza. Insomma tutti discorsi di cui a me fregava proprio tanto. In realtà io pensavo solo a dove lo avevo visto. Non me lo ricordavo affatto.
Mi dice che ha 36 anni, è impiegato nella pubblica amministrazione e purtroppo a breve si dovrà ritrasferire perché ha ottenuto un periodo determinato a Pescara. Niente io ancora ricordavo chi cazzarola era. E ci spostiamo sul divano dove continuiamo la conversazione. Mi chiede di me, della mia vita, e del mio lavoro. Mi dice che vuole una storia seria e duratura, e che gli piacciono i quasi trentenni. Mi veniva da dirgli che io trent’anni, grazie al cielo ancora li ho compiuti né tanto meno li dimostro. Ma questi son dettagli. Non sapevo ancora con chi diavolo stessi flirtando da venti minuti. Eh si, io flirtavo alla grande.
Poi. Un vago ricordo. Una discoteca e lui che si dimena. Mmmmmm. Mentre me lo ricercavo nella mia testa, lui insorge e mi dice “Tu mi guardavi sempre male quando ti beccavo in giro. Forse perché stavo con quel ragazzo…” Io indifferente. “Cioè quale ragazzo?”. “Quello che faceva l’avvocato…”. Valalalasss. Ecco chi cazzarola è. Era il fidanzato del Perfido Avvocato di Campagna. Del quale io ero follemente innamorato, e dal quale mi sono quasi beccato una denuncia perché non lo stalkeravo proprio per niente. E non ultimo, ultimamente me lo danno fidanzato con un ragazzino di 18 anni. Altri dettagli.
Appurato finalmente chi era, mi giustifico dicendo che mi piaceva da pazzi l’avvocato. E ne avrei sempre voluto da lui. Naturalmente chiunque se lo limonava era un mio acerrimo nemico. Bene. Mentre pensavo a quanto lo odiato, dolcemente mi avvicina le sue labbra alle mie, e mi schiocca un bacio lungo, mozzafiato. Ottimo. Con un alito profumaterrimo. Io quasi svengo e trasalisco. Non me lo aspettavo. E non mi è dispiaciuto. Quello che è successo dopo lo potete ovviamente solo vagamente immaginare. Ve lo potreste immaginare in camera da letto, poi al bagno ed infine in cucina. Una casa davvero carina.
Ed accogliente. Ovviamente una vera e propria rivincita. 

L’avvocato di Piazza Mazzini

Tutto quello che c’è da sapere sulla famoserrima legge di Murphy, è che quando proprio non pensi che una cosa accada, quella succede. E viceversa il contrario. Per cui, secondo questo contorto principio diviene letteralmente improbabile fare previsioni. E se una cosa deve accadere, senza che tu l’abbia mai considerata, quella accade e ti stupisce. Ok, tutto questo contorterrimo preambolo per introdurvi questa simpaticissima storiella di qualche tempo fa. Dopo un’orrenda e pesante mattinata di lavoro, ed un’inutile pomeriggio passato a sentire una psicologa sarda che parla di improbabili teorie, inattuabili nel mio ambiente lavorativo, vengo chiamato a rapporto dal mio mega boss.
“Mi deve fare una grande cortesia questa sera”. Questa sera? Che pizza questo orribile vecchietto con problemi di sciatica pronunciata, penso. “Alle 19 circa dovrebbe raggiungere il nostro avvocato per la causa contro l’assicurazione e dargli tutte le informazioni che servono”. Ecchecazzo penso. Adesso mi ci manca anche il domiciliare dall’avvocato. “Deve andare a piazza Mazzini, ok? Penso che non ha problemi!” Certo, io mica ho una vita inutile e orribile da non vivere. Io sono solo il suo zerbino, sottopagato che deve sbrigarle tutti i suoi inutili e inesistenti problemi. Essere inutile e fuori luogo. “Ok, spero di non fare tardi, allora vado!”.
Fuggo a casa, doccia e scappo verso piazza Mazzini. Zona che adoro e conosco visto che ci ho vissuto per un anno e mezzo circa. E se tutto va come deve andare a breve ci torno. Comunque arrivo, trovo subito parcheggio (incredibile), decido di fumare una sigaretta e accendo grindr per ingannare l’attesa. Noto che dall’ultima volta che ci sono stato c’è stato anche un notevole ricambio. Ma la cose che mi stupisce è che ad un metro da me ci sono ben due persone. Vabbè, non è il momento, sono le 19 passate, finisco la sigaretta ed entro nel palazzo. Al primo piano c’è questo fantasmagorico studio di avvocati, e appena entrato almeno tre di loro stanno andando via.
“Sera, senta io avrei un appuntamento per nome e conto di quell’idiota del mio capo supremo… Mica è tardi?” (ovviamente non ho detto proprio così!). “Certo che no, venga si accomodi qui sul divano, a breve il mio collega la riceverà”. Dice questa sorta di Allie Mc Beal di Crotone. Entra e avverte il suo collega, che però non riesco a vedere dallo spiraglio della porta. Lo studio è tempestato di quadri e drappi che mi sembra l’ottocento in un secondo. Mi metto a giocare a Robot Unicorn per scacciare la noia che già mi si palesa dopo solo cinque minuti di attesa. Che palle. Anche se dall’interno sento solo l’incessante battere dei tasti del pc e pochissime parole.
Venti minuti dopo. 19:45. Decido che ne ho quasi abbastanza. Insomma, che cazzo di palle. Ma ti vuoi muovere avvocato del cazzo di piazza Mazzini? Ma chi ti s’incula. Spazientito e affamato, dopo una giornata nettamente orribile sopra la media. Metto il telefono nella tasca della borsa e spazientito mi alzo per sgranchire le gambe. E finalmente, la porta si apre. Era ora. Escono tre mignotte (d’altronde siamo a Prati) e si affaccia questo avvocato. E valalalasss. In realtà più che un avvocato davanti a me avevo un adone bono da soffocare e svenire all’istante. Alto, castano/semibrizzolato, occhio verde sui 38/40 anni, tonico quanto basta. Sorride.
“Salve, posso?”. “Certo prego! Scusami per l’attesa, ma è stata una giornataccia”, abbozzando un mezzo sorriso ed indicandomi la seduta con la mano. Mi siedo e appoggio sulla sedia affianco a me la borsa. “Si non si preoccupi, è stata una giornataccia!” Concordo sorridendo. Lui in camicia bianca, giacca e cravatta, si libera subito dell’inutile soprabito e mi indica la cravatta sottolineando “Mica dispiace se me la tolgo?”. Per me puoi toglierti tutto come se non ci fosse un domani. “Ma certo, si figuri” dico in realtà! Abbozza un sorriso e comincia a farmi una settantina di domande inutili e noiose su persone, dichiarazioni, cose accadute e assicurazioni. Ovviamente io rispondo prontamente.
Finito l’interrogatorio durato almeno altri venti minuti, finalmente il bell’avvocato si rilassa un attimo. Apre un cassetto alla ricerca di qualcosa. Estrae un pacchetto di sigaretta e tenendolo tra le mani mi chiede se mi da fastidio. “Assolutamente no, solo se posso fumarmene una anche io” rispondo prontamente. Lui annuisce in un sorriso dolcissimo. Io mi asciugo la bava alla bocca. E con la coda nell’occhio, immaginate dove cade la mia attenzione? Sul suo pacco, ovviamente, visibile per via della scrivania di vetro. Ma subito cambio direzione. Insomma, ci manco solo che mi sgama. Mi accendo la sigaretta e lui si alza per avvicinarmi il posacenere. “Comunque puoi darmi anche tu del tu, sei così giovane…” dice, e mentre si risiede non può fare a meno di ravanarsi il segreto Augello.
Sorrido. E comincio a preoccuparmi. Quest’uomo spruzza ormonella da tutti i pori, ed io comincio a dare di matto. Come sempre. Intanto si risiede e rilegge tutto quello che ha scritto al pc. Io cerco di concentrarmi, ma l’occhio ricade sempre sul suo packaging interessanterrimo. Lui se la legge e fuma, e poco a poco inizio a sentire caldo. Ecco sono una zozza, sfigata e orrenda. Finisce finalmente di leggere questo cazzo di verbale e zac. Un’altra ravanata al pacco. Ma perché, mi chiedo al limite di una crisi epilettica? Quando, finalmente, inaspettatamente e sorprendentemente avviene la svolta.
“Ma lo sai che hai un viso conosciuto?” mi dice aggrottando le sopracciglia perfette che io leccherei all’istante. “Ma, non so.” Rispondo con poca sicurezza. Insomma mi sarei ricordato di un toro del genere. “Si eppure io sono convinto di averti visto da qualche parte… Non ricordo assolutamente dove però”. Io non rispondo. Esito, non so che dire. Insomma ma dove mi hai mai potuto vedere. Proprio in quel silenzio, mentre attendeva una risposta da me, il dramma si palesa come se non ci fosse un domani. Come se ci fosse solo la fine. Dal mio telefono arriva un messaggio su grindr, con il suo indiscutibile e riconoscibile suono. Io rimango vago, ma un ghigno si disegna sul suo volto.
“Ah. Ecco, adesso ci sono. Adesso ho capito tutto”. Io non oso immaginare. E non voglio immaginare che sia così. E invece. “Ho visto la tua foto su grindr, quel suono è inconfondibile.” No vabbè. Lo guardo seriamente, prendendo il telefono: “Dove? Ma non so proprio che cosa intendi”. Falsa come le mille lire, sblocco il mio iphone, e di conseguenza apro l’applicazione e lì a un metro di distanza la foto di un petto tatuato e villoso. Pallino verde. Ussignur ma è proprio l’avvocato che ho di fronte a me. E zac, nuova ravanata a quel pacco devastante. Che visto così, bè ecco, era molto più grande di prima.
Insomma mi stavo mettendo nei guai. Di lì a poco, la legge di Murphy di cui sopra trovo pieno compimento. “Guarda che non c’è niente di male”. Io diventavo rosso. Ma l’ormonella stava arrivandomi alle orecchie. “Io non ti capisco. Cos’è non hai le palle?”. Mi chiede. “Ma no, non è questo. Che discorso è poi questo, che c’entra?”. Rispondo cercando di calmare le acque. Insomma, non ero molto in vena, come forse ben sapete. E invece, no. Perché il mio interlocutore era in piedi intento a scartare quel suo pacco sottolineando, seriamente, “Vedi, io le palle le ho!”.
E che palle. Delle grosse enormi palle, contornate da un’enorme ed eretto pene. Insomma. Non avevo davvero parole. E infatti avendole finite, sono passato ai fatti. E che fatti. Prima ci siamo baciati a lungo, per poi passare a grandi acrobazie nel corridoio. E sul divano della sala d’aspetto. La cosa più sorprendente è che ha tirato fuori da un cassetto preservativo e lubrificante. Organizzaterrimo. E bè poi non credo ci sia da aggiungere molto altro, se non che finalmente ne abbiam fatte davvero di ben donde. Finito il circo, però ci siamo dati appuntamenti il mese prossimo, perché in fondo, dovrà farmi sapere cosa risponde l’assicurazione. Ed io, muoio dalla voglia di saperlo. Assolutissimamente.

La figura di merda definitiva

Di solito penso una cosa e la faccio. Ma ieri il telefono è stato più veloce del mio pensiero. Dall’altra parte della città infatti, un mio conoscente, per tutti voi l’ingegnere Corelli, un ingegnere vagamente somigliante a Nicolas Cage con un gran bel mandolino, mi chiama e mi chiede quali programmi avessi per il pomeriggio. Il mio unico programma era fare sesso. Ovviamente non sapevo ancora con chi. Ma l’ingegnere Corelli poteva andarmi più che bene. Anche se non avrei dovuto accordargli un’incontro visto che sinceramente mi sarei aspettato un po’ più di considerazione da lui nell’ultimo periodo.

Ma è logico. Quando si è solo trombamici con incontri periodici è difficile superare il confine, ed andare oltre. Io non ho ancora capito come si fa a zompare questo gap. Ma sinceramente mi andava bene anche solo zompare e basta. E forse era quello che voleva anche lui. D’altronde perché doversi confrontare in una relazione quando ci si può solo vedersi e scopare. Comunque io al telefono mi sono tappato la bocca. La carne, oltre che tanta, è debole e la voglia oltre se me lo permettete è anche più fetente. Comunque non avevo voglia di fare tutti questi retro pensieri. Avevo solo voglia di fare sesso. Dell’ottimo sesso.

Dopo circa un oretta eccolo arrivare. E’ venuto persino con l’elmetto del cantiere in testa. Questa cosa mi ha fatto davvero molto ridere. L’ingegnere è famoso per farmi ogni volta una sorpresa diversa. Una volta si è messo uno slip commestibile. Si, giuro. E’ venuto con questo slippino rosa che sapeva di caramella gommosa alla fragola e il cambio per il post. Mi faceva ridere. E nonostante sapevo di andare incontro a un mal di pancia assicurato io me lo sono mangiato tutto lo slip. Insomma non solo. Ma l’ingegnere mi piace anche perché mi fa ridere. Mi prende in giro, con ironia. Riesce ad essere simpatico senza essere ridicolo facendomi ridere di gusto.

Una qualità che a me ha sempre colpito e interessato in uomo. Ogni volta che lo incontro poi mi rendo conto che si tratta di incontri unici. Dolci. Passionali. Insomma ci sa davvero fare. E anche ieri non è stato affatto da meno. Ci siamo dedicati per circa un’oretta ad assaggiarci. Mi piace quando lo fa. Oltre a baciarmi con passione. Mi mordicchia le labbra, le orecchie, il collo. Mi bacia. E poi passa a baciare tutto il resto. Io trovo che sia un modo estremamente dolce di approcciare. Perché se non ci si annusa prima come si fa a fare tutto il resto? Poi ovviamente questi bacini e morsetti mi fanno sentire sempre un brivido. E quando dico che lo fa dappertutto intendo davvero dappertutto.

Di li a poco siamo passati a fare anche tutto il resto. Insomma il menù, nonostante la fantasia e le intenzioni, è sempre quello. E dopo aver raggiunto entrambi la casa base abbiamo deciso di fare un bel bagno insieme. Nonostante lui sia altro un metro e novanta e a stento la mia vasca di bagno ci conteneva entrambi, siamo riusciti a mantenere questo rito. Che devo ammetterlo a me piace da morire. Tra l’altro quando facciamo il bagno insieme lui è sempre ricco e pieno di gesti carini verso il sottoscritto. Che so mi insapona. Mi massaggia. Mi bacia. Quanto mi piace. E con quelle enormi mani che si ritrova non ci vuole niente a passare da un massaggio a dell’ottimo sesso sotto la doccia.

Zac. E due. Insomma. Sfido chiunque a non rispondere al telefono quando vi chiama un tipo del genere. Dopo la seconda sotto la doccia, io ho fatto la buona padrona di casa. Come sempre. Anche se lui mi ha proibito di rivestirmi. “Mi piace vederti girare nudo.” Tra le varie e differenti richieste che mi fanno in passato questa mi è sembrata la più casta mai ricevuta. Detto, fatto. Insomma, in fondo gli piacevo. Per cui usciti dal bagno sono rimasto così com’ero. Nudo. Mi sono acceso una sigaretta e gli ho chiesto cosa volesse, se caffè o qualcosa di fresco. Lui ha scelto del the freddo al limone.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere vaghe intervallate da baci e limoni pienamente soddisfacenti e poi si e congedato. Ha rimesso in testa l’elmetto giallo, preso le chiavi e lo accompagnato alla porta. Ciao, ciao. Il tempo di girarmi e fare per prendere le chiavi per chiudere la porta e suonano il campanello. “Avrà scordato qualcosa” dico tra me e me, e ancora nudo apro la porta. Proprio in quel preciso istante ho capito di essere incappato nella più grande figura di merda mai fatta prima. D’ora in poi tutte le altre figure che avevo fatto sarebbero state nulla pari a questa. Avevo creato un nuovo altissimo punteggio nella classifica delle figure di merda.

Se all’ingegnere piaceva che io girassi nudo per casa, avevo fatto anche di più. Ora ero nudo con la porta aperta, sul pianerottolo di casa, a piano terra. Ma davanti a me non c’era l’ingegnere che io credevo fosse tornato a prendere qualcosa che aveva scordato. Di fronte a me c’era un ragazzo sulla trentina non molto alto in giacca e cravatta, sudacchiato e con una borsa a tracolla. In una frazione di secondo durata una vita ho pensato tre cose: 1) Perché non hai usato lo spioncino, coglione! 2) E se arrivasse qualcuno e mi vedesse così oltre a lui? 3) Però, il mio pene sembra più grande di quello che è normalmente.

Pensieri spazzati via da lui che mi guarda, visibilmente sorpreso e sentenzia: “Ah però…”. Con il volto viola di vergogna e la necessità di porre a fine a quella clamorosa caduta di stile (!) chiudo la porta. Torno in camera da letto, ancora teatro del sesso con l’ingegnere e metto una canotta a strisce grigio e bianco e il di sotto del pigiama con le ancore che mi ha comprato mia madre (!!) e riapro la porta. Non chiedetemi per quale motivo io l’abbia fatto. Insomma forse ero meglio nudo. Con la testa bassa e la vergogna sulle gote ho farfugliato qualcosa. “Scusi, non pensavo fosse lei, insomma credevo fosse qualcun altro, altrimenti… Ecco… Non sono mica solito… Voglio dire, non apro mai la porta di casa nudo a chi non conosco… Cioè anche a chi conosco… Cioè… Ok. Mi dica”.

Forse era meglio stare zitti e ascoltare ciò che volevo. Si. Di gran lunga meglio. “Sono dell’Enel,” e sottolinea il cartellino appuntato sul petto con il dito medio, “cercavo l’intestatario dell’utenza. E’ lei?” No. Rispondo a gesti scuotendo la testa a destra e sinistra. “Suppongo che non viva qui con lei, vero?”. Rispondo di si. Senza emettere un suono. “Allora nulla. Non posso che ringraziarla e salutarla. Le auguro un buon pomeriggio e le consiglio di usare lo spioncino la prossima volta!”. Sorrido, amaro, ringrazio e saluto. Nonostante io chiuda la porta continua a sentirmi la faccia in fiamme per la vergogna. Si, credo di aver battuto il record delle figure di merda. E poi non ditemi che il dramma non è dietro l’angolo. O dietro le porte. Direi.

L’importanza di avere un procuratore sessuale – Parte Prima


Credo di avere un procuratore sessuale. Si. Dunque partiamo dal principio. Quando ero una ragazza di Prati, ovvero due anni fa oramai, ho conosciuto questo tipo al bar di Piazzale Clodio. Io avevo preso un caffè. Lui mi fissava. E poi ammiccava. Pelato, bel fisico, leggermente oltre i trentacinque un po’ più basso di me, ma in definitiva non male. Ma ero in un bar, ed erano le 10:30 del mattino, dettagli che non mi davano, ancora, alcun sensore di quello che sarebbe successo. Quella mattina andavo anche abbastanza di fretta poiché avevo ben tre case in zona da vedere. Per cui finito il caffè l’ho lasciato in quel bar. Ma quasi immediatamente mi sono reso conto che il tipo mi stava seguendo.

Ho ovviamente fatto il vago. Volevo vedere fino a che punto. E il punto lo ha messo egli stesso dopo circa venti minuti in cui mi seguiva per strada. Mi ha fermato con una sigaretta tra le dita: “Scusa, avresti da accendere?”. “Si certo” rispondo sempre più vago, ma in men che non si dica mi sono sentito in dovere di puntualizzare che se c’era una stalker, sicuramente, ero io: “Certo che a quanto a fantasia siam messi proprio bene, è da almeno tre ore che mi segui, non hai avuto modo di elaborare niente di meglio? Suppongo che hai qualche curiosità?”. Si. Ho letto il panico nei suoi occhi. Panico e sgomento. Sicuramente non si aspettava una risposta del genere. E infatti si è fatto subito rosso in faccia, e una testa pelata tutta rossa è sicuramente più appariscente di un normale imbarazzo.

Dopo qualche secondo per capire dov’era e cosa stava facendo ha rotto ogni indugio: “Bè se la metti su questo piano, dal momento che ti ho visto mi è venuto duro, e pensavo ad una scusa per invitarti da me, visto che abito qui nei paraggi”. Apperò. Al Principe è caduta la corona. Ma come è possibile che esistono persone che ti abbordano così. Insomma offrimi un succo di frutta alla banana con un cubetto di ghiaccio e un’idea di latte (il mio preferito) e fammi fare quattro risate. Fammi capire che ti piaccio in un modo più carino e poi forse un giro di svalalalasss ce lo facciamo pure. Ma fine a che punto siamo arrivati? E come ci siamo arrivati, soprattutto? Avevo deciso di tirarmela, e non poco. Perché mi rodeva il culo.

Perché ancora trovavo una casa sufficientemente economica e decente. Per cui, avevo deciso, che lui avrebbe pagato per tutti gli altri: “Ti ringrazio per l’invito ma oggi ho troppo da fare, magari un’altra volta, con un invito diverso anche, ovvio che mi fa piacere se ti è venuto duro, però ecco avevo in mente qualcos’altro…”. Ottimo. Si. Equilibrato ma non acido. Il giusto compromesso. E lui: “Bè, ho capito, forse sono stato un po’ inopportuno. Posso chiederti il numero, magari ci sentiamo con più calma?”. Solo un po’ inopportuno? Io direi tanto. Ma non è questo il punto. “No guarda non credo sia il caso, poi, ecco, ultimamente mi sento con una persona e non mi va. Semplicemente”. Bè sono stato anche fin troppo diplomatico, penso. Ma lui insiste.

“Ah e che problema c’è? Io anche sono fidanzato!”. Senza vergogna. Ero quasi pronto a una mega venduta di pesce per strada. Pronto a far girare i pedoni e a far fermare le macchine. Pronto a cantargliene quattro sul come si sia permesso di rompermi le palle, e sul “piccolo” dettaglio che riguardava il suo fidanzato. Quando lui mi interrompe, di nuovo, con una domanda a trabocchetto: “Dammi almeno il tuo contatto msn, e facciamo due chiacchiere lì, così tanto per conoscerci”. Decido, per cui, di volermelo togliere di mezzo con il contatto e fuggire nella direzione opposta per seminarlo definitivamente. Ripromettendomi di non accettarlo mai tra i miei contatti per nulla al mondo. Lo saluto e mi congedo. Addio.

Sei mesi dopo. Una caldissima domenica di agosto, mentre mi infilavo ghiaccio nelle mutande per sopravvivere al caldo tropicale della capitale ricevo una notifica su msn: “Arnaldo (nome di fantasia inventato per l’occasione) vuole aggiungerti ai suoi contatti”. E chi straminchia è, adesso, Arnaldo??? Vabbè accetto. Comincio a parlare del più e del meno con tale Arnaldo, che mi dice di amare gli animale e di avere un cucciolo di fox terrier, che abita a Prati e fa il commesso in un negozio di animali. Che dolce, penso, ama gli animali. Gli chiedo dove abbiamo scambiato il contatto, e mi racconta di una giornata fredda ma soleggiata di metà febbraio, in cui in un bar di Piazzale Clodio gli è venuto duro mentre mi guardava bere un caffè. E figuriamoci se avessi preso un cappuccino!

Immediatamente il cervello mi ha fatto clac. Ed ho ricollegato l’essere in questione. Ma da quel giorno afoso ci sono state solo chiacchiere. Fino a quando capita l’antifona ha cominciato a introdurmi ai suoi amici. Bè ottimi amici, direi. I migliori. Una serie di toroni ignoranti che ne avevano davvero di bendonde. Personaggi rupestri, e dediti alla palestra e al rimorchio. E mentre io accettavo contatti su msn, lui poco a poco diveniva, senza che io lo volessi a dire il vero, una sorta di procuratore sessuale. Il tempo poi è volato, e in quasi due anni di planning organizzati per vederci alla fine l’ho sempre solato. Fino a quando lo scorso aprile, complice la mia solita isteria per un interesse non corrisposto, ho mollato la presa. Gli ho finalmente accordato un incontro.

Tutto il resto però ve lo racconto nel prossimo post, solo ed esclusivamente perché devo cominciare a scrivere post più brevi, e forse, è proprio il caso che io cominci proprio oggi, si si si! 😉

Ebbene tutto è pronto! Dalle 23.30 till the world ends, questa sera al Rubik in Via di Libetta 13, sarà Popslut! Preparatevi, perchè ci saranno movenzepop e limoni ininterrotte! E per tutte le info ufficiali, comunque vi rimando qui. A stasera!

Una calda serata, e poi, il Signor Bollore! Eccolo qua!

Ok. Lo ammetto. Riesco a mettermi nei guai manco fossi un bacillo di citomegalovirus. E chiunque non lo conosca, credetemi, è fortunato. Ma andiamo con ordine, altrimenti questo capitolo della mia esistenza vi apparirà più contorto e sgrammaticato che mai. L’antefatto. Qualche tempo fa in una calda domenica di luglio io ed un amico siamo andati a casa di altri amici per espletare dei lavori tecnici. No, non era un’orgia. Lavoro. Giuro. Lì nella quiete di quella casa nella semi-periferia romana in costume e ciabattine si agitava la mia prossima vittima. Ovvero, il signor Bollore. Così chiamato per la sua vaga somiglianza a quel dottore più famoso. E poi perché, ecco, tanta roba.

Ma comunque in quel pomeriggio, a parte battutine, allusioni e simpatiche inutili wakalalas pre-finale dei mondiali non abbiam detto né fatto altro. Lui era lì, col il suo testosteronico corpo e la sua simpatia contagiosa che faceva commenti a quello e quest’altro che io dicevo con i miei amici, poco più in là nel salotto. Particolare da non sottovalutare, è che il signor Bollore è plurifidanzato. Ma questo è un dettaglio che io voglio assolutamente tralasciare. L’ho promesso quello stesso pomeriggio a Ga, dopo l’incontro scontro con quel po po’ di ometto (e che po po’) che sarebbe stato mio. Anche se i dettagli del come, dove, quando e soprattutto perché mi erano sconosciuti. E sottolineo perché.
Ma il tempo, si sa, è tiranno e le due settimane successive sono volate, settimane in cui io non l’ho minimamente sentito, non che a dire il vero ci abbia pensato chissà quanto. Infatti mi sono ben volentieri intrattenuto con uno stallone, molto noto agli appassionati di fiction, poiché attore di una nota serie tv, che oltre ad averne di bendonde, è anche un manzo inaspettatamente porcelloso proprio come piace a me. Anzi, gli piaccio pure io. E credetemi, son stati pomeriggi davvero molto caldi sotto le mie lenzuola, e non solo. Ecco. Ma di lui vi dirò in maniera più approfondita nel prossimo post. Fino a un giovedì notte in cui Annabelle Bronstein e il signor Bollore in una vaghissima chattata faccialibriana di pochissimo conto hanno scambiato un numero di telefono. Ovvero lui ha preso il mio.
Senza successo però. Lui non si è minimamente interessato a quelle dieci cifre magiche che unite compongono il mio numero. Un numero verde quasi per la sua semplicità. Forse non ha capito bene come digitarle sul suo telefono, penso. Ecco perché adoro avere un menù vocale richiamabile dal mio iphone. Ma questa è un’altra storia. Un po’ deluso da quel suo non cercarmi il sabato sera (scorso) è arrivato e i miei amici mi hanno proposto un’economicissima serata Muccassassina alla festa dell’Unità. Arrivato lì, devo essere sincero, mi sono un po’ rotto le balle, perché il rimorchio era assente, e il dancefloor talmente affollato da rischiare di divertirsi parecchio. Abbandonata quella bolgia, però il mio occhio, lungo si è fermato dietro il palco.
Lì, come parte integrante dello staff, giaceva il mio signor Bollore, che se la intendeva con la qualunque. La serata ha acquistato un sapore totalmente diverso. Ho cercato di introdurmi clandestinamente in quello spazio riservato, ma nulla. Quei buzzurri non erano a conoscenza di chi io fossi. Fottetevi. Allora mi sono messo di punta e ho atteso. Alle 2 passate finalmente l’ho avvicinato e invitato a bere una cosa. Ovvero io ho bevuto un simpatico negroni molto alcolico. Molto. Lui una cosa davvero analcolica che il solo nominare mi fa vergognare di essere ciò che sono. I discorsi diversi, he non vi sto a dire, però hanno cominciasto a scricchiolare su una sua frase che mi ha destabilizzato molto. “Si vede che ti garbo una cifra”.
Mmmmm. E io a ruota libera. “Certo. Mi piaci. Una cifra adesso non mi pare. Insomma manco ti conosco. Comunque io sono una persona molto diretta e sincera. E devo ammettere che si, mi piaci.” Insomma era chiaro che lui aveva un’alta considerazione della sottoscritta. Ma il dramma è sempre dietro l’angolo. E le sue parole successive sono state devastanti: “Be’ io ho un po’ lo spirito della crocerossina”. Ecco le parole che mai vorresti sentire. Preso da un momento Kill Bill lo avrei preso a calci in faccia con qualche strana mossa di okuto o o balletto dannatamente pop per stenderlo. Ho subito pensato, ma questo da dove ci è venuto. Se qui c’è una crocerissina, quella sono io.
E comunque non mi pare affatto di necessitarne. Affatto. Dopo questa scivolata, io mi sono ripromesso di non osare alcun che. L’ombra del suo ragazzo c’era e si avvertiva anche molto. Ma io volevo che fosse lui a tendermi una mano. E lui, suo malgrado ha teso qualcos’altro. Non vi spiego cosa, ma era molto interessante. E lo ha teso là. In public. Io quasi viola, rossa e fucsia ci ho messo una mano sopra. Taste is better, you know. Ma a quel punto di cosa altro avevo bisogno? Sciolta come una cavalla pazza e vogliosa l’ho trascinato dietro il casotto ristorante e ci abbiam dato giù di limoni e valalas vari.
La cosa stava andando al top, per quel che mi riguarda, fino a che il nostro libidinoso momento è stato interrotto. Un rumore sordo proveniente da una frasca. Ussignur i paparazzi!!! Ho pensato. Invece no, si trattava di un’orribile ominide tappo e con la patta all’aria che stava lì di fronte a noi e ci guardava. Un po’ per quest’inavvertito colpo di scena, o forse perché era davvero tardi, o forse perché era solo una palla al balza che il signor Bollore ha schiacciato e la cosa è morta lì. Sul nascere. E io avrei preferito lapidarmi là, alla festa dell’Unità, dietro quel casotto con la voglia di farne di ogni, e invece. E invece mi sono accontentato. Mi sono fermato. E lui è tornato nel backstage.
Poco dopo l’ho raggiunto e l’ho salutato ed ho preso il suo numero. Perché insomma, per lo meno, così, se lui non dovesse più fasrsi vivo avrei modo di insultarlo. Per lo meno. Domenica ero tranquillo. Lunedì sorpreso. Martedì mattina sono incappato nel faccialibro del suo ragazzo, e mi sono innervosito. Insomma vederlo come vorrei che fosse con me insieme ad un altro ti fa rodere il culo. E al quanto. E se quel culo soprattutto ne volesse di più, bè ecco il rodimento aumentare a dismisura. Ho cercato di farmela passare su consiglio del mio io più nascosto. Ma alla fine ieri sera, alle 23 ho ceduto. E l’ho chiamato. Insomma come dire una telefonata glaciale.
Una telefonata, che se fosse stata fatta al 190 saremmo stati più amici. Ho avuto la vaga impressione che stesse facendo qualcos’altro. E infatti si stava preparando per andare dal suo “fidanzato”. Si proprìo così. Così lo ha definito. Io volevo quasi evirarmi per telefono . Cioè non attraverso il telefono, ma proprio fisicamente parlando. Anzi fisicamente facendolo. Però vabbè. Io ho ovviamente fatto finta di nulla. E così ho aperto il discorso più vago possibile. Ovvero che hai fatto oggi? Ehm… Io: “Sono stato in centro. Si avevo bisogno di fare delle cose. Si. Ah. Domani parto. Vado in provincia di Pisa. Poi a Padova. Poi torno a Roma venerdì”. Tutto detto con molto trasporto da parte mia.
Lui mi ha biascicato in quattro parole la sua giornata, senza troppo emozionarsi. Io ho convenuto con dei emh, ahhhh, si?, senza dargliela troppo vinta. Ho pensato che così andava bene. Ma il clou è arrivato sulla conclusione. Gli ho ricordato che aveva il mio numero di telefono, e che se voleva poteva chiamarmi. Lui mi ha risposto semplicemente che se non mi avesse chiamato lui, bè lo avrei fatto io. Ah ecco, qua. Il signor Bollore se la credeva e anche tanto. Insomma signori ho davanti un vero osso duro. Ma lui ha davanti Annabelle Bronstein. E forse in durezza e cocciutaggine vinco io. Io.
Comunque ci siamo congedati con i nostri impegni futuri. Ovvero lui va su al nord per lavoro, io pure vado a nord, ma torno venerdì a Roma. Lui non tornerà. Forse non prima di settembre. E secondo voi io devo aspettare il settembre prossimo venturo? Ma siamo pazzi? Io sono pur sempre Annabelle Bronstein, e so come muovere le cose a mio favore, facendo credere al signor Bollore che in realtà sia lui a gestire l’affaire. E così sarà. Fino a nuovo ordine saranno ridotti i contatti, di ogni tipo e genere. Soprattutto da parte mia. Ho deciso che se lo richiamerò io lo rifarò a ferragosto, giusto per sapere come lo passerà. Ma questo weekend forse, ho una mezza idea di raggiungerlo a sorpresa. Giusto per non contraddirmi per niente.
Avevo omesso un piccolo particolare. Piccolossimo. Il signor Bollore teoricamente potrebbe leggere questo post. Ma io, me ne sciacquo ovviamente le balle. Ok? Ok? Ehhhhhhhh? Si, ok.

Singletudine

Questo weekend purtroppo ho solo lavorato. Sia sabato che domenica ho avuto dei turni di lavoro che definire massacranti non rende l’idea. Venerdì però sono uscito ed ho partecipato alla serata Condominio. Con me Guy, Ga, Tata e Chicco. La serata è stata un po’ moscia sinceramente. Forse perché bere un drink senza ghiaccio bè ecco, non è il massimo. E poi perché mi sono trovato Mr. Music I Like davanti e non ho capito assolutamente nulla di quello che mi ha detto. Non che io sia stupido. Forse anche quello. Ma è che sono sorda. Ma sorda davvero. Dopo i saluti di rito, lui ha detto qualcosa, che io non ho capito. Ed ho solo sorriso. E basta.



La serata poi non è che sia andata granché meglio. Con questi 33 cl di alcool in mano, con la stessa temperatura di una cioccolata Elah, che non riuscivo a mandare giù, e che non mi davano alcun senso di ubriachezza e che per cui non andavano minimamente a inibire la mia timidezza, ero lì che mi chiedevo il senso di quella serata. La musica poi, a parte qualche momento, non mi ha preso quasi per niente. Scusate. Intingere le gocciole nel barattolo della nutella e scrivere contemporaneamente non è così semplice come credevo. Adesso vado a lavarmi le mani e giuro che la finisco. Ok. Almeno ancora un altro.



Eravamo circondati da una marea di boni devastanti. Gay. Di quelli che alle solite serate non li vedi affatto. Sono quelli che non escono mai, e se lo fanno è solo per serate cool come il Condominio. Ma sia io che Guy eravamo leggermente sottotono. Anche il Sollazzo c’era, e non ha perso tempo per fare battute che non ho capito. Comunque l’unica cosa degna davvero di nota, e che ho passato circa venti minuti a parlare con un amico (anzi, dopo questa anche conoscente direi) che mi ha presentato a un suo amico chiamandomi ANDREA. Naturalmente io non avevo capito che si stava riferendo a me. Io avevo capito che il suo amico si chiamasse Andrea.



Ma si può. E io ancora più grave ho urlato a gran voce, “Piacere Annabelle”. Facendo credo ben tre pessime figure in una. Mah. Ma questo non potrebbe essere sufficiente per capire quello che mi frulla nella testa in questi giorni. In serate del genere rimango solo deluso. E se per la timidezza di cui sopra, e l’assenza di alcool in circolo sono stato più in down del solito e bloccato sul da farsi, quando il pensiero di qualcuno che ti piace ti assale nella vita di tutti i giorni bè resistere alla voglia di prendere a testate ogni muro diviene molto più complicato. Ma non è escluso che io l’abbia fatto. Ho riflettuto però su quello che mi succede intorno.

Questa primavera sembra abbia risvegliato davvero tutti. Insomma Ga cede a uscite finalizzate al pomicio party, la Du Barry oramai accasatissima e innamoratissima, Guy invece ha passato un primo maggio sotto coperta, e non era solo. Affatto. Dall’altra parte della città, c’ero io sotto le mie coperte, da solo che mi torturavo con diecimiladuecentosettantasette domande. Che sia chiaro, non che io sia geloso di loro. Sono i miei amici, e sono molto contento che finalmente abbiano ceduto ai loro apparati riproduttori. Ma io? Perché io no? Non fatemi trascendere nel patetico, non sono una teen-ager ossigenata con la smemo. Lo sono stata però.



E di tempo ne è anche passato. Ma forse mi viene il dubbio che il problema sia io. Forse mi faccio tremila problemi per avere una storia, e probabilmente il mio inconscio non la vuole affatto. Sono stufo di dover credere alla storia che quando meno te lo aspetti l’uomo giusto arriva. Io non mi aspetto mai nulla, e sono ancora qui a farmi le stesse domande. Per questo, ieri sera, dopo tre giorni di lavoro devastanti ho risposto a un messaggio. Lui è il mio chiodo-scaccia-chiodo. Ovvero, lui era la mia prima scopata dopo la Polpetta. Non gli avevo dato molto credito, nel senso che inizialmente manco mi entusiasmava, ma dopo la dipartita della Polpetta dovevo dargli comunque una chance.



Da allora ci siamo rivisti un paio di volte, non più di due all’anno, e ieri mi chiedeva se poteva fare un salto a casa per farmi un salutino. Ieri ho pensato che forse ne avevo bisogno. Che forse dovevo sfogarmi. E ho detto si. Il sesso, quasi due ore intense, senza sosta, è stato davvero ottimo. Grande. E non parlo di misure. Quando se n’è andato, sono saltato sotto la doccia, e mentre erò lì che mi lavavo, pensavo a come mi sentivo. E non mi sentivo per niente bene. Non ero soddisfatto. Non era quello che volevo da me e dalla mia vita. Ussignur se mi ha fatto bene, ma non aveva soddisfatto il mio unico neurone ancora in vita. Mentre era ancora intento a fumarsi una sigaretta mi notifica il pensiero.



Ti piace scopare. Ti è piaciuto scopare con lui. Ma lui non ti piace. E io ne prendevo atto. Ne prendevo coscienza. Appurato ciò sono andato a dormire. Sono andato a letto, con l’assoluta convinzione che devo ricominciare di nuovo da zero. E visto che mercoledì parto per andare a Milano, (ricordate, sono anche un’attrice 😉 ) sarà proprio questo viaggio che mi servirà per capire finalmente la direzione. E voglio che sia così. Soprattutto perché devo cominciare a prendere coscienza del fatto che io non sono solo. Ma sono semplicemente single. E questa sono solo paranoie da single e nulla più. Singletudine appunto. E nulla più. E ora fatemi finire di pulire il barattolo di Nutella.


Valentino must die







L’unico San Valentino che io abbia mai festeggiato è quello di qualche anni fa. Tipo una decina. A cena c’era tutto. C’erano i fiori, il peluche e i cioccolatini. Sono passato a prenderla e ci siamo visti con un’altra coppia per andare a cena. Poi a casa di un amico a vedere un film. Ovviamente sapevo di essere una checca. E probabilmente lo sapevano anche tutti gli altri. Tra me e la mia compagna di quella sera non c’era amore. Amicizia si. E tanta. Che dura tutt’ora. Ma quello che mi rimane in testa, e la felicità che abbiamo provato tutti quella sera. La tranquillità. Gli sguardi complici, e sorridenti. Sarò banale, ma per me quello è il tipico San Valentino. Con quello spirito. Con quel mood. Con tutte quelle accortezze e carinerie.


Il tempo è passato. Io mi sono emancipato, e San Valentino oggi è diventato quello che tutti conosciamo, per lo più una festa dove bisogna dar via gadget di ogni tipo e vendere il prodotto San Valentino anche nei ristoranti e nelle discoteche e via discorrendo. Io sono triste. Questo periodo dell’anno divento immediatamente triste. Ogni anno, con l’arrivo di questo giorno io mi spengo. Mi deprimo. Penso. Rimugino su pensieri e parole. Le peso e soppeso. Sto attento. Perché nel sottile gioco dell’amore, che oramai corre sulla rete, ma anche sulle bocche della gente, basta un piccolo errore e si finisce sulla graticola. Ma non quella che mi potrebbe preparare qualche mio aguzzino, no, quella che mi preparo da solo perché passo al setaccio me stesso e mi giudico e mi tagliuzzo il cervello per capire dove e come e soprattutto perché ho sbagliato.



Affrontare tutto ciò ovviamente non è semplice. E’ per questo motivo che ieri sera, dopo avere chiarito una situazione scomoda con la Burina, e aver fatto baruffa con Guy e sbroccato con Imogeon Heap perché ci solava e se ne tornava a casa, io ho visto la soluzione per non mandare tutto a puttane in quella bottiglia di vino che era adagiata là sul tavolo. E mi faceva ciao con la manina. Detto, fatto; poco dopo ero già nell’antico ma sempre nuovo mood dello stato di ebbrezza. Stato inattivo da troppi giorni, e raggiunti da Ga e Tata siamo andati al Rising Love per Le Grand Bordel. E devo ammettere che anche senza una maschera, bè io adoro proprio i bordelli. Direi quasi che un bordello non si definisce tale senza Annabelle Bronstein.



Fatto per circa un’ora il giro in macchina per il parcheggio, un’altra mezz’ora di fila per entrare ce ne sarebbe voluta un’altra ancora per lasciare i cappotti, abbiamo deciso di abbandonarli dietro un divanetto ci siamo buttati nelle danze e nei drinks. Una marea. Ogni volta che mi giravo c’era qualcuno pronto a mettermi in mano un bicchiere. Anche se avrei preferito che mi ci avessero messo ben altro. Ma insomma, non si può avere tutto e subito. In un batter d’occhio mi sono ritrovato Sushi e Juls, che non vedevo da un millennio. Mi sono ritrovato anche l’Infermiere Veterinario e il suo fido assistente Watson. Erano tutti lì che se lo schekeravano con dell’alcool tra le mani. Persino Stella, la barmade mi ha regalato un drink.


Ma secondo me si era fatta tradire dall’occhio languido della Burina. Che a quanto pare conquista pure le donne. Pensa te. Comunque in questo bordello di cocktail, di gente mascherata e non, io volevo solo pomiciare. Di nuovo. San Valentino arrivato e mi ricordava per l’ennesimo anno che io ero solo come un manico di scopa. Neanche a pensarlo che già mi sono ritrovato un paio di lingue dentro la bocca. Ovviamente questo è l’utilissimo apporto dell’alcool alle mie serate. Devo ammettere che tutto si è svolto abbastanza in fretta, e le uniche note positive sono che ho provato la slinguazza assassina sul piercing dell’Infermiere Veterinario. Ma questo non ha sorbito l’effetto sperato. Lui si tiene, cerca in tutti i modi di far finta di non essere attratto da me.



Ma ci vuole ancora del tempo. Finché non mi stufo però. Appurato che oltre gli slingua party che c’erano già stati, e finiti negli obbiettivi dei fotografi che contavano potevo finalmente tornarcene a casa. Ma il dramma è dietro l’angolo. E Roma, si sa è piena di angoli. Dal tragitto Rinsing macchina mi sono schiarito le idee con la Burina, per diverse certe spinose situazioni e pare averle risolte. Ma una volta accompagnati tutti a casa, be il confronto più duro cè stato con Ga. Perché Ga, ha sempre ragione. Sa sempre quello che deve dire, e il modo. E ci è riuscito benissimo. Ha perfettamente riassunto tutto il succo della questione in poche ma importantissime parole. “Piantala. Adesso piantala”. E lui, e io e anche Ga, Tata, la Burina sappiamo benissimo che si, dovrei piantarla.



E ovviamente varcata la porta di casa io ho iniziato il mio via-vai letto-tazza del cesso-letto-tazza del cesso. Bè, devo ammetterlo avevo solo bisogno di abbracciare qualcuno. O qualcosa. E devo ammettere che sono riuscito nell’intento. L’oggetto delle conversazioni di cui sopra, rimarrà segreto, fino a che mi stuferò, perché arriverà anche il momento in cui prenderò di petto un’altra situazione. Ma le cose vanno fatte con calma, per essere fatte bene. In definitiva credo che d’ora in poi odierò ancora di più San Valentino. Perché come tutte le cose che si celebrano dopo un po’ fanno l’acido. E non immaginate quanto acido ho fatto io questa notte. Non credo di dover sentire il bisogno di un giorno per celebrare l’amore.


Io lo voglio celebrare tutti i giorni. Ovviamente quando la materia prima arriverà. Lo so è un discorso abbastanza noto questo, ma è la realtà dei fatti. Non possiamo nasconderci dietro un dito, tutti vorremmo una persona accanto. Che ci ami, e che ce lo dimostri e che ci scopi, e che ci faccia sentire la persona più importante. A volte però è difficile capire gli intenti di ognuno di noi. I miei vengono fraintesi. Ma non è una novità. Io credo solo di sentirmi solo e molto abbattuto perché l’amore come io lo vorrei a quanto pare non c’è. E questo è si un dato di fatto. Un punto importante. Un po’ per me, e un po’ perché forse non è ancora il tempo. Ma io ci ho pensato anche fin troppo per oggi, tra un viaggio e l’altro verso il bagno. E direi che è davvero sufficiente. Almeno per oggi.



Ah, dimenticavo, buon San Valentino a tutti.

Sakura Sushi ♥ Loves Art





Buon sabato a tutti. Nonostante io sia alla morte sociale e nonostante stia impazzendo perché inizio a necessitare di gran sesso a sbafo, voglio assolutamente proporvi una serata che si preannuncia pazzesca e molto interessante! Ecco la primissima marchetta del 2010!!!! Allora siete pronti? Il rituale è sempre lo stesso. “Non sapete cosa fare domani sera? Vi piace l’arte visiva e il sushi e vorreste condividere le due cose assieme proprio domani sera? Volete vedere una marea di gay in libera uscita sulla Tuscolana???” Io ho la risposta che fa per voi. Mi sento assolutamente di consigliarvi di partecipare al primo appuntamento di “Sakura Sushi ♥ Loves Art” che tutte le domeniche ospiterà una ricca esposizione d’opere di giovani artisti all’interno del nuovissimo e raffinatissimo “SAKURA SUSHI RESTAURANT“.



Adesso non so se sapete che sono una strafiga, e che frequento posti solo dannatamente pop e iper-cool, ma questo ristorante è davvero fichissimo. Incisivo nell’arredamento e di assoluto gusto nei dettagli il Sakura Sushi Restaurant ha deciso di aprire i suoi locali all’esposizioni di giovani artisti e il primo appuntamento vedrà protagonista Alfredo Vullo a.k.a. Mondovullo. E che stravalalalas sarebbe sto Mondovullo? Lo so che ve lo starete chiedendo. Un mondo fatto di colori, molto spesso vivaci, di personaggi umani e non, di mostri e di pura fantasia. Mondovullo non è solo un nomignolo che l’artista ha voluto creare ma anche uno stile di vita e una visione diversa del mondo, è un brand che con le sue t-shirt, pins, canvas e quant’altro si catapulta in questa realtà affascinando chiunque si voglia affacciare in questa dimensione.


Se volete avere un’idea di quello di cui stiamo parlando basta cliccare qui e averne di bendonde. E se vi ho convinti non perdete assolutamente questa serata, dalle 18 alle 21.30 presso il Sakura Sushi Restaurant in Piazzale Porta Pia 122. L’ingresso è gratuito all’esposizione, l’aperitivo 12 euro con degustazione di sushi e la cena 30 euro. Una serata diversa e finalmente con un senso che non sia solo ceppe leppe all’aria! Per tutti i giovani artisti che vogliono partecipare ai prossimi appuntamenti come protagonisti basta contattare Mondovullo. Mamma adoro questi art attack che mi vengono. Ci vediamo lì dunque, mi riconoscerete, io sarò quella più ubriaca di tutti e con del pesce, in bocca, ovviamente!

L’inusuale Mucca di sabato sera.

Nella mia vita ci sono alcuni punti fermi. Fino a ieri sera. Infatti il solito Mucca è andato in scena di sabato sera per una causa più che valida, ovvero Halloween. E io che sono oggettivamente un mostro per almeno 265 giorni all’anno, per la prima volta ho ceduto alla magia del travestimento. E proprio con questo spirito io e Guy ci siamo messi alla ricerca di sangue finto e trucchi mostruosi per l’occasione. Abbiamo deciso di partire dal cult, ovvero andare da Profondo Rosso, in Via dei Gracchi. Ma ovviamente non eravamo stati gli unici ad avere questa fantastica idea. No. Già sul marciapiedi ci siamo resi conto che non era fattibile poiché altre 27 persone minimo avevano avuto la nostra stessa idea ed erano tutte lì diligentemente in fila. Mah.

Così ho avuto una folgorazione: proprio in una traversa di Cola di Rienzo ricordavo esistere un negozio di articoli per feste, che l’unica volta che volevo andarci era irrimediabilmente chiuso. Ma ieri no. Era aperto, e pieno zeppo di gente, e ovviamente non avevano più sangue finto. Che però ho sostituito con colorante al lampone per dolci. E giusto perché AMO il lampone. E anche Guy ha trovato il suo trucco per la serata. Noi tra l’altro, eravamo incaricati di mandare il messaggio per metterci in lista per la serata. Così reperiti i contatti mi sono messo al lavoro immediatamente. Chiamo il primo numero e lo squillo è ovviamente a vuoto. Preso dai nervi chiamo il secondo. E risponde Ciro. Unica informazione a me conosciuta.

Comincio una serie di mega figure di merde telefoniche che penso mai nessuno abbia mai fatto con una sola telefonata. Prima di tutto esordisco dicendo “Ciao, volevo chiedere se era possibile essere messo in lista con i miei amici per la serata di questa sera di capodanno…”. Ma cosa cazzo dico? Ciro, ovviamente, dalla chiara provenienza partenopea si mette a ridere. E come minimo, io mi sarei chiuso il telefono in faccia da solo. Vabbè. Decido di stare molto più attento a quello che dico. Ma Ciro a questo punto esprime le sue perplessità sul mio orientamento sessuale: “Ma voi siete gay, lesbiche, etero oppure trans?”. “Guarda siamo tutti gay, e poi ci sono due nostre amiche etero che vengono con noi, ma sono molto friendly!”.

Ma nonostante le mie delucidazioni lui si sente comunque in dovere di sottolineare “Ah, e tu sei una di loro?”. Ovvio che no. Ovvio che io sono un ragazzo gay, che ha il pallino di farsi chiamare Annabelle Bronstein ma che ha una voce, che almeno per telefono, viene puntualmente scambiata per quella di una ragazza. E così, rispondo “No guarda, io sono un ragazzOOOO, GAY, anche se mi rendo conto che via telefono posso sembrare una ragazzina. Comunque fidati, sono proprio frocio!!!AUHAUHAUUAUHUHAUHAUH”. E che ridere. Comunque lui ha fretta, e i vigili lo hanno quasi sgamato che sta guidando mentre è al telefono, per cui per evitargli grane taglio e anche lui mi taglia dicendomi di inviargli un sms con tutti i nomi da mettere in lista.

Ah bè, e io che credevo che bastasse un nome più il numero. Troppo semplice. E infatti, comincio a fare la lista nomi e cognomi. Ovviamente per queste occasioni io uso sempre un nome d’arte, che non è Annabelle Bronstein. Ovvio che no. E’ un nome che utilizzo per prenotare i tavoli nei ristoranti, le stanze negli alberghi e le liste in discoteca. Metti caso che all’ultimo succede un dramma e non puoi più andare ti riesci sempre a parare il culo. Ovviamente per dare un senso alla nostra lista convengo con Guy che è il caso di metterci dentro anche il nome di un vip. Certo basterebbero già solo i presenti, visto che parliamo di me ma anche di Popslut. Ma come è noto, io devo esagerare. Per cui includo giustappunto Filippo Timi, che a breve sarà il mio fidanzato.

Anche se lui questo lo ignora ancora. L’appuntamento è direttamente davanti al Mucca, dove al nostro arrivo troviamo già Ga, Sara, l’infermiere veterinario e Popslut. Ci mettiamo in fila mentre la temperatura polare artica ci gela in maniera devastante, e ci rendiamo conto che la fila liste è di un affollato inverosimile, mentre le tessere sono vuote. Quando arriviamo al door selector tutto ci è chiaro. In realtà davanti a noi ce un vero e proprio idiota. Io odio la categoria door selector. Si credono questa ceppa leppa solo perché sono lì, e il loro mestiere è semplicemente quello di sottolineare un nome dalla lista e metterti un fottuto timbro sulla mano. Voglio dire anche Laura Scimone sarebbe capace di farlo in meno di 10 secondi.

Ma lui no. Lui non ha capito il nome. Per cui glielo devo ripetere per ben tre volte di seguito. Una volta trovato il mio nome, esita e si mette a chiacchierare con il suo collega delle tessere. Poi, immancabilmente, deve fare il provolo con due che sono più femmine di me e mia madre insieme e più checche di lui e tutta la sala pop del piano di sopra. E io sono ancora lì in attesa che mi venga detto cosa stracazzo devo fare della mia esistenza. Allora, morto di freddo e pronto a mandarlo a fare in culo in diretta decido che ne ho abbastanza e faccio un passo avanti andandomi a prendere quello che mi spetta, ovvero circa un milione di movenzedannatamentepop. Ma lui rinsavisce, torna in se stesso e mi blocca, “Ma scusa, dove vai? Aspetta qui”.

Decido di restare calmo, in fondo già l’anno scorso hanno tentato di buttarci fuori. E faccio spallucce. Finalmente dopo che è stato 87 minuti a fare la checca il tipo si riprende e fa passare Ga, ci mette il timbro e ci apre il passaggio, anche se io gli sottolineo che ne siamo dieci e lui finalmente si rende conto che è ora di guadagnarsele quelle 30 euro. Sempre se gliele danno. Ma io sono già altrove. Pago la mia entrata e una marea di note musicali, movenze e sorrisi si impadronisce del mio essere. Sono tutto in un secondo un vampiro, dall’aspetto e le movenze dannatamente pop ed ho voglia di prender parte ad un pomicio party. Giusto il tempo di consegnare le giacche e di prendere un drink. E siamo già al secondo piano a sculettare e a far lezioni.

Le tracce scelte sono una meglio di un’altra, le movenze sono dannatamente pop e anche i tipi che ci circondano sono mostruosamente scopabili. L’alcool mi entra in circolo e la mia micro vescica da 33 cl si riempie in un batter d’occhio, al punto che non resisto e devo andare al bagno. Bagno che essendo l’anticamera della darkroom ne ha preso i connotati ancora di più. E’ tutto fottutamente buoi, e per pisciare devo farmi luce con il cellulare. Che palle. Ma il dramma è sempre dietro l’angolo, e io lo avevo rimosso per colpa di quell’alcool che mi riempiva la piccola circolazione. Ovviamente, mi imbatto in un mio contatto messenger. Lui è il giornalista, ha la mia stessa età, e devo ammettere che vagamente mi ricorda la Polpetta.

Ha la panzetta, gli occhiali e uno spiccato senso dell’umorismo. Che forse mi affascina più di ogni altra cosa. Io faccio finta di nulla. Auspico nella forza del mio make-up, ma è tutto inutile, lui mi riconosce e mi accalappia immediatamente. “Finalmente ci si vede, sono mesi che fai il fuggiasco su Msn, ora siamo qui uno di fronte all’altro!”. Sbaglio o tutto ciò mi suona di minaccia? Il giornalista però ignora chi io sia. Io sono Annabelle Bronstein, ma prima ancora sono un vampiro e un ragazzo dannatamente pop. Decido di essere acidulo e anche saccente, se lo merita. “Bè. Ti ho invitato almeno tre volte, ma tu avevi sempre una scusa per evitare di vederci. Scusa ma poi la palla passa a te. Io aspetto e ti sto ad aspettare che tu faccia qualcosa…Erro?”. Tiè. Beccati questa.

Lui non sembra essere toccato dalla mia affermazione. Anzi, rilancia. “Dai stasera allora vieni a dormire da me, sto qui vicino, stiamo insieme tutta la notte e domani te ne torni a casa!”. Eh chi diavolo sono io, il primo che te lo dà così? Mi spiace tesoro, ma per quel che mi riguarda oramai bisogna meritarselo. Declino con rigore l’invito, e sorrido. Sono pur sempre un mostro, ma con il giusto brio e la giusta ironia. Lui se ne dispiace, ma neanche tanto. Al punto che si sente autorizzato da dare quel famoso pomicio party a cui volevo autoinvitarmi e mi ficca la lingua in gola. Bravo. Più due punti. Quello che volevo. Lo scopro un ottimo baciatore dall’alito più che profumato. Queste due caratteristiche mi conquistano e jè do de pomicio.

Dopo quasi venti minuti di questa festa privata, mi rendo conto che è il caso di darci un taglio, la carne oltre che tanta è debole, e io potrei approfittare di qualche pertugio buoi e intimo per farne di bendonde peggio. Ma non è questo il momento giusto. Tra l’altro la sua erezione negli slip è invadente e sempre più provocante. Ma io, non so come, trovo le forze di dare un freno a quella lingua che la sa davvero lunga. Invento di aver ricevuto un sms e che devo assolutamente raggiungere gli altri. Lui se ne dispiace, veramente, ma ha avuto quel che voleva. E anche io. Ci salutiamo e concludiamo con un “vediamoci in settimana”. Io annuisco, anche se non so davvero se in realtà sarà così.

Raggiungo gli altri, e il mio drink quasi finito viene rinforzato da vodka. Il mio amico Pop ha una fiaschetta piena zeppa di un intruglio fatato, e io ne faccio volentieri una sorsata. Da lì in poi i ricordi sono vaghi. Mi ricordo di pagliacci, vampiri, uomini lupo e molte lesbiche. So soltanto che dal centro pista siamo finito vicino la consolle intorno a un palo da lap che abbiamo rotto dal soffitto. Ci siamo soltanto saliti in quattro su ad ancheggiare come sedicenni bionde e ubriache. Decidiamo che alle 4.30 è ora di archiviare la serata con un 7+, di prendere ciò che rimane di noi stessi e tornarcene a casa. E così, dopo movenze dannatamente pop, vodka lexotan e baci a fiumi siamo finalmente soddisfatti di una serata. Perfetto direi.